Le Pagine di Storia

 

 

La Caduta dell'Africa Orientale Italiana

a cura di Fara Misuraca e Alfonso Grasso

 

Nel corso della dominazione sabauda, il Sud ha dovuto subire anche la dittatura fascista e le sue guerre d’aggressione. L’epilogo dell’Impero Orientale, con la sconfitta dell’esercito italiano, che pure vantava superiorità di uomini e mezzi, fa capire quanto aliena dal sentimento popolare fosse la guerra e la dittatura. Eroi frettolosamente consacrati, come il Duca d’Aosta, sembrano così destinati a scendere dal piedistallo... finalmente!

Tra il luglio e l'agosto 1940, l’esercito italiano occupò senza incontrare eccessiva resistenza Passala nel Sudan ed il Somaliland britannico. Nei tenitori dell'Impero vi erano allora circa 300.000 militari nazionali e indigeni, ai quali si contrapponevano soltanto 21.500 soldati del Commonwealth.

Nonostante questa sproporzione di forze, a novembre i Britannici iniziarono la riscossa, partendo sia dal Kenia, con il generale Alan Cunningham, sia dal Sudan.

La decisiva offensiva britannica in Africa Orientale ebbe inizio nel gennaio 1941 e i primi risultati tangibili furono colti in Somalia, dove Cunningham con l’operazione «Canvas» occupò il 13 febbraio 1941 la città e il porto di Chisimaio. I Britannici trovarono i depositi di carburante e di munizioni intatti e se ne impossessarono: gli Italiani in ritirata non avevano provveduto a sabotarli.

Quindi i Britannici oltrepassarono il Giuba e si disposero in due colonne: una rivolta all'interno, lungo il corso del fiume, fino ad inoltrarsi in Etiopia, e l'altra parallela alla costa somala in direzione di Mogadiscio, conquistata il 25 gennaio 1940. Nello stesso periodo anche l’Eritrea venne investita da occidente, mentre l’aviazione e la marina inglese compivano una serie di incursioni contro la base di Massaua, danneggiando le installazioni portuali, allo scopo di prevenire o almeno contenere l'attività della potente forza navale italiana: sette cacciatorpediniere, due torpediniere, otto sommergibili, due cannoniere, cinque MAS, una nave coloniale, un posamine e le due motonavi armate.

Le navi italiane rappresentavano una seria minaccia per le linee di comunicazione britanniche nel Mar Rosso. Lungo questa via infatti transitava allora la maggior parte dei rifornimenti diretti alle Forze Armate del Commonwealth in Egitto, ora più urgenti e necessari che mai dopo l'arrivo in Libia del temibile «Afrika Korps» di Rommel nello stesso febbraio 1941.

Ma tutte quelle navi da guerra italiane nel Mar Rosso non riuscirono a contrastare il passaggio dei convogli inglesi, quasi mai protetti adeguatamente da una Royal Navy oberata da impegni in ogni angolo del globo: dall'inizio della guerra nel giugno 1940 a tutto il mese di febbraio 1941, transitarono nel Mar Rosso 1.191 mercantili britannici, al prezzo di un sola unità perduta, battente bandiera greca, affondata il 6 settembre 1940 dal sommergibile Guglielmotti.

Invece la Marina britannica aveva conseguito non pochi successi in quelle stesse acque. Così già il 19 giugno 1940, cioè appena nove giorni dopo lo scoppio delle ostilità, gli Inglesi avevano catturato il sommergibile Galilei e il 23 e 24 dello stesso mese avevano affondato i sommergibili Torricelli e Galvani, perdendo di contro il cacciatorpediniere Karthoum. Frattanto un quarto sommergibile italiano, il Macallè, era scomparso il 15 giugno dopo essere andato sugli scogli dell'isolotto di Barr Musa Chebir, presso Porto Sudan, mentre il cacciatorpediniere Francesco Nullo era andato perso il successivo 21 ottobre.

Nell’insenatura di Mersa Taclai, negli ultimi giorni di febbraio 1941 furono tranquillamente sbarcati dagli Inglesi rifornimenti e soldati, sotto la copertura del solo cacciatorpediniere Kingston, mentre i sei cacciatorpediniere italiani ancora presenti a Massaua non si mossero all’attacco, con felice sorpresa degli Inglesi.

Il 25 febbraio 1941 i Britannici entrarono a Mogadiscio, il 27 marzo conquistarono Cheren, il 1° aprile cadde Asmara capitale dell'Eritrea. Il generale Cunningham entrò da liberatore il 6 aprile 1941 nella capitale etiopica Addis Abeba.

A seguito dell'assedio a Massaua, la flotta italiana si stava dissolvendo. Salparono da Massaua i quattro residui sommergibili, Perla, Archimede, Ferraris e Guglielmotti, riuscirono a raggiungere la base di Bordeaux, nella Francia occupata. Il cacciatorpediniere Leone andò sugli scogli appena fuori Massaua nella notte del 1° aprile. Il Nazario Sauro, il Tigre, il Pantera e il Daniele Manin furono affondati il 3 aprile da aerei britannici. Lo stesso giorno, l'ultimo cacciatorpediniere italiano, il Cesare Battisti, si autoaffondò presso le spiagge di Scio Aiba.

Nelle relazioni italiane dell’epoca, per giustificare almeno in parte il disastro, si fa accenno alla probabile presenza in zona di una portaerei nemica. Dalla documentazione ufficiale invece oggi sappiamo che nessuna portaerei era in quei giorni presente nelle acque interessate a tali combattimenti.

Nella notte tra il 7 e l'8 aprile ci fu uno dei pochi successi italiani, con il siluramento e il danneggiamento dell'incrociatore leggero Capetown da parte della 21a squadriglia MAS. In quel momento però Massaua, assediata e continuamente bersagliata dal cielo, aveva letteralmente le ore contate, ed alle 14.00 dell'8 aprile 1941 fu costretta alla resa

Venne ritenuto sorprendente dagli Inglesi il fatto che, in mezzo a quella desolazione, essi avessero trovato praticamente intatte le installazioni petrolifere presso gli ancoraggi meridionali e presso Abd-el-Kader e avessero conseguentemente messo le mani su 4.000 tonnellate di combustibili, oltre che su 3.000 tonnellate di carbone.

Anche la roccaforte dell'Amba Alagi, dove il duca d'Aosta aveva riunito le forze restanti, si era arresa il 17 maggio 1941. Restarono ancora in piedi per qualche mese le posizioni italiane intorno a Gimma e a Gondar, che caddero rispettivamente il 21 giugno e il 27 novembre 1941, con quest'ultima data che segnò la fine della resistenza italiana in Africa orientale.

La caduta dell'Impero dopo soli cinque anni fu così commentata dal ministro degli Esteri Galeazzo Ciano: “anche al Gimma si è avuta la solita resa di grandi proporzioni, con generali in testa e quando v'era ancora larga disponibilità di mezzi e di armi”.


Liberamente tratto da:

  • Alberto Santoni. RIVISTA MARITTIMA, Agosto-Settembre 2004

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