Nel nostro bel Paese la damnatio memoriae ha sempre
perseguitato fatti e figure del Sud, in particolare modo se poi si
riferiscono alla Sicilia e ai siciliani. A volte non è sufficiente
nemmeno essere dalla stessa parte, o almeno vicini ideologicamente,
all’intellighentia storica nostrana. Tutto ciò che si sa di
sicilianità, tutto sommato, forse è meglio che rimanga in ombra.
Ovvio, niente di premeditato e tanto meno occorre gridare al
complotto. Ma è sempre andata così, semplicemente.
Tutti ricordano la tragedia di Sacco e Vanzetti, ma nessuno il suo
prologo. Ma, qual è il prologo?
Nella vicenda di di Sacco e Vanzetti è: “l’affaire Salsedo”. Quando,
la sera del 5 maggio 1920, sul tram diretto a Brokton, la polizia
americana ferma i due anarchici italiani Nicola Sacco e Bartolomeo
Vanzetti, tra gli effetti personali dei due viene rinvenuto un
volantino-invito in cui si annuncia un comizio di Vanzetti. Motivo
del comizio, spiega il volantino, denunciare le gravissime
responsabilità della polizia nella morte, avvenuta 3 giorni prima,
dell’editore anarchico Andrea Salsedo.
Il comizio non si terrà mai più e per Sacco e Vanzetti comincia il
lungo calvario che li consegnerà alla storia. Non così per Andrea
Salsedo, la cui vicenda, forse ancor più emblematica, verrà presto
dimenticata dall’opinione pubblica americana distolta, proprio,dai
tumultuosi sviluppi del caso Sacco-Vanzetti.
Chi era Andrea Salsedo? La storia comincia, anni prima, nella
lontana isola italiana di Pantelleria, situata nel bel mezzo di quel
braccio di mare tra la Sicilia e l’Africa, ai bordi del Banco detto
dell’Avventura.
In quel tempo siamo sul finire dell’800, Pantelleria pullula di
rivoluzionari, deportati nell’isola dal regio governo italiano a
seguito soprattutto dei moti di Carrara e della Lunigiana. Nel
gruppo degli anarchici, assai vivace e pieno di iniziativa, spicca
la figura carismatica dell’allora trenatreenne Luigi Galleani,
leader dell’intransigente ala anarco-operaista. Egli, tramite
elementi fidati degli equipaggi dei numerosi velieri che attraccano
nel porto di Pantelleria, riesce a contattare Errico Malatesta, capo
indiscusso di tutti gli anarchici italiani e, in quel tempo,
“coatto” nella vicina isola di Lampedusa. Da questi contatti nasce
il foglio rivoluzionario “I Morti”, stampato a cura e spese degli
anarchici di tutte le isole minori.
Ma l’attività del Galleani non conosce soste e, unitamente agli
altri suoi compagni, fonda una scuola popolare per i ragazzi
panteschi. Tra gli alunni, subito accorsi numerosi, uno dei più
assidui e promettenti è Andrea Salsedo. A quel tempo egli aveva 13
anni e ne compie 18 quando quando il Galleani evade
rocambolescamente dall’isola. I primi anni del '900 vedono Andrea
Salsedo, giovane speranza dell’anarco-sindacalismo siciliano,
attaccare con veemenza dalle pagine del giornale “La Falange” di
Marsala, la politica repressiva ed antioperaia del governo italiano.
Gli articoli provocano il primo sequestro,poi la chiusura definitiva
del giornale.
Le continue vessazioni della polizia e il provincialismo del piccolo
mondo isolano lo costringono, infine, a partire per le Americhe
sulle onde della grande emigrazione dell’epoca. A New York incontra
il suo vecchio maestro, Luigi Galleani, ora leader incontrastato dei
circoli anarchici dell’intero nord America; subito Andrea si lancia
nel nel crogiuolo della lotta sindacale; lotta che, in quel momento,
vede il sindacato più radicale, gli “International World Workers” i
cosiddetti “wobblies”, porre sul tappeto anche il problema dei
diritti politici degli “indesiderables” italiani.
Oltre a collaborare con i suoi scritti alla rivista Cronaca
sovversiva diretta da Galleani, Salsedo trova il tempo per diventare
editore in proprio, pubblicando i testi degli autori anarchici
preferiti. Nel 1917 pubblica le memorie e la biografia di Clement
Duval, l’anarchico evaso dall’Isola del Diavolo. Il libro conosce un
discreto successo. Infine nel 1919 dà corpo al suo sogno di sempre,
fondando e pubblicando la rivista anarco-sindacalista “Il domani”;
ma intanto in America si respira un clima di intolleranza contro gli
stranieri soprattutto italiani. Sono i ruggenti anni '20 americani.
Il sindacato dei “Wobblies” viene sciolto, vengono chiuse decine di
redazioni di giornali e circoli politici di opposizione. L’acme
viene raggiunto, con i "Palmer raids", quando nel gennaio 1920
vengono contemporaneamente arrestate 4000 persone e circa 3000
espulse. Questa fase di feroce escalation xenofoba coincide con una
serie di attentati dinamitardi. Sul luogo di uno di questi, a
Washington, in cui soltanto l’attentatore ha perso la vita, vengono
trovati volantini di colore rosso dal titolo “Plain Words” (parole
chiare).
Tramite la delazione di un certo Ravarini, la polizia risale a tale
Roberto Elia, che lavora alla tipografia Canzani di New York, la
tipografia è diretta da Andrea Salsedo. È l’inizio dell’Affaire
Salsedo. Andrea, agli occhi della polizia americana, ha in quel
momento due gravi colpe: essere di origine italiana ed essere un
intellettuale anarchico. Nel febbraio 1920, la polizia indaga presso
la tipografia di Canzani. Dichiarerà poi di aver scoperto, oltre ai
fogli di carta rossa, anche caratteri tipografici simili a quelli
utilizzati per la stampa del volantino incriminato.
La notte del 25 febbraio vengono prelevati dalle rispettive
abitazioni, senza neppure un formale ordine di arresto, sia Roberto
Elia che Andrea Salsedo. Condotti, invece che alle prigioni di
stato, in un locale segreto del Ministero della giustizia di
Manhattan, e precisamente al numero 21 di Park Row Building, i due
vengono interrogati separatamente per ore ed ore. Nei giorni
successivi soltanto per Andrea verrà usato un trattamento “speciale”
particolarmente duro. Alla fine del “trattamento speciale”
riservatogli dalla polizia americana il volto di Salsedo è ridotto
ad una raccapricciante maschera informe. Ed è così che lo vede dopo
un interrogatorio Roberto Elia, come risulta da una successiva
dichiarazione giurata. Mentre, la moglie Maria Petrillo dirà alla
stampa, subito dopo il primo colloquio: “È stato sfigurato”. Anche
il comportamento dell’avvocato difensore, Narciso Donato è a dir
poco strano. In seguito si parlerà chiaramente di collusione tra il
Donato e gli “uffici riservati del ministero della giustizia". La
figlia di Salsedo, Silvestra, molti anni dopo, dichiara a un
giornale: “lo stesso avvocato difensore si dichiarò più dalla
parte della polizia che dalla nostra”. Il perché del diverso
"trattamento" usato dalla polizia nei confronti dei due anarchici,
fino ad oggi non ha ricevuto una plausibile risposta. Infatti non si
riesce a comprender come mai Roberto Elia venga praticamente
lasciato in pace, pur essendo la polizia a conoscenza, tramite la
delazione del Ravarini, che è stato proprio lui a stampare il
materiale propagandistico per gli anarchici in clandestinità.
A seguito del "trattamento" speciale si ha la "confessione
spontanea" di Salsedo che dichiara, scagionando Elia, di essere
stato soltanto lui lo stampatore dei "tracts" (volantini)
incriminati, per conto di uno sconosciuto compagno anarchico. Questa
versione viene subito confermata da Roberto Elia, il quale dichiara
a sua volta di aver visto Salsedo stampare il volantino, ma di non
aver partecipato al fatto. Dopo la confessione i due vengono
lasciati in pace, ricevono buoni pasti e possono riposare
tranquillamente, ad eccezione di Salsedo che soffre d'insonnia a
causa di improvvisi e forti dolori alla testa, come viene confermato
dalla successiva dichiarazione giurata di Elia. Questi dolori
improvvisi e lancinanti dolori lasciano intuire, con buona
probabilita, un trauma subito durante il pestaggio.
A questo
periodo di apparente tranquillità risale la corrispondenza
epistolare tra tra Salsedo e Vanzetti, quest’ultimo impegnato,
assieme a Sacco, in una campagna di sensibilizzazione dell’opinione
pubblica per la liberazione di Andrea. Carte che si riferiscono a
questa corrispondenza si trovano attualmente presso il dipartimento
dei manoscritti della Boston Public Library.
La notte
del 2 maggio 1920 avviene la tragedia. Il corpo di Salsedo vola da
una finestra del 14° piano di Park Row Building e si sfracella sul
marciapiede sottostante. Suicidio, dichiara subito la polizia
americana. Probabile suicidio, confermerà in seguito il compagno di
stanza, Roberto Elia, aggiungendo però di averlo appreso, al momento
del risveglio, dal poliziotto di guardia. Salsedo è stato
“suicidato”, è la tesi che subito circola negli ambienti
democratici. Tesi sostenuta da buona parte della stampa liberale e
gridata in faccia ai giudici da Vanzetti nel corso del famoso
processo.
Louis F.
Post, segretario aggiunto presso il ministero del lavoro, scriverà,
più tardi, in un suo libro di memorie, che niente è chiaro in questo
"affaire"; a cominciare dal fermo illegale della vittima in una
prigione segreta e dai metodi di interrogatorio, per finire alla
strana posizione del cadavere sul marciapiede. Ad un'attenta
disamina dei fatti e delle testimonianze, la tesi del suicidio non
regge assolutamente. Andrea Salsedo, infatti, non aveva nessuna
ragione plausibile per compiere il disperato gesto. Tra l'altro egli
sapeva che il reato "confessato" non era penalmente rilevante e
pertanto era prossima la libertà provvisoria.
Anzi,
l'avvocato difensore confermerà alla moglie di Salsedo che la
tragedia era avvenuta proprio alla vigilia della sua concessione. E
allora? Uno spiraglio per scoprire la verità viene offerto proprio
dal comunicato stampa emesso dalla polizia. Comunicato in cui si
sostiene che Salsedo si è suicidato per non rivelare i nomi dei suoi
complici anarchici. E dovrebbe essere, questo, l'obiettivo che si
era proposto la polizia fin dal primo momento, anche ricorrendo alla
tortura. Ottenere dal Salsedo l'organigramma completo dei gruppi
anarchici operanti in Nord America; conoscere i capi, gli aderenti,
i simpatizzanti, i collegamenti, le tipografie. La polizia sa che
Andrea Salsedo, figura non secondaria nel mondo anarchico del tempo,
è a conoscenza di tutto ciòe, cosa da non poco, è anche amico
fraterno di Luigi Galleani che, dall'alto di certi ambienti
ministeriali, si vorrebbe coinvolgere ad ogni costo nella vicenda
degli attentati. Questo comunicato, poi, non avrebbe alcun senso se
si pensa che da giorni, secondo la successiva testimonianza giurata
dell'Elia, il Salsedo non viene interrogato. Tutto riacquista un
senso e una logica-anche le parole del comunicato- se si ipotizza
che, quella famosa notte, Andrea sia stato prelevato per un nuovo e
decisivo interrogatorio nell'intento di indurlo finalmente a
parlare; che, sia stato sottoposto ad un ennesimo violento pestaggio
e che sia morto per le percosse ricevute, per cui si sarebbe dovuto
ricorrere per forza di cose alla tragica messinscena del suicidio.
Liberato
immediatamente dopo la tragedia, Roberto Elia, questa strana ed
ambigua figura, verrà subito espulso dagli States, ma prima farà una
dichiarazione che è un capolavoro di contraddizioni e di cose dette
e non dette. Pochi giorni dopo il 17 giugno 1920, Elia è già in
Italia, dove di lì a poco morirà misteriosamente. Nel frattempo
sulle prime pagine dei giornali americani cominciano a delinearsi i
veri retroscena dell'"affaire" Salsedo", anche grazie
all'opera di denuncia dei circoli democratici e dei militanti
anarchici. E proprio mentre si dedicano a ciò, vengono prima
fermati, poi arrestati i due anarchici Sacco e Vanzetti. I due
pagano così il loro volersi interessare troppo da vicino del Salsedo.
Purtroppo la loro vicenda, che monopolizzerà l'opinione pubblica
americana negli anni a venire, farà cadere nel dimenticatoio l'"affaire
Salsedo". E mentre per Sacco e Vanzetti si arriverà alla fine ad
una completa riabilitazione, per Salsedo nulla. Anche perché la
verità su quest'ultimo avrebbe comportato, di fatto, un'accusa di
omicidio nei riguardi della polizia di New York. La storia di Andrea
resterà sconosciuta, anche alla maggior parte dei cittadini della
sua patria d'origine, salvo un breve e fugace accenno in occasione
del caso Pinelli, nel clima rovente degli anni della grande
contestazione giovanile del Sessantotto.
Rosa
Casano del Puglia
Ottobre
2011
La
presente nota è tratta da un articolo di Orazio Ferrara |