Recensione di
Luigi Alviggi
Ponderosa e di estremo interesse l’opera in questione,
che costituisce un vasto ampliamento ed approfondimento dell’omonimo
tascabile di successo nato nel 1999.
Gli Autori - Yvonne Carbonaro poetessa, scrittrice e
critico d’arte; Luigi Cosenza, ingegnere e nipote omonimo del grande
architetto della Napoli del dopoguerra - compiono un’opera di indagine e
ricostruzione davvero encomiabile fornendoci un panorama esauriente e
storicamente ordinato delle principali ville del luogo, dall’epoca
romana sino ai giorni nostri, termine (?!) forse della moda delle ville.
Villa in latino significava casa di campagna con funzione
prevalentemente agricola, e solo in un secondo tempo assunse quello di
casa signorile. Afferma Mimmo Liguoro nella prefazione:
“Ogni villa, ogni palazzo (o ciò che ne resta) consente
di ricostruire geografie e realtà urbane dei tempi che furono. E di
epoca in epoca cambiavano gusti, stili, modi di vita. Lungo l’itinerario
delle ville napoletane è possibile "vedere" il mutamento dei tempi e,
insieme, la loro costanza. Fatti, personaggi, momenti dimenticati o
rimasti negli annali.”
Dati i numerosi “sistemi di ville” che nelle varie epoche
si sono sviluppati in zone di specifica importanza in quel momento – in
genere edifici reali -, è impossibile riportare un elenco completo ma le
più importanti trovano posto in questo amplissimo excursus dovuto al
particolare impegno del duo Carbonaro - Cosenza. Fatta eccezione per
citazioni esterne di grande importanza, gli Autori si concentrano
sull’area cittadina, già di per sé molto ricca. Tante illustri ville
sono scomparse a causa del procedere dello sviluppo urbano nei secoli,
altre sono andate distrutte per edificare sullo stesso posto ville più
recenti, ma sempre accurata nel testo è la successione delle diverse
fasi avvenute.
Compito ancor più arduo in un’area quale la nostra che
certamente non eccelle per conservazione e memoria delle vestigia del
passato. Ricchi l’insieme di note per ogni capitolo e la bibliografia
generale di approfondimento; ricchissimo il corredo di foto illustrative
del testo con dettagli che ci fanno conoscere, sulla base di stampe e
quadri antichi, anche costruzioni oggi scomparse.
Si parte dall’epoca romana citando le dodici ville che
Tacito afferma Tiberio costruì a Capri, con il poco che di esse resta ma
per le quali i ruderi di Villa Jovis ben testimoniano la magnificenza:
questa si estendeva per 5.500 mq con più piani sovrapposti. Fu portata
alla luce da Amedeo Maiuri negli anni ’30 del secolo scorso. Altra
citazione d’obbligo sono le Ville di Lucullo del I sec. a.C.. Una
occupava l’area del monte Echia, estendendosi fino all’isolotto di
Megaride (oggi Castel dell’Ovo), con vasti giardini e vasche per
itticoltura; l’altra sorgeva nella zona della Gajola-Nisida (nome
derivato dal greco nesis, piccola isola, la sommità di un antico
vulcano). Sul posto, nell’altra enorme Villa di Pollione, fu ospite
Virgilio,il grande poeta con fama di mago sepolto a Napoli. Lì il
profilo della costa attuale è molto mutato per effetto della forte
subsidenza che ha fatto sommergere gran parte delle rovine di epoca
romana.
Del periodo aragonese citiamo la Villa di Poggio Reale,
iniziata nel 1487 su un luogo una volta paludoso dall’architetto di
Lorenzo il Magnifico Giuliano da Maiano, costruttore a Napoli anche
della Porta Capuana.
Dell’epoca dei viceré spagnoli ricordiamo le ville della
collina di Pizzofalcone – forse così chiamata dalla caccia con il
falcone ivi praticata dagli Angioini – e gli “spassi” posillipini, oggi
scomparsi. Rimangono di importanti: Palazzo Donn’Anna (1642), opera di
Cosimo Fanzago, che prende il nome dalla viceregina Anna Carafa, moglie
di Ramiro de Guzmàn; e Palazzo Carafa di Roccella in Via dei Mille, del
Comune dal 1984 e sede dal 2005 del Palazzo delle Arti di Napoli (PAN).
Con la costruzione, a partire dal 1742, della Reggia di
Portici per volere di Carlo di Borbone, poi Carlo III di Spagna, pensata
inizialmente come palazzina per la caccia alle quaglie, si svilupparono
le Ville Vesuviane del Miglio d’Oro, purtroppo quasi distrutte dalla
speculazione edilizia degli anni del boom fino alla costituzione, nel
1971, dell’Ente per le Ville Vesuviane che ha cercato di salvare il
salvabile. Per tutte le 122 enumerate, ricordiamo la restaurata Villa
Campolieto del Vanvitelli ad Ercolano.
Dal 1738, sempre per volere di Carlo, iniziò la
costruzione della Reggia di Capodimonte con il suo parco, pensato come
riserva di caccia. A seguire si sviluppò un ampio sistema di ville
nobiliari di contorno, anch’esso oggi scardinato nel contesto pur se
qualcosa rimane. Citiamo soltanto la Torre del Palasciano - un celebre
medico napoletano dell’800 tra i fondatori nel 1883 della Società
Italiana di Chirurgia - eretta dall’architetto Antonio Cipolla e
ispirata alla torre del Palazzo della Signoria di Firenze, ben visibile
dalla Tangenziale sulla sinistra prima del tunnel dell’Arenella in
direzione Pozzuoli.
Sulla collina del Vomero ricordiamo La Floridiana,
iniziata nel 1817 dal toscano Antonio Niccolini, dono di Ferdinando IV
di Borbone alla moglie morganatica Lucia Migliaccio, duchessa di
Floridia. Ottimamente conservata con il suo giardino all’inglese, oggi è
un museo. Villa Lucia fu il suo kaffehaus, cioè il padiglione mondano.
Altro ovvio luogo di sviluppo di nobili “case di
delizie”, dopo la costruzione del Palazzo Reale, fu la zona di Santa
Lucia, Chiaia. Si ricorda che la linea di costa attuale non corrisponde
a quella esistente fino agli inizi del ’900, data la notevole superficie
costiera sottratta al mare con opportune colmature. Tra esse delizie la
Villa Reale, oggi Villa Comunale, luogo di passeggio per famiglia reale
e nobiltà, della fine del XVIII secolo, – chiamata anche la “Tuglieria”,
distorta locuzione nostrana dei parigini “Giardini de la Tuileries”.
Ancora, Villa Pignatelli(1826-1830), superba costruzione dell’architetto
Pietro Valente, voluta dalla famiglia Acton.
Con l’apertura di Via Posillipo, iniziata da Gioacchino
Murat nel 1812 e completata fino a Coroglio da Ferdinando IV di Borbone
nel 1830, in molti ritornarono ai luoghi prediletti dagli antichi romani
con abitazioni quasi tutte documentate dai tanti pittori della Scuola
Posillipina. Non possiamo non ricordare la splendida Villa Doria d’Angri
(1833), edificio palladiano neoclassico dovuto a Bartolomeo Grasso, oggi
una delle sedi dell’Università Parthenope. Dell’inizio 800 è Villa
Rosebery che, con i quattro edifici ed un parco di oltre 5 ettari,
costituisce uno splendido complesso residenziale patrimonio dello Stato,
ospitante il Presidente della Repubblica nei suoi soggiorni napoletani.
L’eclettismo spinto fu tipico delle costruzioni del dopo
Unità d’Italia. Tra le più importanti: Villa Crispi nell’omonima via; il
neogotico Castello Aselmeyer dovuto a Lamont Young –architetto
napoletano di famiglia inglese - visibile da Piazza Amedeo guardando
verso l’alto; la quasi distrutta Villa Ebe, di proprietà comunale, in
perenne attesa dei lavori di recupero. Ricordiamo anche la villa La
Santarella (1909), nome preso da una delle commedie di maggior successo
di Eduardo Scarpetta e sua abitazione, che ha dato il nome all’intera
zona dove sorge. Nella prima metà del 900 si diffonde anche lo stile
Liberty – nome preso dai magazzini londinesi Liberty - con la sua
spiccata predilezione per motivi e fregi di ispirazione floreale.
In gran numero sono i riferimenti legati allo sviluppo
del quartiere Vomero e alla zona dei Camaldoli, così chiamata dall’Eremo
ivi costruito alla metà del 500, su progetto di Domenico Fontana, sui
resti di un Eremo di San Gaudioso di circa mille anni anteriore.
Con il periodo fascista si afferma il Razionalismo ad
opera specialmente dell’architetto Luigi Cosenza (1905-1984), artefice
dell’improduttivo – non per sua colpa –Piano Regolatore Urbano del 1946
e progettista, tra l’altro, della nuova Facoltà di Ingegneria (1965) di
Piazzale Tecchio. L’opera più celebre di tale corrente è Villa Malaparte
del 1938 (in copertina del libro) alla Punta Massullo di Capri, luogo
selvaggio e bellissimo, progettata dallo scrittore stesso e da Adalberto
Libera. Ha avuto ospiti di tutto rilievo ed è ben conservata anche a
seguito di una corretta utilizzazione.
L’opera termina con un cenno ai Piani Regolatori del
Novecento.
Dettagliata la narrazione delle vicende storiche, che si
arricchisce di minuziosi dettagli a proposito dei luoghi interessati
dalle costruzioni e dei progressivi cambiamenti di assetto, e si propone
come filo conduttore nella sequenza, a volte intricata, di proprietari e
di modifiche intervenute. Il lavoro è, inoltre, una miniera di
informazioni, letterarie, artistiche, sociali, ambientali, e, specie per
i tanti casi di monumenti scomparsi, procede ad una ricostruzione di
carattere filologico di tutto quanto li riguardava dall’epoca
dell’originario splendore alla distruzione finale.
Concludiamo con le parole augurali della Carbonaro nella
Premessa:
“Un’altra finalità, accarezzata e sperata come contributo
di impegno civile, è che questo sia pur minimo apporto alla
consapevolezza delle vicende pubbliche e private di una città, splendida
nel mondo e scelta, ci piace ripeterlo e ci piacerebbe che il lettore lo
scoprisse insieme a noi, quale luogo ideale da intellettuali di tutti i
tempi, possa avere una qualche incidenza nella coscienza civile. Siamo
infatti convinti che ogni operazione in tal senso costituisca un
tassello importante per quel recupero di orgoglio civico che, stritolato
tra speculazione edilizia e malaffare, nell’ultimo cinquantennio è
andato piú che mai appannandosi. A ciò si aggiunga che quella parte di
patrimonio, comunque ancora esistente, di bellezze artistico-naturali a
vocazione culturale, al cui enorme giacimento si sarebbe potuto e dovuto
attingere,non è stato né opportunamente tutelato né adeguatamente
esplorato e valorizzato nelle sue infinite potenzialità di concreti
sviluppi.”
Le Ville Di Napoli Carbonaro Yvonne - Cosenza Luigi,
Newton-Compton, 2008, pp. 448 € 25,00 |