Molte furono le ville costruite dalla grande famiglia
dei Principi di Trabia nell’agro palermitano nel lungo
periodo che li vide artefici della vita politica e
sociale della città:Villa Trabia Campofiorito è una di
queste.
Immersa nei fitti agrumeti di S. Maria di Gesù, antica
borgata a sud-est di Palermo, vi si accede da un
ingresso sull’omonima mia caratterizzato da due grandi
pilastri posti a capo del largo viale che conduce allo
spiazzo antistante la casa. Questa, particolarmente
semplice e lineare nell’impianto planimetrico e nei
prospetti, non lascia lontanamente immaginare cosa
invece si nasconde poco oltre; una fontana che si pone
come uno dei più significativi esempi di architettura
barocca della Sicilia. Vi si giunge da un ciottolino
che, proseguendo nella stessa direzione del viale
d’accesso attraverso il fitto agrumeto, si apre poi
quasi improvvisamente dando sfogo alla imponente
maestosità di questo monumento che, nonostante il
pessimo stato in cui versa, lascia ancora immaginare di
quale bellezza abbia un tempo goduto.
La composizione è concepita come un arco di trionfo a
tre fornici fermato, anzi “fotografato” potremmo dire,
nell’attimo in cui un carro trainato da tre cavalli fa
il suo ingresso nell’antistante piazzale. (V. foto 1).
Nonostante la profusione di decorazioni il monumento
risulta molto ben controllato nella sua esuberanza
decorativa dichiarando subito la non comune perizia del
suo autore. Scandito verticalmente da colonne tortili
che nascondono la loro funzione portante, ornato con
scagliette di ossidiana, gusci di ostriche e conchiglie
marine montate ora a boccioli di rosa, ora a grappoli
d’uva, la fontana è un raro esempio di raffinato gusto
dell’ornato architettonico e della decorazione in
generale. (V. foto 2 – 3 - 4).
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Foto 2 |
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Foto 3 |
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Foto 4 |
Non volendo trascurare nessuna delle tre arti maggiori
l’autore volle inoltre completare figurativamente
l’opera lasciando campo alla pittura nell’intradosso
dell’arco centrale ed in diversi inserti pittorici a
soggetto paesaggistico.
Un primo esame morfologico può essere condotto secondo
due direttrici: una verticale, l’altra orizzontale.
Analizzando il monumento secondo la prima si nota come,
oltre ad essere simmetrico, almeno apparentemente,
rispetto al proprio asse, esso sia caratterizzato da un
alto corpo centrale, l’arco di trionfo sormontato da
fastigio, affiancato poi da altri due corpi
complementari con un arco minore per ciascuno.
Osservando invece la composizione secondo una
direttrice orizzontale, la si può idealmente scomporre
in due ordini: uno inferiore, dal piano campagna fino
alla trabeazione ed uno superiore, comprendente l’arco
centrale e le loggette sovrastanti i due archi e corpi
laterali. Ma la sorpresa maggiore si ha osservando la
fontana prima anteriormente e poi posteriormente: si
scopre allora il significato scenografico della
composizione che presenta la caratteristica di avere
l’arco centrale posteriore ribassato rispetto a quello
anteriore; come pure ribassate posteriormente appaiono
le cornici alla base dell’arco. Tutto ciò conferma
l’attento studio dell’autore mirante ad esaltare il
complesso rispetto a predeterminati punti di vista.
Altri elementi poi, anche se in un primo tempo
incomprensibili e, secondo un giudizio affrettato forse
attribuibili ad una presunta bizzarria dell’autore,
confortano tale ipotesi.
Tornando per ora all’esame di primo approccio col
monumento, appare fondamentale la trattazione di ciò che
costituisce il fulcro della composizione: il carro.
Questo, costituito da una grande conchiglie in muratura
capovolta montata su ruote, è trainato da tre cavalli in
marmo di Billiemi, la tipica pietra grigio – azzurra del
palermitano; alle spalle del carro una grande foglia di
acanto in muratura, un tempo tempestata di piccole
conchiglie, conclude il complesso scultoreo. Dietro, una
rupe artificiale fatta di innumerevoli stalattiti,
culmina nel punto dal quale un tempo sgorgava l’acqua
che, cascando giù per dei gradini ottenuti con lastre di
ardesia poste di taglio, dopo varii e tortuosi percorsi
finiva, attraverso le bocche dei tre cavalli, giù nella
vasca delimitata anch’essa da un bordo in marmo di
Billiemi. Sotto gli archi laterali simili giochi d’acqua
conferivano all’intero complesso una gioiosa pulsazione
di vita. Il carro marino, trainato dai tre cavalli in un
gorgoglio di acque schiumose, richiama alla memoria la
nascita di Venere.
Tale ipotesi è suffragata dalla presenza di bocciole
di rose di cui il monumento è costellato; boccioli che,
secondo il racconto mitologico, sbocciavano al passaggio
della dea. Contrariamente a quanto potrebbe ritenersi,
la dea non è e non è mai stata rappresentata in forma
statuaria, in quanto assente alla sommità della cascata
o in altro punto un qualsiasi basamento od anche traccia
di esso; la dea,Venere, è dipinta nell’intradosso
dell’arco centrale, condizione questa più confacente al
suo status in quanto meno materialistica e più eterea,
almeno nel concetto del tempo. Tra i resti dell’intonaco
staccato si intravedono un braccio, parte di un mantello
e le gambe di alcuni puttini. Sul carro poi trovava
posto la statua dell’auriga, i resti della quale sono
conservati dai proprietarii. Sul lato sinistro della
fontana, nascondo da una duna di sabbia, sono i resti di
un muro che, partendo dalla vasca retrostante, si
sviluppa con andamento curvilineo verso lo spettatore;
tracce di un muro analogo si riscontrano anche dal lato
destro dove in particolare si nota una rientranza nel
lato esterno della fontana che probabilmente doveva
servire ad agevolare l’accesso alla vasca retrostante.
Un primo esame della pianta della fontana lascia
quanto meno perplessi per le irregolarità che si
presentano.
Il trasferimento in scala adatta di quanto rilevato in
sede di sopraluogo mette in luce una distribuzione
planimetrica tutt’altro che simmetrica od equilibrata
quale la osservazione del monumento induce a
prefigurare, dando invece forma ad un disegno
asimmetrico e irregolare. (V. dis. 1).
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Dis. 1 |
Osservando il rilievo si nota:
a) la divergenza tra il lato posteriore della fontana
ed il muro della vasca retrostante;
b) lo spessore del muro posteriore all’arco destro,
contrariamente agli altri, larghi m. 1,35, è di metri
1,45;
c) le diverse inclinazioni dei lati interni dell’arco
centrale;
d) le differenze formali tra i due basamenti
incornicianti l’arco centrale;
e) le deformazioni dei basamenti sui quali sono
sistemati i tre cavalli e la loro diversa forma;
f) le diverse inclinazioni dei lati esterni destro e
sinistro;
g)a differenza di ben venti centimetri di larghezza
tra l’estremo corpo destro e l’estremo corpo sinistro;
h) il platano di sinistra è tangente alla ipotetica
linea congiungente i quattro basamenti di facciata;
i) il destro ne è intersecato.
Tutto ciò non può essere dovuto ad errori delle
maestranze mal guidate, in quanto non si spiegherebbe
come mai il risultato prospettico sia invece così
impeccabile e gradevole.
Comincia allora a farsi strada l’idea che quelle
deformazioni non siano casuali ma attentamente studiate
e volute. La risposta a tale ipotesi si ha osservando la
fontana da dietro e più esattamente dal muro posteriore
della vasca. Ci si accorge allora che il centro visivo
del cono ottico posteriore non coincide in pianta, come
sarebbe stato lecito aspettarsi, con il centro del muro
stesso, bensì con un punto posto a m. 4,40 dal bordo
destro della vasca. Riportando questo punto sulla nostra
pianta e congiungendolo con il centro dell’arco centrale
otteniamo un allineamento: esattamente il prolungamento
del viottolo d’accesso. ( V. dis. 2).
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Dis. 2 |
Pertanto, il lato della vasca sulla quale la fontana è
“seduta”, non è perpendicolare all’asse sopra
determinato e quindi al viottolo stesso. L’architetto,
nella determinazione di ottemperare contemporaneamente
alle esigenze progettuali, secondo le quali sarebbe
stata inconcepibile una mancata ortogonalità tra l’asse
del viale d’accesso e la composizione stessa, con quelle
dovute alla realtà dei luoghi, ruotava per quanto
possibile la composizione in senso orario. Ma, una tale
operazione non poteva essere condotta illimitatamente
fino a raggiungere il risultato voluto, perchè avrebbe
dato origine oltre che a un dubbio risultato formale,
anche se rilevabile solo posteriormente, anche a dei
problemi di ordine strutturale. Già la piccola rotazione
operata creava di tali problemi, tant’è che il muro
posteriore dell’arco destro veniva ingrossato di dieci
centimetri. Una ulteriore piccola correzione a tale
inconveniente è apportata con l’ausilio dei platani
posti ai lati della fontana; più esattamente con la cura
posta nella loro ubicazione: si noterà che l’albero di
sinistra è tangente la ipotetica linea congiungente i
quattro basamenti di facciata, mentre il lato destro ne
è esattamente intersecato.
Nonostante ciò, l’ortogonalità tanto bramata non è
raggiunta, anche se per poco. L’architetto non poté o
non volle fare di più, probabilmente pago del risultato
raggiunto.
La differenza di larghezza tra i due corpi estremi di
venti centimetri, è dovuta, riteniamo, alla esigenza di
nascondere alla vista dell’osservatore lo spigolo
sinistro della vasca, altrimenti visibile. Non era
d’altronde pensabile di spostare l’intera composizione,
in quanto così facendo non sarebbe più stata centrata
con il viale d’accesso.
A questo punto si sono chiarite solo parte delle
questioni poste dall’esame della pianta, restando ancora
nell’ombra altre, probabilmente da ritenere più
importanti. La causa della diversa inclinazione dei lati
interni dell’arco centrale, dei due basamenti a questo
connessi, dei due lati esterni della composizione, è
ancora da ricercare nella mancata ortogonalità tra la
composizione e l’asse visivo coincidente con il viale
d’accesso, coniugato alle esigenze di geometria
prospettica che privilegia l’osservatore in entrata. I
prolungamenti dei lati interni dell’arco centrale
infatti, si intersecano sul predetto asse ad una
distanza di ventiquattro metri esatti dal limite
posteriore della composizione. I prolungamenti dei lati
esterni dello stesso arco, si intersecano invece ad una
distanza di dodici metri. E’ interessante notare come su
tali prolungamenti siano ubicati i vertici dei settori
circolari generati dai prolungamenti dei lati interni
degli archi laterali. Non riteniamo un caso inoltre che
il bordo anteriore della vasca sia posto esattamente a
sei metri anche dal fuoco prima determinato. Su questo
stesso punto convergono le linee di fuga del piedistallo
centrale dei tre portanti i cavalli. I due piedistalli
laterali invece dovevano convergere con il centro del
lato posteriore della composizione; ma, forse a causa di
un lieve errore o forse di spostamenti degli
allineamenti dovuti al restauro (o più di uno) che la
fontana ha subito, questi appaiono alterati; si
consideri che una differenza nello spessore
dell’intonaco di anche uno o due centimetri tra le due
estremità di uno stesso lato può determinare la perdita
dell’allineamento. La ricerca di ortogonalità,
coniugandosi con altre necessità di tipo architettonico
ha dato origine ad una incongruenza, ovvero se vogliamo,
ad un eccessivo perfezionismo: il lato esterno del corpo
sinistro, come si è già detto, è convergente
posteriormente con un punto posto a trentasei metri dal
bordo posteriore della fontana; se si osserva
lateralmente la cornice soprastante che divide la
composizione in due ordini, si nota come le linee delle
modanature superiori che dovrebbero essere parallele al
lato sottostante, sono invece gradualmente (in sezione
dal basso verso l’alto), portate in allineamento
ortogonale alla facciata. Cioè uno stesso lato è
“costretto” e “forzato” ad assolvere ad due precise e
diverse esigenze ottiche: una prospettica, l’altra
formale. Ciò d’altronde è nel pieno rispetto dei
concetti e delle teorie barocche miranti ad ottenere un
predeterminato effetto architettonico visivo, l’unico
che conti per quel tempo, intervenendo, modificandola,
sulla realtà geometrica della fabbrica. Osservando poi
l’immediato intorno della vasca dal lato anteriore, si
notano le tracce di quello che prima era un gradino,
probabilmente rivestito di marmo che, sviluppandosi in
forma circolare, completa plani metricamente la
composizione. Procedendo al rilievo di questo e
riportandolo in pianta, ci si è accorti che esso
richiama la metà longitudinale di una immaginaria
ellisse. Operando allora il completamento di tale figura
posteriormente alla fontana, si è notato che una
estremità, quella relativa al raggio minore, opposta al
graduino dinanzi descritto, coincide esattamente con il
punto centrale del lato posteriore dell’intera
composizione. La fontana risulta così inscritta in
questa ellisse, che viene a costituire il tema
geometrico di base. (V. dis. 3).
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Dis. 3 |
Ciò potrebbe far supporre che i due muri che
fuoriuscivano lateralmente dalla composizione, di cui
come già detto resta solo qualche traccia, concorressero
a delineare una seconda ellisse, maggiore della prima,
delimitata anteriormente da un secondo gradino di cui
sembrerebbe trovarsi testimonianza nella sagoma del
terreno immediatamente antistante. Ma questa ovviamente,
è solo una supposizione.
Una tale attenzione e perizi poste nella elaborazione
della pianta di questa architettura, induceva a ritenere
che un simile studio dovesse essere stato condotto anche
in alzato. Operando una sezione dell’arco centrale e
conducendo posteriormente i prolungamenti della volta e
delle cornici alla base di questa, , si trova che detti
prolungamenti si incontrano in un punto posto a
36 metri dal lato posteriore della vasca, lo stesso su cui
convergono in pianta i lati esterni della fontana.
Ponendosi sul muro posteriore della vasca, in quel punto
distante m. 4,40 dal bordo destro, in allineamento cioè
con l’asse visivo della intera composizione, si nota che
ad una altezza di m. 1,70 si trova il centro del cono
ottico determinato dai prolungamenti della sezione della
volta e delle cornici alla base di questa, convergente
con il punto posto a
36,00 metri. (V. dis. 4).
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Dis. 4 |
Non riteniamo che questo sia un caso, posto che ci si
sarebbe potuti trovare in mille altre diverse posizioni,
più alte o più basse. Forse questo particolare è stato
voluto proprio per far notare, anche se solo
posteriormente, l’uso della prospettiva scenografica.
E’ sintomatico che tutte le misure adoperate nella
costruzione prospettica della pianta ed anche
dell’alzato, siano sempre multipli di 3: 6, 12, 24, 36;
un probabile riferimento al numero perfetto. D’altronde
tre sono gli archi costituenti la composizione e tre i
cavalli marini. Rilevando infine che l’arco di trionfo è
realizzato con il ricorso al rapporto aureo fra
larghezza ed altezza e che la trabeazione che stacca
inferiormente un quadrato, dando così origine ad un
nuovo rettangolo aureo in cui l’arco per intero trova
sistemazione, si ha la precisa misura dell’altissimo
valore culturale dell’opera.
Evidentemente una opera così elaborata non poteva
certamente essere stata concepita per restare nascosta
fra gli agrumeti da cui oggi è circondata. Appare allora
logico e consequenziale allora supporre che una sorta di
giardino o villa dovesse un tempo renderle omaggio. Da
alcune testimonianze ci è infatti confermato che l’area
compresa fra il piazzale antistante la villa e la
fontana, oggi occupata da un fitto agrumeto, era uno
splendido giardino di cui restava la fisionomia fino
circa settanta anni addietro. Questo era caratterizzato
da un largo viale centrale che univa la villa alla
fontana, intersecato perpendicolarmente da altri tre
viali che giungevano fino ai muri perimetrali. (V. dis.
5).
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Dis. 5 |
Ad ogni incrocio era una fontanella e dei sedili;
come pure alle estremità dei viali trasversali. In
queste estremità, in particolare, è possibile in verità
osservare dei dipinti sui muri perimetrali con
configurazioni tali da da fare appunto pensare senza
dubbio a dei riquadri pittorici di piccole fontane.
Relativamente ai viali, scavando in prossimità del
viottolo per il quale si giunge alla fontana, si sono
rinvenute consistenti tracce di acciottolato che
lasciano verosimilmente supporre che tutti i viali
fossero realizzati a questo modo. In particolare si è
notato che le piccole pietre di fiume o di mare
adoperate per la loro realizzazione, sono di tre colori:
grigio, beige – giallo, rosso, disposte secondo precisi
disegni geometrici determinati da mattoni di cotto posti
di taglio e dello spessore di circa
1,5 cm..
Nulla si sa di preciso sull’autore dell’opera; si può
però tentare una attribuzione attraverso una indagine
condotta sui suoi caratteri stilistici peculiari.
Dall’esame di questi, dei materiali adoperati e delle
tecniche adottate, riteniamo l’opera databile ai primi
del settecento. E’ evidente c innanzi tutto che l’opera
descritta è il frutto di una progettazione elaborata che
denota nel suo autore una notevole cultura geometrica ed
architettonica. Il Caronia nota che, come era costume
dell’epoca, “anche l’eccellentissimo Senato di Palermo
non lasciava trascorrere una solennità (entrata del
nuovo vicerè o funerali del vecchio, nozze, o
ricevimento di un augusto personaggio, festa della
Patrona), senza erigere un arco trionfale, un altare, o
una tribuna o una fontana, dalla vita di qualche giorno,
un cosiddetto apparato del quale realizzava il progetto
il Macchinatore o Architetto del Senato” e “che tale
carica venne per quaranta anni ricoperta da Don Paolo
Amato di Ciminna (1634 – 1714)”
. Di lui dalle cronache dell’epoca
sappiamo che “…non vi fu nei suoi tempi a Palermo chi
donasse mano a qualche ornamento di fabbrica o
abbellimento di edificio sacro o profano, che
trascurasse l’opera sua di architettura e disegno, al
fine di riuscire ugualmente pregevole e con distinta
vaghezza”
. Nella sua dissertazione il
Caronia prosegue: “Poteva il Principe di Trabia trovare
un altro architetto che potesse meglio del già maturo
Don Paolo eseguire ed interpretare meglio il suo gusto
aggiornato e cosmopolita?”.
Nell’intento di valutare meglio questa ipotesi,
esaminando altre opere di Paolo Amato, riteniamo di
cogliere non poche affinità. Da un punto di vista di
impianto prospettico si noti come la fontana di Villa
Trabia Campofiorito rispecchi un tema architettonico,
con i tre archi, già molte volte espresse dall’Amato in
altre sue opere; ricordiamo ad esempio l’ordine
superiore della facciata del SS. Salvatore a Palermo,
dove oltre al motivo sopra citato ricorrono i pilastri
accoppiati a due a due e sorretti da alti basamenti.
Come giustamente osserva il Comandè “I portali, in
special modo,dell’Amato si distinguono subito per la
ricchezza degli ornati…e per le colonne tortili,su alto
plinto, con larga fascia di ornato alla base, sormontate
da capitelli in stile corintio”
.
La nostra fontana fra l’altro, è caratterizzata
appunto da alte colonne tortili, riccamente ornate,
poste su alti plinti, e sormontate da capitelli
corintii.
Ma passando ad esaminare altre opere dell’Amato, più
vicine cronologicamente al tempo in cui riteniamo sia
stata realizzata la fontana, come ad esempio il portale
dell’Oratorio dei Sacerdoti del
1697 a Palermo, (V. foto 5),
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Foto 5 |
rileviamo una serie di caratteri comuni al nostro
monumento, come le colonne tortili poste sugli altri
plinti, le alte fasce decorative alla base delle stesse
colonne, i capitelli corintii, le volute delle colonne
riccamente ornate nonché le sagome di quell’accenno
(nell’Oratorio dei sacerdoti) di trabeazione dentellata
posta sopra i capitelli e che, nel nostro monumento,
corre invece lungo tutta la facciata dividendo
nettamente questa in due ordini, ed addentrandosi fino
all’interno dell’arco centrale. Gli stessi caratteri
troviamo nella cappella di S. Maria Valverde, sempre a
Palermo, opera anche questa attribuita a Paolo Amato e
dello stesso periodo. E’ interessante notare come invece
nel portale di S. Chiara a Palermo, dello stesso autore,
(V. foto 6),
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Foto 6 |
realizzato in data incerta ma sicuramente anteriore a
quella dell’Oratorio dei Sacerdoti, pur essendo il
disegno più semplice e lineare, si ritrovino già gli
stessi caratteri stilistici e formali sia nelle colonne
tortili che nella soprastante trabeazione. E’ opportuno
inoltre sottolineare la ricerca dell’autore leggibile,
(fra il portale di S. Chiara e l’Oratorio dei
sacerdoti), nel tentativo di applicare le leggi
prospettiche alle colonne tortili attraverso la
deformazione in tal senso dei capitelli corintii quasi
abbandonando, almeno temporaneamente, l’idea della
rastremazione delle volute delle colonne peraltro già
propugnata nell’apparato per l’Altare maggiore della
Cattedrale di Palermo in occasione delle feste di S.
Rosalia del 1693, (V. foto 7), nel portale del SS.
Crocifisso ed in altre opere ancora.
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Foto 7 |
Ricordiamo che il trattato dell’Amato,
La Nuova Pratica di Prospettiva, è del 1714 e che quindi
gli studi per tale trattato dovevano ovviamente essere
in corso già da diversi anni e pertanto la fontana
potrebbe esprimere la maturazione professionale
dell’Amato, nonché l’attuazione delle teorie che di lì a
poco avrebbe pubblicato.
Ma oltre a quanto fino ad ora esposto, ciò che più ci
colpisce nella ricerca dei caratteri simili fra la
nostra fontana ed altre opere dell’Amato, è il confronta
fra questa e l’apparato predisposto per
la Porta felice del 1713 a Palermo, (V. foto 8).
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Foto 8 |
La rassomiglianza è impressionante: se proviamo a
sostituire in tale apparato gli spazi dell’ordine
inferiore occupato dalle nicchie con le statue, con due
archi, otteniamo
la Fontana di Villa Trabia Campofiorito. Gli alti
plinti, l’uso delle colonne tortili, dei pilastri, del
fastigio e soprattutto le loggette del primo ordine, non
possono non richiamare alla memoria di ognuno il nostro
monumento.
Anche l’esame del disegno dell’ornato e degli stucchi,
soprattutto se confrontato con quello di Casa Professa e
di S. Maria Valverde porta alle stesse conclusioni.
Considerando poi che nell’ornato di queste chiese,
come nella fontana, è di norma il ricorso alle
scagliette di ossidiana, ai pavoni, alle foglie di
acanto etc., riteniamo assai improbabile che l’autore
del nostro monumento possa essere persona diversa da Don
Paolo Amato, Architetto del Senato palermitano.
Ricordando infine l’uso sapiente e sicure della
tecnica prospettica e scenografica si è quasi certi
dell’attribuzione già da molti altri del resto fatta;
beninteso che fin quando non si troverà una prova certa
che suffraghi tale ipotesi, questa potrà sempre essere
soggetta a smentite.
La fontana quindi, ove si accetti l’attribuzione a
Paolo Amato, si presenta, riteniamo, come l’opera
certamente più nobile, coerente e di più alto valore
artistico e culturale dell’Amato, che ha dimostrato di
sapere conciliare “l’aspetto fantastico della retorica
barocca – la meraviglia che persuade il popolo e diletta
i potenti – con le esigenze di un rigore teorico erudito
– che soddisfi l’architetto e convinca l’osservatore
intelligente”
.
Note
G.B. Comandè, Alcuni aspetti del barocco in
Palermo dal suo nascere alla fine del sec.
XVIII, in Quaderni dell’Istituto di Storia
Architettura , Roma, marzo 1968, pag. 22.
Clara Ruggeri Tricoli, Paolo Amato, La corona
e il serpente, Palermo, 1983, pag. 49.
Pubblicazione Internet del Portale del Sud,
aprile 2010
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