Le pagine della cultura

 

 

archivio autore

 

Timē e Aretē

nelle competizioni agonistiche dal passato ai giorni nostri

(Agon e Philotimia: valori umani di una società civile

o aspetti negativi di un mondo in continua lotta per il potere?)

di Fernando Sammarco

Il Menzaneos, vincitore delle gare ippiche in onore di Zeus Menzanas. Questo eroe ippico esprimeva il massimo della Timē e dell'Aretē in Messapia

Il termine Philotimos, nella sua accezione aulica, indica colui che mira alla gloria con massima cura delle virtù e con generosità verso gli altri. Egli coltiva nobilissimi sentimenti che conducono alla condivisione del bene in una visione prospettica di fratellanza e concordia fra gli uomini.

Euripide avverte, però, che ci può essere una philotimia negativa, che esalta l’amor proprio tendendo esclusivamente agli interessi personali e a un codardo antieroismo, ed una positiva che svolge un ruolo edificante e che può avere come fine ultimo anche il sacrificio personale per il bene della patria.

La philotimia, nel suo ambito più spiritualmente elevato, è quindi l’esaltazione della philia.

Un’importante riflessione sulla natura della philotimia la fa Ricky K. Green nel suo libro “Democratic Virtue in the Trial and Death of Socrates: Resistance to Imperialism in Classical Athens” (New York, Peter Lang, 2001). Nel suo excursus, l’autore rigetta la tesi comune che il grande filosofo fu messo sotto processo per empietà e per la sua pericolosa amicizia con Alcibiades e sostiene, invece, che egli fu oggetto di aspre accuse perché era ritenuto una minaccia verso i reggitori di Atene che erano interessati alla ricostruzione di una politica imperiale simile a quella della seconda metà del quinto secolo. I suoi accusatori avevano timore che la gioventù ateniese adeguasse le sue argomentazioni morali ad una percorribile corrente d’opinione critica o, peggio, si costituisse in un vero e proprio movimento politico contro i detentori del potere. La giusta chiave per capire bene la relazione di Socrate con Atene è di interpretare i riferimenti di Socrate alla virtù e alla verità come contrastivi nei confronti dell’ethos dell’agon (la lotta) e la philotimia (l’amore per gli onori ed il prestigio), che, secondo Green erano comunque entrambi necessari componenti ideologici per la ricostituzione dell’impero. Sia l’agon, sia la philotimia hanno le loro radici nella phusis (la natura) come diversi interlocutori di Socrate hanno esposto nei loro confronti dialettici. Socrate fu, quindi, processato e giustiziato perché egli minacciava la politica espansionistica di Atene. In un capitolo in cui si approfondisce l’importanza dell’agon e della philotimia per la società ateniese del tempo, Green spiega che i principi socratici si conformavano bene con le virtù pre-imperiali, con quei valori etici degli opliti per i quali l’agonismo, come leale confronto della forza e destrezza fisica, e l’amore per la dignità, l’onore e la gloria, ottenuti con generoso sforzo di sacrificio, erano stimati come i più eccelsi traguardi da perseguire.

La distinzione fra la cultura della vergogna e la cultura della colpa, viste dallo studioso E. R. Dodds nella sua opera “The Greek and the irrational (Berkeley 1951) e tra i valori competitivi e cooperativi addotti da A. W. H. Adkin sono tra i temi più influenti nella trattazione dell’ethos classico riferito alle attività umane in rapporto alle diverse manifestazioni civili, militari e sportive. Adkin nel suo libro “Merit and responsibility. A study in Greek values (Oxford 1960) non riconosce nell’epopea omerica i valori strettamente cooperativi adducendo che gli eroi non tenevano conto della philotimia in senso aulico, tranne nel raggiungimento della loro gloria e prestigio personali. La mancanza di philia nella competizione guerresca faceva di essi degli esseri non portati alla collaborazione, né alla condivisione degli sforzi, bensì ad un esclusivo ed egoistico desiderio di grandezza.

Gli studi contemporanei su Timē e Aretē tendono generalmente ad identificarle con i due valori positivi che erano centrali anche per Omero. La pratica di queste virtù: la sana competitività per il prestigio personale e la bontà e generosità nel perseguirlo portano indubbiamente alla gloria imperitura.

Agonistés o competitore che lotta nelle gare in squadra o in signolar tenzone.

Secondo la ricercatrice Margalit Finkelberg, come evidenziato nel suo saggio contenuto nella rivista culturale “The Classical Quaterly, New Series, Vol. 48, 1998, Cambridge Univerity Press, per Adkin, in ogni società, ci sono attività per le quali il successo è di primaria importanza e l’elogio o il biasimo sono riservati per coloro che, infatti, hanno successo o falliscono. La stessa autrice sostiene che una tale affermazione non tiene conto delle fondamentali caratteristiche dei nobili valori competitivi, condivisi ampiamente dagli antichi greci, prima della corruzione di tali termini. In nessun ambito, quelle peculiarità sono state portate alla luce più chiaramente se non in quello più competitivo delle istituzioni elleniche ed in particolar modo in quello atletico e sportivo. Soprattutto, l’assunzione di base che rende la competizione possibile consiste nel fatto che essa è una mutua emulazione fra individui uguali, e che qualsiasi di essi, secondo la tradizione greca, può raggiungere la soglia della più grande perfezione che sia dovuta ai mortali, attraverso l’áκρον άρετής, il massimo grado della virtù.

Nell’Iliade, la competizione nei giochi è un microcosmo di attività agonistiche che si disputano per ricompense onorifiche. I motivi e le passioni che governano e distolgono la condotta di Achille e Agamennone sono quelli che governano e distolgono i competitori nelle gare. In un contesto più ampio, gli esseri umani lottano per vincere premi, che essi considerano come prove di riconoscimento del loro valore da parte degli altri. Essi sono motivati dal desiderio di onori, che si traduce in una nozione che in Greco è espressa dal termine philotimia. Strettamente correlate a quella nozione è il desiderio di vittoria, in Greco, philonikia. Un uomo che, alimentato dalla philotimia or philonikia, compete con gli altri per vincere premi deve necessariamente desiderare di raggiungere i traguardi per cui egli lotta. Egli non ha bisogno di desiderare di vincerli ad ogni costo; può solo ricevere soddisfazione dalla vittoria, se è consapevole che, da solo o insieme alla sua squadra, ha battuto i suoi avversari con fair-play e che i premi che gli sono assegnati riflettono i suoi veri meriti. Quello stesso uomo o collettivo, se è superato con la stessa nobiltà nella gara, riconoscerà i meriti del vincitore e sarà leale nel pensare che il premio sia andato a colui o coloro che lo hanno onestamente meritato. Ciò non significa che egli non provi sconforto e delusione nel perdere anche se non consente, comunque, che tali emozioni influenzino la rettitudine del suo giudizio. In modo contrario a questo modello comportamentale, si pone colui che manifesta un preponderante desiderio di vittoria, da soddisfare con tutti i mezzi. Che cosa motivi un competitore ad ottenere indegnamente la vittoria è un mistero. Non è, inoltre, chiaro che cosa significhi per lui la sconfitta, subita con onore o con inganno. La maggior parte degli antichi pensatori greci considerava che colui che competeva per vincere con ogni mezzo non era solamente motivato dal solo desiderio di vittoria, ma anche da gratificazioni materiali. Egli era, quindi, destinato a rendere la vittoria immeritevole. I saggi dell’Ellade avrebbero detto che egli era condizionato da phthonos, un termine usato per indicare quello stato di mente che invidia il buono di un altro. Il phthoneros, colui che è affetto da rancore, non può sopportare di vedere un suo rivale godere delle proprie qualità; egli si sente frustrato in tale occasione e portato a desiderare il suo insuccesso.

Un’eccessiva philotimia e una smodata philonikia furono da essi considerate figlie di phthonos. Nonostante si riconoscesse che ci fosse un’ampia parte di phthonos nella maggior parte degli uomini, erano ciò nonostante propensi a condannare una simile condotta.

Vessillifero che dava inizio alla disputa agonistica nei tornei antichi.

In un libro del 1992, “Olimpia e i suoi sponsor”, K.W.Weeber, attraverso una precisa e documentata analisi storica, assesta, invece, un colpo mortale al mito di Olimpia. Si smentisce la convinzione secondo cui la motivazione degli atleti greci era il mero piacere di gareggiare, di misurare se stessi per amore della vittoria, già dall’etimologia del nome applicato al protagonista delle attività sportive. Atleta deriva da athlon, che vuol significare premio per la gara, ricompensa. Alla philotimia, cioè il desiderio di ottenere la gloria degnamente, si affianca e si sostituisce il desiderio di vincere premi concreti e preziosi, anche in denaro.

Nel VI sec. a.C., Solone stabilì una ricompensa di 500 dracme per ogni ateniese che avesse riportato una vittoria olimpica; somma considerevole, che all’epoca corrispondeva al valore di 100 buoi o 500 pecore. Dato che la partecipazione ad Olimpia presupponeva una preparazione di circa 10 mesi e che le competizioni erano retribuite, si può a ragion veduta parlare di vero e proprio professionismo e definire professionista colui che trae il proprio reddito dallo sport.

Il guerriero, dopo il rito sacro, è pronto a dimostrare il suo valore in difesa della patria (retrocopertina de "I Leoni di Messapia II - Il Cerchio di Fuoco")

Nel momento in cui la scienza economica ha iniziato ad interessarsi in maniera concreta allo sport si può introdurre la distinzione fra dilettantismo e professionismo, cioè il passaggio dalla fase eroica, caratterizzata dalla passione, dal sacrificio e dalla vittoria quale ricompensa morale del competere, alla fase in cui le attività sportive vengono considerate alla stregua di normali attività produttive, in cui gli atleti diventano i fattori della produzione, la competizione costituisce il bene offerto sul mercato, gli spettatori rappresentano i consumatori, le società di appartenenza svolgono il ruolo del datore di lavoro.

Si può quindi cercare, in prima istanza, di considerare lo sport professionistico, quello di squadra e il calcio in particolare, nell’ottica di un’impresa produttiva che fa parte di un mercato con concetti di prodotto, costi e ricavi, profitti e perdite.

Gli sport professionistici di squadra sono analizzati secondo la teoria economica dell’impresa nella produzione di beni (partite), mediante un uso appropriato e congiunto di fattori (giocatori) razionalmente organizzati in squadre. Tali beni sono ceduti di volta in volta ai consumatori (spettatori) direttamente o tramite strumenti audiovisivi.

Il calcio, in particolare, si è concretizzato in esercizio di attività economica in pratica dal 1870, quando le società inglesi e scozzesi iniziarono a recintare il terreno di gioco, a far pagare il biglietto per assistere allo spettacolo e soprattutto a corrispondere un salario ai propri giocatori.

Secondo la tesi dell’insigne economista Jones del 1969, il fine ultimo di ogni impresa è appunto quello del profitto e siccome le partite sono confezionate necessariamente con il contributo di due squadre ne consegue la necessità della massimizzazione dei profitti congiunti. Questo rende indispensabile la nascita e la sopravvivenza dell’organizzazione che raggruppa e disciplina l’attività delle società, cioè la Lega.

Le attività sportive e agonistiche in genere, nonché ogni competitività nei vari ambiti della vita sociale, devono, in ogni modo, essere nobilitate con sani principi che partono dall’amor proprio, inteso come cura e valorizzazione della propria persona, al rispetto degli altri e alla fattiva collaborazione di squadra. Solo in questo caso, la cultura dell’infamia, marchiata dalla vergogna e dalla colpa non potrà prosperare.

Timē e Aretē rimarranno per sempre i modelli da seguire per tutti coloro che fanno del loro stile di vita un esempio di onestà intellettuale, morale e materiale nel difficile cammino della fedeltà e lealtà, imprescindibili valori di una degna realtà umana.


Pubblicazione on-line del gennaio 2009


Visita il sito de “I Leoni di Messapia” http://www.ileonidimessapia.it/

Centro Culturale e di Studi Storici "Brigantino - il Portale del Sud" - Napoli e Palermo admin@ilportaledelsud.org ®copyright 2009: tutti i diritti riservati. Webmaster: Brigantino.

Sito derattizzato e debossizzato