Le Pagine di Storia

Il mistero della Tabula Peutingeriana

a cura di Alfonso Grasso

 

Nel 1598 il municipio austriaco di Augsburg ereditò dall’umanista viennese Konrad Celtes un'antica quanto singolare carta geografica. Si trattava di un rotolo di pergamena di 6,75 metri di lunghezza per 34 centimetri di altezza, fittamente coperto di linee, sormontate da una cifra romana e scandite da simboli convenzionali e minuscole raffigurazioni. Ad un più attento esame, le linee rivelarono essere altrettante tratte stradali, di lunghezza in miglia pari ai corrispettivi numeri romani. I simboli a loro volta indicavano i centri abitati, le grandi aziende agricole e, persino, le modeste stazioni di posta, nonché le catene di montagne, le isole ed i fiumi. Le sole città ammontano a ben 555, alcune delle quali rappresentate da un simbolo altre, le maggiori, da una miniatura del suo monumento più celebre.

Un'opera senza dubbio minuziosa e complessa che assurge a straordinaria, quando se ne precisano gli ambiti: dalla costa atlantica della Spagna e del Marocco, fino a quella dell'India! In pratica l'intero mondo conosciuto dai Romani. Al momento fu reputata una copia di un originale di gran lunga più antico, una delle tante prodotte da qualche convento, e fortunosamente sopravvissuta fino al XVI secolo. Più accurate indagini la confermarono come la riproduzione di una carta stradale dell'impero romano, di quelle fomite ai funzionari che, per una ragione o l'altra, dovevano spostarsi al suo interno. Per alcuni studiosi la mappa derivava dalla carta del geografo Castorio. Tutti concordavano con datare la carta verso l’ultima età imperiale, tra la fine del IV e l’inizio del V secolo. Un'epoca, quindi, posteriore di quasi quattro secoli alla catastrofe del Vesuvio del 79 d.C., arco storico sufficientemente ampio per averne fatto dimenticare le tragiche distruzioni.

Pertanto, all’altezza del golfo di Napoli avrebbe dovuto esserci un vuoto di centri abitati, a testimoniare il tremendo evento. Almeno laddove erano state sepolte in poche ore, e per sempre, le disgraziate cittadine nell'agosto del 79. Con una rapida scorsa, invece, si rintracciano di seguito Pozzuoli, Napoli, Ercolano, Oplonti, Stabia ed appena più dietro … Pompei! Tutte esistenti, tutte presenti al loro posto, nella giusta distanza relativa e con gli schizzi di alcuni loro edifici! E fenomeno persino più enigmatico, sebbene sia evidenziata l'unica villa che componeva Oplonti, non è neppure menzionato Miseno, né come abitato né, meno che mai, come base navale!

Pompei in un affresco

Alcuni studiosi hanno cercato di spiegare quest'ultima stranezza con la considerazione che Miseno, sul finire del IV secolo, sopravviveva al massimo come piccolo porticciolo (ipotesi scarsamente condivisibile, in quanto almeno sino al 476 qualcosa della base navale continuava ad esistere, e l'abitato fu distrutto dai Saraceni nel IX secolo). Alcuni hanno anche avanzato l’ipotesi che Ercolano, Stabia e Pompei siano presenti sulla carta per ricopiatura di mappe precedenti o, addirittura, come un “omaggio” alle città sepolte (anche questa ipotesi non sembrerebbe convincente: raffigurare tre cittadine cancellate quattro secoli prima, ma non la grande base navale ancora esistente!).

L’interpretazione corretta porterebbe quindi a concludere che la Tabula sia una copia della mitica carta di Agrippa. Miseno non avrebbe trovato menzione perché ancora di là da venire, a differenza delle città vesuviane all'apice del loro splendore! Presenti pure, perché attivi, il porto di Pozzuoli e la Cripta Neapolitana, che congiungeva la località flegrea a Napoli mediante una galleria lunga 710 m. Questa ipotesi viene anche convalidata dal fatto che la Tabula non da alcuna indicazione del Vesuvio che, non essendosi manifestato come sterminatore, non meritò alcun accenno! Ci furono, per la verità, studiosi del XIX secolo che attribuirono la permanenza toponomastica ad un ripopolarsi della fascia costiera, dopo quattro secoli della catastrofe.

A suffragio di questa supposizione vi è qualche oggettivo riscontro archeologico. In particolare il ritrovamento, nella zona alta di Ercolano, di un piccolo cimitero risalente al V secolo d.C. Qualcuno, quindi, era tornato a risiedere alle falde del vulcano: del resto Svetonio scrisse che l'imperatore Tito: "... tirò a sorte dal gruppo delle personalità di rango consolare quelle che dovevano presiedere alla ricostruzione della Campania e destinò, alla riedificazione delle città colpite, i beni delle vittime del Vesuvio delle quali non esistessero eredi".

Anche la strada litoranea fu ripristinata da Adriano 42 anni dopo l’eruzione. Pertanto: "... tutta la zona che da Napoli andava a Nocera fino a Sorrento rinacque a nuova vita, e fiorirono un po' dovunque quei centri agricoli e industriali, di cui le ville rustiche di Rectina e di Pollio costituirono due nuclei non trascurabili, attorno ai quali si sarebbero sviluppati più tardi i centri abitati di Resina e Pugliano...".

La tesi del ripopolazione delle pendici del Vesuvio, in buona parte condivisibile, non spiega però la presenza delle lussuose ville aperte sul mare. La linea di costa, infatti, era stata talmente stravolta dall’eruzione, che quelle ancora in piedi, o ridotte in rudere, si trovavano ormai o sotto la sua superficie o molto distanti dalla sua spiaggia.


Fonte

  • Flavio Russo e Ferruccio Russo, 79 d.C. Rotta su Pompei, Rivista Marittima n.10, 2004

Centro Culturale e di Studi Storici "Brigantino- il Portale del Sud" - Napoli e Palermo

admin@ilportaledelsud.org ®copyright 2007: tutti i diritti riservati. Webmaster: Brigantino.

Sito derattizzato e debossizzato