SUD: IERI, OGGI E DOMANI di Brigantino Incertezza ed Insicurezza Nel nostro sito si dedica molto spazio alla Storia, ritenendo che essa generi orgoglio e stimoli utili nel presente: così, cerchiamo di offrire non tanto opinioni, ma fatti da cui trarre motivi di personale convincimento. Fin dall’Unità, il Sud è stato oggetto di politiche inadeguate. Lo sviluppo frenato e le istanze disattese hanno instaurato un contesto negativo, che si ripercuote sui comportamenti individuali e collettivi. Un contesto caratterizzato da incertezza del diritto, e dall'insicurezza per l’estenuante convivenza con irregolarità piccole e grandi, esercitate a vario livello. Combinandosi tra di loro, incertezze e insicurezza stanno alla base di molteplici problemi del Meridione. Esse generano sfiducia, nel prossimo e nell’avvenire, Le nostre potenzialità ne risultano imbrigliate, sicché i nostri sforzi finiscono spesso per produrre poco: fatica enorme per risultati modesti. La capacità di riscossa sono da ricercarsi in ognuno di noi, ricordando che non si ama il Sud senza amare gli altri che vi abitano. La Democrazia La democrazia si concretizza con la registrazione delle esigenze ed aspettative della gente – spesso diverse e conflittuali tra loro – e con il tentativo di trovare equilibri efficaci e soddisfacenti. Tutto ciò nei riguardi del Sud, non è stato finora realizzato, e per rendersene conto basta dare uno sguardo alla cartina autostradale, all'orario dei treni o dei voli, al numero d’emigranti e di disoccupati. Il pregiudizio verso il Meridione è radicato, ed acquisito perfino da molti meridionali emigrati. Pochi sembrano accorgersi che il Meridione ha esigenze disattese o istanze proprie. Stiamo constatando il progressivo disimpegno della Amministrazione dagli investimenti produttivi nel Sud. L'imprenditoria del Sud è ostacolata dalle note condizioni di squilibrio: linee di credito ben più onerose che al Nord, le opere e servizi pubblici deficitari. Nell’attuale esecutivo vi è un partito antimeridionale per eccellenza. Una presenza anomala, se si pensa che non ha raccolto i voti necessari per la rappresentanza, e che nessun suo candidato si è sottoposto agli elettori meridionali. Ciò nonostante, questa compagine politica ha ottenuto ministeri, e tende ad imporre progetti, come quello del federalismo fiscale (devolution), che analizzati nel merito appaiono in netto contrasto con gli interessi del Meridione, dove il reddito pro-capite è la metà rispetto al Nord. Con la costosissima devolution (50 miliardi di Euro, secondo i calcoli di eminenti economisti) ci sarà "più Stato", e quindi un maggior onere per il contribuente. Lo stato nazionale, invece di alleggerirsi, si clonerà in esemplari sempre più piccoli, la cui onerosità complessiva è ineluttabilmente maggiore dell’originale di partenza. Le entrate erariali non saranno più distribuire laddove è necessario, ma con criterio egoistico (e miope). Nel 1860, quando il Sud era lo Stato più ricco, il sistema regionalistico fu rigettato dai vincitori liberali, che si accaparrarono tutto, investendo solo al Nord. Il Meridione ha finanziato l’intera Italia per cento, e passa, anni. In quasi 150 anni di storia unitaria, il Sud ha continuato a dare sodati per le guerre, rimesse degli emigranti, manodopera al Nord. Dei soldi nominalmente destinati al Sud, per la realizzazione di opere e servizi, la gran parte è tornata beffardamente al mittente. Non si comprende perciò per quale motivo il Sud dovrebbe ora accettare un sistema (devolution) che interromperà crescita e sviluppo. Federalismo Fiscale Guardando ai fatti, la riforma prospettata non può che essere considerata negativamente. Per alcuni nostalgici, la devoluzione sarebbe "l’indipendenza possibile", con l’insegnamento nelle scuole di dialetto e storia revisionata, per esempio.. Ma quale Governatore di una regione del Sud potrà permettersi di pensare a dialetto e storia, mentre la gente è in fila con le taniche per comprare l'acqua da bere? Non basta l'esperienza delle attuali regioni a statuto speciale a dimostrare l'anacronismo e l'inefficacia della devolution? Pur senza giustificare il deficit sociale e civile del Sud, nel giudicare le soluzioni si dovrebbe tenere presente l'emergenza in cui i meridionali vivono, senza certezze di lavoro e di diritto, senza adeguate condizioni di sicurezza. L’emergenza è talmente "normalizzata", da quietare ogni spirito di ribellione. Per ora l’unica sostanza del federalismo è il moltiplicarsi di poltrone e di protettorati politici, invece della sospirata semplificazione. Nella striminzita Italia, in cui già coesistono comuni e province, sembra perciò lecito affermare che la riforma regionalistica è una forzatura per dare più potere ad un partito a base locale. Tenendo i piedi per terra: si vuole creare un sistema sanitario, per esempio, della Basilicata? Non bastano i soldi. Si vuole creare la scuola della Basilicata? Non bastano i soldi. Vogliamo creare la polizia della Basilicata? Anche in questo caso, non bastano i soldi. Il mancato utilizzo di parte dei fondi messi a disposizione dall’UE è la riprova che le regioni meridionali non possono attivare le responsabilità, in difetto di capacità progettuale, di risorse, preparazione e strutture. Con la "devolution" queste difficoltà diminuiranno o si estenderanno? Un'altra conseguenza negativa nel Sud sarà il peggioramento dei servizi, per la crescita del debito pubblico, e l'insorgere tra le regioni meridionali della "guerra tra poveri". La situazione odierna, è vero, non ci piace, ma la devolution non è la scorciatoia del progresso, anzi fa cadere dalla padella nella brace. La strada maestra ci appare quella della semplificazione dello Stato, riscrivendo codici e procedure, ridando certezze di diritto e sicurezza, liberando risorse per realizzare opere secondo un progetto razionale, da perseguire con costanza. I luoghi comuni sul Sud Non è raro imbattersi in chi dice di amare il Sud, ed allo stesso tempo mostra di disprezzare noi che ci viviamo, bollandoci con luoghi comuni: sfaticati, vittimistici, imbroglioni ecc. Parole con cui ci inducono alla difensiva. Il problema non è tanto la critica in sé ma le intenzioni e i sentimenti che celano ed il disprezzo profuso. È lecito sostenere che noi Meridionali necessitiamo di disprezzo e di bastone per migliorare? Noi pensiamo di no, non fosse altro perché in quasi 150 anni questo metodo, pur scrupolosamente applicato, ha prodotto solo guai. Al contrario, riteniamo che l’orgoglio e la presa di coscienza dei diritti lesi possano far scattare la molla che ci veicoli verso il miglioramento. Le incertezze e l’insicurezza ci rendono facili alla rassegnazione, a considerare gli altri migliori. Con l’uso dei luoghi comuni si fa leva proprio su questa debolezza, sicché la protesta della vittima diventa "vittimismo", il suo bisogno "assistenzialismo", la sua sete "incapacità", ecc. Il migliore antidoto ai luoghi comuni è appellarsi ai fatti ed al ragionamento. Il rapporto con le Istituzioni Esiste nel Sud l'abitudine di vedere le Istituzioni, nel loro complesso, come controparte. In effetti, il cittadino meridionale è stato considerato suddito o brigante prima, carne da cannone o clientela poi, emigrante sempre. Ed è proprio l’emigrazione, fomentata per rimpinguare le aziende di altre parti del Paese, a lacerare continuamente il nostro tessuto sociale. Resta il fatto che il cittadino nutre poca fiducia nella Stato, quale garante dei diritti e dei rapporti interpersonali. L'azione dei vari governi nel Meridione si è spesso ridotta ad interventi episodici ed all'elargizione demagogica, finendo per innescare lo sviluppo di potentati clientelari, utilizzati come serbatoi di voti. Il ricorso alle raccomandazioni, a superare intoppi tramite conoscenze, sono abitudini frutto di tali carenze. Nel contempo, il cittadino addebita proprio allo Stato il compito di risolvere tutti i problemi, con l'atteggiamento di colui che, ai margini del gioco, spera in un colpo di fortuna per vincere. Ne è risultata una collettività guardinga verso il prossimo, in una sorta di inconfidenza che rende difficili le aggregazioni, nel campo culturale come in quello economico, con una certa tendenza alla litigiosità, al "fai da te", al fatalismo, al pessimismo. Il Sud soffre la mancanza di comuni intenti. L'espressione politica del Meridione sconta queste deficienze, sicché i politici meridionali, seppur inseriti a vario livello nel contesto statale, restano sempre gregari di poteri esterni. Salvo eccezioni, non hanno saputo fare gli interessi della propria terra in forma efficace e prioritaria: al contrario, un simile atteggiamento è visto come diminuzione e particolarismo. Masaniello nel 1600 capeggiò una rivolta popolare contro il Viceré spagnolo finché, assurto ad una certa fama, finì per farsi manovrare dal Potere. Quello di Masaniello non è un caso isolato. Il potere, da noi così lontano, sembra esercitare un fascino devastante. La stessa situazione si riproduce, in opportuna scala e con le dovute eccezioni, nelle varie associazioni, enti ecc., cosicché la nostra collettività tende a frammentarsi, superato il livello popolare, in un insieme privatistico di clubs e circoli esclusivi, senza tante simpatie tra di loro, dove non importa quello che si fa, ma l’esclusività delle proprie prerogative. Il rapporto tra gli individui Un medico ottocentesco, Lombroso, divenne famoso teorizzando che il Meridionale avesse una predisposizione innata a delinquere. Se questa visione razzista è tramontata, resta assai viva in Italia l'opinione che l'omertà sia una caratteristica delle nostre genti: alcune manifestazioni del carattere meridionale vengono così estremizzate e deformate, trasformandole in comportamenti generalizzati. Omertà, clientelismo, bizantinismo, arbitrio, inaffidabilità, poco senso dello stato erano i mali di cui Stendhal accusava l'Italia preunitaria: non questo o quello Stato, ma l'Italia tutta. In seguito questo ritratto è stato fatto scivolare su quella parte degli abitanti della Penisola, i Meridionali, che creavano maggiori problemi e che praticavano una diversa scala di valori. Queste trasposizioni sono evidentemente arbitrarie, in quanto attribuiscono caratteristiche intrinseche a comportamenti, per esempio l'omertà, che invece sono frutto d'insicurezza morale e fisica. Laddove si verificano condizioni di sicurezza, il cittadino meridionale si comporta come tutti gli altri. Nel riconoscere che la delinquenza è un prodotto della nostra società, occorre anche far presente che le prime vittime della criminalità sono i Meridionali stessi, per cui la condanna generica dell'intera collettività non è giustificata. La criminalità si nutre del difetto della politica, della confusione creata dalle centocinquantamila leggi dello Stato. Attualmente, invece di semplificare le leggi, in modo che siano poche ma chiare, nel potere esecutivo prevale il criterio di incrementare la discrezionalità. Questa aspirazione ad una esclusiva libertà di azione porta fatalmente allo scontro con altri poteri e tra le parti sociali. Non ci appare una direzione favorevole al Sud, che ha invece bisogno di norme certe, applicate con fermezza. Il Futuro Lo Stato delle Due Sicilie era di ostacolo al progetto di sviluppo liberistico continentale: la crescita della sua ricchezza risultava troppo accelerata agli occhi degli Inglesi i quali temevano che gli accordi commerciali tra il Regno delle Due Sicilie, Russia, Austria e l’Impero Ottomano avrebbero prima o poi minato la sua egemonia nel Mediterraneo. Fu così che l’Inghilterra decise di armare il Piemonte, e mise la Francia nelle condizioni di aiutarlo, facendole balenare interessi mirabili. Il Piemonte, dopo aver conquistato il Regno delle Due Sicilie si dedicò, come gli Inglesi avevano previsto, alla conquista della parte Nord-Orientale della Penisola ed ai primi esperimenti di colonizzazione in Africa, trascurando di sviluppare ulteriormente le grandi potenzialità commerciali dell’ex Reame. Con questa estrema sintesi del passato, si può individuare una possibile direttrice di sviluppo ancora oggi valida, il Mediterraneo. Fermo restando che il Sud è parte integrante dell'Italia e dell'Europa, esaminiamo la prospettiva di una "Macroregione Mediterranea", formata da parti di diversi stati che hanno interessi comuni, organizzata per influenzare le decisioni degli organismi statali ed europei. Il termine "macroregione" niente ha a che vedere con gli odierni rivolgimenti (devolution), intendendo per essa una realtà transnazionale e non un sottomultiplo di uno stato nazionale. È una Macroregione la cosiddetta "Europa Carolingia" e cioè il centro di Francia e Germania, tra la Normandia, l’Ile de Paris e la Renania e in Italia la Lombardia, una volta unite dalle industrie pesanti e oggi strette nella protezione dell’agricoltura e delle industrie alimentari e nello sviluppo dei mercati finanziari. Altra Macroregione la "Alpeneuropa", cioè quelle aree alpine e subalpine che vanno dal Veneto alla Carinzia ad alcuni paesi dell’Est. Ed il Mediterraneo? Il Sud, rispetto al resto del Paese, è più lontano dal cuore continentale dell'Europa, e deve percorrere tutta la Penisola, compiere sforzi straordinari, per fare le stesse cose che i settentrionali fanno con facilità. Ecco perché il Sud deve puntare a costituire un contesto a sé più favorevole. L’ultimo, a quanto pare, che se ne rese conto fu Re Ferdinando II di Borbone. Aprì nuovi porti, fondò compagnie di navigazione, sostenne il credito per le imprese che commerciavano con il sud del mondo. Nacque appunto da questo lo scontro fatale con l’Inghilterra. Il Mediterraneo attuale non è ancora una macroregione. L’emigrazione clandestina, gli avvenimenti bellici seguiti all’attentato terroristico di New York dell’11 settembre 2001 e l’esasperarsi del conflitto tra Israeliani e Palestinesi sembrerebbero addirittura allontanarne l’idea. Ci sono però alcune considerazioni favorevoli. Il Sud d’Italia ha le carte in regola per partecipare alla Macroregione, per posizione geografica e per la tolleranza che ci anima. È un capitale che non dovremmo sprecare. Dovremmo anzi saperlo coltivare con la nostra storia e la nostra cultura di tolleranza. È questo il significato corretto della responsabilizzazione, dell'autonomia e del "fare da soli". A questo punto, va posta la domanda: quanto tempo ci vorrà perché una massa sufficientemente numerosa di Meridionali metta a fuoco la sua stranissima condizione? E una volta che questo sarà avvenuto, come si riuscirà a battere il partito dei filo-settentrionali, il quale come sempre riceverà dal Nord la sua legittimazione e gli aiuti per conservare la condizione paracoloniale del Sud? La domanda scende di un gradino: basterà un esiguo manipolo a muovere la quota di popolazione "impegnata" fino a farla diventare una consistente fetta dell'opinione pubblica? Una nuova fase nella storia del nostro Mezzogiorno passa solo attraverso la capacità di ritrovare la bussola del suo interesse generale, per fare squadra, cosa molto difficile in una realtà nella quale la subordinazione passa anche attraverso la frantumazione, le gelosie, la cooptazione individuale nei giri che contano. Poche persone hanno fatto per il Mezzogiorno meno dei Meridionali di successo. Oggi nel Meridione vi sono forze sane, che si uniscono per combattere le nuove barbarie leghiste e neototalitarie: è a queste forze che non dobbiamo far mancare il nostro apporto. La civiltà occidentale ha bisogno di elaborare una nozione di sviluppo democratico più complessa, e potrà ritrovare proprio nel Sud l'idea del tempo e della vita non colonizzata dall'ossessione produttiva. Potrebbe essere questa la carta da giocare, con la nostra voce e non con quella di altri. Il futuro prossimo Questo paragrafo va scritto insieme. |