Pensiero Meridiano

Società di rating

Attacco all’Euro, attacco all’Europa

di Agostino Spataro

1… La crisi c’è ed è grave. Nessuno può negarla. Le cause sono molteplici e di natura complessa, interne e internazionali.

Nell’Italia repubblicana le crisi, anche gravi, si sono sempre state, tuttavia, mai era successo, come oggi accade, che a decretarle, a pilotarle e a indicarne le soluzioni siano tre agenzie private straniere (quasi tutte Usa) i cui soci hanno da difendere corposi interessi societari, per altro concorrenti con altri dei paesi sottoposti al loro vaglio.

Chi sono, chi controlla queste società di rating che stanno facendo tremare l’Europa?

E’ questa una domanda banale che tutti si fanno, ma alla quale nessuno dei tanti esperti, banchieri e uomini del potere risponde.

Una risposta, forse, si può trovare in due articoli (allegati) scritti dal giornalista indipendente Alberto Puliafito (che ho travato sul web) che danno un’idea circa la proprietà delle famose “società di rating”, dei loro compiti e comportamenti (non sempre lineari), dei loro rapporti con il “dio-mercato” e con le varie consorterie finanziarie, con i singoli Stati e forze politiche più o meno influenti.

Non c’è bisogno di essere esperti d’alta finanza per cogliere il valore destabilizzante di questi ben mirati e tempestivi verdetti emanati dalle “agenzie di rating” a carico di questo o quell’altro Stato.

2… Se ci fate caso, la loro scure si è abbattuta soprattutto contro i Paesi dell' eurozona più esposti ai contraccolpi della crisi, nell’ordine: Grecia, Portogallo, Spagna e ora Italia.

Contro, cioè, gli anelli più deboli della catena dell’euro, per indebolirlo, per smantellare lo stato sociale e deprimere i consumi di massa e acuire la conflittualità interna, ecc, ecc.

Insomma, una miscela davvero esplosiva che può mettere a dura prova il processo di costruzione unitaria dell’Europa e la stabilità politica dei singoli Stati.

Insomma, un attacco all’euro che tanti problemi sta creando al re-dollaro che galleggia in un mare di debito pubblico interno e di deficit commerciali spaventosi e sottoposto a incursioni finanziarie di governi stranieri (specie cinese e saudita).

E’ chiaro che, comprando il debito, questi Paesi comprano quote di sovranità degli Usa ossia della prima potenza economica e militare del Pianeta.

Tuttavia, il rischio maggiore, già in atto, è la tendenza dell’euro a sostituire il dollaro Usa come principale moneta di scambio nelle transazioni commerciali internazionali.

Perciò, oltre- atlantico non hanno gradito il varo dell’euro e il conseguente rafforzamento ed allargamento del processo di unità europea.

Un’Europa unita, con una moneta forte ed apprezzata sul piano internazionale, non è nei programmi delle oligarchie dominanti statunitensi.

3... Così come sono considerati ostili quei governi che vorrebbero vendere il loro petrolio in euro (non più in dollari) e per questo hanno dovuto subire le rivoluzioni arancione e, in alcuni casi, perfino l’aggressione militare.

La Casa Bianca, infatti, li ha bollati come “Stati canaglia”, “paesi dell’impero del male”, inserendoli in liste di proscrizione nelle quali figurano soltanto le dittature a lei ostili e non le dittature amiche, munifiche e anche un po’ servili.

Perciò, è necessario attaccare l’euro, indebolirlo. Per eliminare un pericoloso concorrente.

Se così fosse davvero sarebbe un attacco all’Unione europea, al suo progetto di crescita autonoma, al suo importante ruolo, economico e politico, nel mondo.

Senza più l’euro, l’Unione non ha futuro, rischia la divisione, la dissoluzione e di nuovo la subordinazione all’impero americano.

Gli Usa hanno bisogno di un’Europa debole e allineata, probabilmente in vista del regolamento di conti (speriamo solo commerciali) con la Cina e con altre potenze regionali emergenti.

Certo, questa è solo un’ipotesi da verificare ed eventualmente da smentire, ma con dati e argomenti convincenti.

4… Purtroppo, di queste cose in Italia quasi non si parla. Tacciono i grandi giornali, i grandi media, i grandi partiti, i grandi sindacati, i grandi…

Tutti grandi, tutti muti! Ma che succede?

Perché nessuno di questi soggetti informa la gente di come stanno realmente le cose?

Possibilmente usando la lingua ufficiale dello Stato cioè l’italiano e non questa miscellanea di tecnicismi inglesi frutto di un provincialismo briccone al servizio del manovratore.

Perché, invece di andare in giro con il “pizzino” delle nuove privatizzazioni (leggi svendita di quel che resta del patrimonio pubblico del popolo italiano) i grandi leader di governo e dell’opposizione non spiegano ai cittadini le cause vere, strutturali della crisi italiana e la loro mancanza d’idee e di progetti per superarla?.

Certo, si può tener conto dei verdetti delle società di rating e/o degli andamenti, talvolta bizzarri, dei mercati borsistici, ma non fino al punto di farsene scudo per chiedere le dimissioni di un governo. Poiché, oggi, toccherebbe a Berlusconi, domani un altro potrebbe subire l’indebita pressione.

Le scelte economiche, politiche, le elezioni anticipate non si possono decidere sull’onda delle reazioni emotive provocate dai verdetti di società di rating straniere o degli umori delle borse valori.

Sarebbe come affidare le sorti del Paese a potentati stranieri senza volto e senza alcuna legittimità politica democratica.

Più che un “errore”, questo sarebbe un comportamento dissennato che cambierebbe il senso e la sostanza della democrazia.

In Italia, i governi si cambiano con le lotte politiche e sociali e con il voto degli elettori!

La politica, le scelte si fanno alla luce del sole, nel Parlamento e nelle altre istituzioni repubblicane, sulla base del confronto democratico delle idee fra le forze in campo.

Oppure, in fasi eccezionali come l’attuale, ricorrendo a soluzioni politiche e programmatiche che esaltano la coesione e la responsabilità nazionali, come chiede di fare il presidente Napolitano.

Agostino Spataro

9 ottobre 2011


Allegati

Cosa sono le agenzie di rating? Espressione di un "potere parallelo"

Pubblicato: martedì 09 agosto 2011 da Alberto Puliafito su http://www.polisblog.it/

Le borse crollano ancora. E se per Carlo Clericetti non è colpa del rating, la realtà sembra essere un’altra. Esiste un oligopolio del rating? Siamo effettivamente schiavi delle agenzie oppure hanno ragione dai banchi del Pdl a sostenere che “il mercato non decide chi governa”? Che cos’è effettivamente il rating? Ovvero. Di cosa si sta parlando, in concreto, da giorni? E quali nuovi spettri si aggirano per il mondo?

Partiamo da un fatto evidente: per quanto si schermiscano, le agenzie di rating hanno un potere enorme. Una loro azione può causare - insieme ad altre congiunture, ovviamente - quella crisi del debito che sta attraversando tutto il mondo. Esse possono tenere sotto scacco un’intero stato. E non uno stato piccolo, come la Grecia o il Portogallo. No. Una potenza internazionale come gli Stati Uniti d’America.

“Scopriamo”, giornalisticamente, che esistono queste agenzie di rating, e sentiamo improvvisamente parlare di Standard & Poor’s, Moody’s, Fitch, di downgrading del debito, AAA, AA+ e via dicendo. Come se fossero termini che riguardano la nostra quotidianità (e soprattutto, con una confusione immane, come se gli Stati si indebitassero esattamente come fanno le persone. Non è proprio così, ma ne parleremo). Ma è bene approfondire e scoprire anche le critiche alle agenzie stesse. Critiche che sembrerebbero esserci solo quando le agenzie provocano una qualche crisi - magari agevolando una qualche speculazione - ma che afferiscono a questioni che sono più di concetto che legate strettamente all’attualità.

Cosa sono le agenzie di rating?

Le agenzie di rating sono delle compagnie che assegnano una valutazione (il cosiddetto rating, appunto) su titoli e obbligazioni di imprese private oppure sui titoli di stato (quindi sul debito degli Stati). Storicamente, si ritene che le agenzie di rating nascano per l’esigenza di trasparenza da parte delle compagnie nel mondo della finanza, un’istanza portata avanti da svariati esperti del settore (con interessi diversi) fra cui, per esempio, John Moody (giornalista economista) o Henry Varnum Poor (imprenditore statunitense). Le agenzie di rating esprimono, in sostanza, un “voto” sulla solidità di un’azienda o di uno stato. Un voto alfabetico decrescente. Per esempio, per S&P, AAA significa “elevata capacità di ripagare il debito”. D significa “in perdita”. S&P ha appena declassato gli U.S.A. da AAA ad AA+, per capirci. Ovvero, da “elevata capacità di ripagare il debito” a “alta capacità di ripagare il debito”. Quali sono le principali agenzie di rating?

Ci interessano, per il momento, le agenzie di rating che esprimono giudizi sugli Stati e sul loro debito pubblico. Esse sono le cosiddette Big Three: Standard&Poor’s, Moody’s (entrambe statunitensi) e Fitch (con una doppia sede a New York e a Londra). Esse, in qualche modo, rappresentano un vero e proprio oligopolio di questo tipo di mercato. Moody è controllata principalmente da una holding (Berkshire Hathaway) e da un fondo di investimento (Davis Selected Advisers). S&P è una divisione della The McGraw-Hill Companies, Inc. Fitch è una compagnia minore della FIMALAC, una finanziaria francese.

Nell’immagine, si può valutare il rating di Standard & Poor’s.

Legenda:

Verde – AAA

Verde chiaro – AA

Azzurro – A

Blu – BBB

Viola – BB

Rosso – B

Grigio - non valutati o inferiori a B

Le critiche alle agenzie di rating

Non ci vuole un genio per capire che, visto che le agenzie di rating non sono composte da esseri soprannaturali, onniscienti e imparziali, ma piuttosto hanno enormi interessi sul mercato, ci sia quantomeno il dubbio che possano vivere in un perenne conflitto di interessi. Non solo: visto che le Big Three sono le uniche riconosciute negli States (Nationally Recognized Statistical Rating Organization). Il che significa che di fatto esercitano un ruolo di oligopolio.

Implicitamente, queste agenzie sono state assegnatarie, da parte degli U.S.A. e quindi dei governi di tutto il mondo, di un potere regolatorio: esse sono agenzie votate al profitto e le loro valutazioni possono anche avere secondi fini. Sia nella valutazione delle compagnie private sia in quelle degli Stati: possono, di fatto, esercitare anche un potere per dare segnali politici (S&P, per esempio, è stata abbastanza esplicita con Obama) o favorire manovre speculatorie.

Non solo. Le agenzie possono sbagliare. O possono entrare a far parte del pacchetto di acquirenti di certe obbligazioni (capita che poco prima un’azienda sia valutata con tre B e diventi una tripla-A subito dopo questa operazione).

Insomma. Le Big Three esercitano, senza ombra di dubbio, un potere parallelo a quello realmente esercitato dai politici democraticamente eletti. Piaccia o meno, e senza stare lì a tirar fuori alcun tipo di teoria complottistica - si tratta di un potere “occulto” solo perché non percepibile in maniera concreta dall’opinione pubblica -, è evidente che “i mercati” controllino in vari settori la politica, potendo esercitare, attraverso le agenzie di rating, una forma di ricatto sui governi di tutto il mondo.


Cos'è Moody's? Chi la controlla?

Pubblicato: mercoledì 05 ottobre 2011 da Alberto Puliafito su http://www.polisblog.it/

Moody’s, come abbiamo scritto nottetempo, ha declassato l’Italia, così come Standard & Poor’s. E’ utile avere un quadro generale per capire chi controlli effettivamente le agenzie di rating. Tanto per cominciare, bisogna precisare che la Moody’s Investor Service INC (ovvero la società che si occupa effettivamente del rating di debiti sovrani e aziendali) è parte della Moody’s Corporation (la società “madre”, che possiede anche la Moody’s Agency). Quel che ci interessa è, appunto, la Moody’s Investor Service Inc., l’agenzia di rating.

E’ stata fondata nel 1900, con il nome di John Moody & Compani e ha prodotto, per prima cosa, un Manuale (Moody’s Manual of Industrial and MIscellaneous Securities). Fallì nel 1907, con la grande crisi finanziaria, poi fu rifondata nel 1909, sempre da John Moody. Nel 1924 analizzava già quasi il 100% delle obbligazioni del mercato statunitense. Dagli anni ‘70 ha iniziato con la pratica di valutare anche i debiti sovrani, così come Standard&Poor’s.

Nel consiglio d’amministrazione di Moody’s siedono personaggi che hanno ruoli chiave in varie “companies” americane: sul sito ufficiale sono resi noti tutti i nomi e gli altri incarichi che ricoprono. Eccoli: Basil L. Anderson (direttore di Becton, Dickinson and Company, Hasbro, Inc. e Staples, Inc.); Jorge A. Bermudez (direttore dell’Electric Reliability Council of Texas, Inc.), Darrell Duffie(della Stanford University), Robert R. Glauber (direttore di Freddie Mac, XL Capital LTD), Ewald Kist (direttore di DSM N.V., Royal Philips Electronics), Henry A. McKinnell, Jr. (direttore di Angiotech Pharmaceuticals, Inc.), John K. Wulff (direttore di Celanese Corporation, Chemtura Corporation, Sunoco, Inc.).

Se consideriamo i “privati” o le compagnie, quella che possiede la quota più ampia di Moody’s è la Berkshire Hathaway Inc. (12,42%), il cui Presidente è Warren Buffett (nel 2008, indicato da Forbes come la persona più ricca del mondo. Ora è solamente al terzo posto) e al cui consiglio d’amministrazione siedono amministratori con incarichi in molte altre compagnie americane: c’è anche Bill Gates (nell’immagine, grazie allo strumento They Rule, con un aggiornato database di tutte le “companies” americane, ecco il cda di Berkshire Hathaway Inc e le correlazioni con altre grandi compagnie).

Ma il grosso del capitale è detenuto dai cosiddetti “investor management” (come, per esempio, il Capital World Investor, che detiene il 12,05% di Moody) o, più genericamente, da fondi di investimento, come si può verificare su Bloomberg.

E’ dunque evidente che un organismo privato e prettamente finanziario, con poteri politici (se non altro in quanto le proprie decisioni influenzano parecchio il mondo politico) sia completamente nelle mani del cosiddetto mercato, con buona pace di chi sostiene che i mercati non influenzano il Governo.

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