La
Sicilia pericolosamente bloccata
di Agostino
Spataro
Da troppo tempo, la
Sicilia è ferma; ostaggio del conservatorismo dei suoi
gruppi dominanti. Questo è il nodo politico centrale
che, però, nessuno dei responsabili è disposto ad
ammettere e, soprattutto, ad affrontare.
Anzi, guai a chi fa
notare le vistose crepe di questo mostruoso edificio del
potere costruito intorno alla Regione.
Ferma, per modo di
dire. In realtà, va indietro, si allontana dagli
standard raggiunti da altre regioni, non solo del centro
nord. Sì, perché nelle dinamiche economiche e sociali la
fissità non esiste: chi sta fermo viene sorpassato da
altri che camminano. E così vediamo l’Isola, le sue
belle province, quasi sempre precipitate al fondo di
tutte le classifiche statistiche.
Senza che succeda
nulla. Il vero dramma della Sicilia sta anche in questa
mancanza di percezione, di reazione, di opposizione. I
giovani, invece di reagire, se ne vanno, dolenti e
rassegnati, in cerca di un lavoro degno, di luoghi di
studio e di cura più idonei al bisogno.
Restano i figli
dell’illegalità, della raccomandazione, del clientelismo
deteriore. La Sicilia sembra fatta per loro. Solo per
loro.
Il processo ha radici
vecchie, ma oggi stanno venendo al pettine tutti i nodi,
irrisolti o rinviati; si sta toccando il limite estremo,
oltre il quale il sistema può esplodere.
Pessimismo o specchio
della realtà? Ognuno può farsene un’idea da se,
guardandosi intorno.
A cominciare dalla
morta gora in cui è caduta la politica siciliana che, se
non ci fosse qualche arresto eccellente, batterebbe la
fiacca.
Spiace rilevarlo, ma
questa è la sensazione più diffusa fra la gente.
Un clima pesante che
coinvolge e connota i comportamenti di quasi tutto il
corpo politico e parlamentare di maggioranza e
d’opposizione.
In tutto ciò
gravissima è la responsabilità di chi, per sopravvivere,
ha stravolto la corretta dialettica democratica ed
elettorale e anche di chi si è lasciato stravolgere,
allettato dalla partecipazione a queste giunte senza né
testa né coda.
Lo dico chiaro:
l’avere infilato il Pd in questo tunnel oscuro non è
solo un errore di valutazione politica, ma una grave
responsabilità strategica che rischia di bruciare ogni
possibilità di cambiamento imperniata sul
centro-sinistra e sostenuta da un ampio schieramento di
forze e di gente per bene.
E’ tempo che gli
strateghi comincino a rispondere delle loro azioni
all’opinione pubblica, ai tanti interrogativi che molti
militanti si pongono. Se la pallina erratica del “terzo
polo” dovesse, infine, fermarsi sulla ruota di Alfano,
fiammante segretario del Pdl, cosa farà il Pd?
Affronterà, da solo o con Lombardo (visto che Idv e
sinistra rifiutano ogni ipotesi di collaborazione col
governatore) la battaglia elettorale contro il
clientelismo scientifico alla catanese e il sistema di
potere vigente alla Regione?
Domande, nodi
politici che si sperava venissero sciolti
nell’attesissima assemblea regionale del partito
democratico e per altri versi nella convention
ri-fondativa del Mpa.
Purtroppo, l’assise
del Pd ha deciso di non decidere su nulla. E’ prevalso
il solito metodo del temporeggiamento, della strizzatina
d’occhio, del silenzio in attesa di…. nomina. Insomma,
un capolavoro di doroteismo realizzato da manovratori
adusi a tali pratiche, come ai vecchi tempi
democristiani.
Da Catania, in
verità, di nuovo c’era poco d’attendersi. Il governatore
ci ha abituati a queste rifondazioni annuali, auto
celebrative, che non modificano di una virgola il suo
disegno di conquista di nuove quote di potere e di
galleggiamento del suo governo di turno.
Il cambiamento? Sarà
per un’altra volta.
D’altra parte, in
Sicilia, il cambiamento, quando si è verificato, non
sempre è andato nella direzione del progresso, della
legalità. Perciò un po’ tutti lo temono, anche coloro
che sinceramente lo desiderano.
Oltre la contingenza,
in taluni settori della cultura e della politica
siciliane c’è un quid che emana il lezzo rancido di una
resistenza, tenace e diffusa, al cambiamento.
Taluni partiti e loro
rappresentanti alla regione, dietro lo scudo corroso
dell’Autonomia, si comportano come un formidabile blocco
conservatore.
Per conservare cosa?
Forse, la scandalosa gestione del bilancio regionale
emersa, l’altro ieri, dall’impietosa analisi della Corte
dei Conti?
La Sicilia è come
sequestrata dal conservatorismo dei suoi ceti dominanti.
Per liberarla ci
vogliono riforme vere ossia capaci di modificare lo
stato di cose presenti e di spostare in avanti il ruolo
delle forze sane e fattive, anche imprenditoriali,
modificando a loro favore i rapporti di forza nelle
istituzioni, nell’economia e nella società.
Come fare? Difficile
rispondere.
Per affrontare questa
bella prospettiva è necessario uno sforzo concreto di
autorigenerazione dei partiti. In mancanza, i siciliani
onesti dovrebbero decidersi a uscire dal guscio
dell’individualismo e del timore reverenziale, dal
recinto di militanze abitudinarie e ininfluenti e
insieme ritrovarsi in campo aperto, a Palermo e
nell’intera Sicilia, per fare quel che si è fatto a
Milano e perfino a Napoli.
Agostino Spataro
Articolo
pubblicato, con altro titolo, in La Repubblica del 3
luglio 2011