Una lettera da Damasco
di Agostino Spataro
Lo studente Usa, Tom MacMaster, finalmente ha
confessato di essersi inventato l’esistenza di Amina
ossia il fantasma di una ragazza gay siriana secondo
l’inventore discriminata, perseguitata, torturata e
rapita e, forse, uccisa, dai servizi segreti del regime
di Assad.
L’aggiunta del risvolto relativo alla diversità
sessuale ha reso il “caso” ancora più lacrimevole e
quindi più efficace.
Tanto che i media, anche i giornali più blasonati,
senza procedere alle necessarie verifiche, hanno
avallato la storiella, rilanciandola come emblematica
della repressione in Siria.
Insomma, anche “l’invenzione di Amina” è servita nella
campagna contro alcuni “spregevoli dittatori arabi
(altri invece sono bravi dittatori perché amici) che,
fino a pochi mesi addietro, gli stessi giornali
intervistavano e riverivano come rispettabili capi di
Stato.
Trionfo dell’incoerenza o di una malafede ben
remunerata?
Ma non desidero addentrarmi nel tunnel buio della
disinformazione professionale, solo prendere spunto
dall’episodio per raccontarvi della mia “invenzione di
Dalila” di Damasco alla quale feci scrivere un’accorata
lettera a una collega parlamentare
. Ovviamente, fra i due episodi non
c’è alcuna attinenza, poiché Amina è stata utilizzata
per uno scopo indegno nel vivo di una tragedia reale
come quella siriana, mentre Dalila fu solo uno scherzo
fra amici, fino ad oggi noto solo al mittente, alla
destinataria e all’on. Ugo Spagnoli, mio compagno di
banco a Montecitorio.
Se lo richiamo, è solo per rilevare come, anche senza
Internet, si potevano costruire notizie fasulle foriere
di azioni politiche anche clamorose.
Ma andiamo al fatto. Trovandomi a Damasco (1984), per
una conferenza internazionale sul Medio oriente, scrissi
una lettera, su carta intestata del “Cham Palace”
(l’albergo in cui alloggiavo), a nome di una certa
Dalila, inesistente femminista damascena, a una stimata
amica deputata, in quel tempo attivissima promotrice
della legge contro la violenza sessuale.
Dalila, infelice e disperata, chiedeva aiuto e
consiglio per la loro lotta contro il maschilismo
islamico imperante.
Dopo qualche giorno, in Transatlantico, mi venne
incontro la collega destinataria, tutta raggiante e
commossa, mi prese in disparte, e mi mostrò la busta con
i timbri e i francobolli siriani.
Mi finsi meravigliato e le chiesi del contenuto della
missiva.
“Una lettera bellissima, commovente-
esordì- inviatami da una ragazza di nome Dalila,
impiegata presso un grande albergo di Damasco, che segue
sul Corriere la mia battaglia per la legge contro la
violenza sessuale…”
“E di preciso cosa ha scritto?”
l’incalzai.
“Ah!-
sospirò- Tu non puoi immaginare! E’ stupendo. E’ la
più grande soddisfazione della mia vita politica. Tu
capisci? Da Damasco!”
Nella foga dell’entusiasmo ancora non aveva detto
nulla nel merito, perciò la ri-sollecitai.
“Hanno costituito un club clandestino di donne che in
mio onore hanno denominato “El Boctar”. Ti rendi conto?
In Siria un club segreto in mio nome per portare avanti
lo lotta contro la violenza sessuale. E’ meraviglioso…
Scrive che la mia battaglia infonde tanto coraggio alle
donne siriane, fra le più oppresse dalle violenze
sessuali…”
In questo passaggio riscontrai una piccola
imprecisione in cui era incorsa la collega, forse per
pudicizia. Poiché, Dalila aveva posto il problema in
chiave intima, personale: “Mentre subisco le
quotidiane violenze sessuali di mio marito, penso a Lei
e solo così riesco a sopportarle…”
L’onorevole, per nulla sfiorata dal dubbio, mi chiese-
come esperto di relazioni col mondo arabo- se era meglio
risponderle per posta o andarla ad incontrare a Damasco.
Avevo previsto, e temuto, una pensata simile, perciò
Dalila aveva sconsigliato “una risposta epistolare a
causa della censura e nemmeno di andarla a cercare a
casa”, in quanto “il mio violento marito avrebbe
potuto prendersela anche con Lei”.
Il contatto poteva avvenire al “Cham Palace” dove
lavorava. Per nulla scoraggiata dai pericoli
prospettati, la collega era decisa a recarsi a Damasco.
Sommessamente, suggerii di desistere giacché
ignoravamo chi fosse realmente questa Dalila. E poi,
trattandosi di un club segreto, c’era il rischio
d’incappare nelle grinfie degli occhiuti servizi
siriani. Il coinvolgimento di una parlamentare italiana
sarebbe stato considerato una ingerenza negli affari
interni della Siria e avrebbe turbato i buoni rapporti
fra Pci e Baas siriano.
Insomma, un po’ esagerando, tentai di farle capire che
il viaggio a Damasco poteva provocare serie conseguenze
nelle relazioni fra gli Stati e fra i due partiti. Ma
lei fu irremovibile.
“Me ne frego dei buoni rapporti politici, quando vi sono
situazioni drammatiche come quella descritta dalla
povera Dalila”
Stavo per scoppiare a ridere e confessare lo scherzo,
ma mi resi conto che, forse, avrei tarpato le ali al suo
sincero impeto solidaristico.
Non sapevo che pesce pigliare; temevo che potesse fare
qualcosa di clamoroso.
Preoccupato, informai Ugo Spagnoli, che si mostrò
molto divertito, pregandolo, anche nella sua qualità di
vice-presidente del gruppo Pci, di fare qualcosa per
fermare l’infervorata collega.
La cosa finì lì. Però, poco ci mancò per montare, sul
nulla, un caso politico internazionale.
Agostino Spataro
13 giugno 2011
Nota