Il Sud fra pregiudizi nordisti e tentazioni
secessioniste
di Agostino
Spataro
Chissà perché in questi giorni di felice risveglio
elettorale, che potrebbe imporre severe verifiche ai
governi di Roma e di Palermo, si nota uno strano fervore
intorno alla questione del meridione.
Ad agitarla, con toni indignati e melliflui
piagnistei, sono taluni governanti, da Giulio Tremonti a
Raffaele Lombardo, esperti nel vecchio gioco dello
scaricabarile per allontanare, da loro, le pesanti
responsabilità presenti e passate.
E così, vediamo questo povero Sud, emarginato e mal
governato, di nuovo sballottato fra gli opposti
estremismi parolai e devianti di personaggi che prima di
aprire bocca avrebbe il dovere di recitare trecento
mea culpa. Finzioni, chiacchiere, volute di fumo per
involgere la “questione” in una nebulosa dove le
responsabilità diventano indistinte, collettive e le
proposte evanescenti, metaforiche. Insomma, nuovo cibo
per gli allocchi, sperando di riaccendere passioni
separatiste (al nord e in Sicilia) e così tirare a
campare fino alla scadenza naturale delle legislature.
Perché questo sembra essere, oggi, il vero problema di
chi governa a Roma e a Palermo.
Il potente ministro dell’economia pensa di cavarsela
con la logora litania del sud “palla al piede” alato
della sua Padania tarpato dalla zavorra di questa mezza
Italia usata come riserva di mano d’opera e mercato di
consumo per le produzioni del centro-nord.
Subalternità che in Sicilia è ancor più onerosa
essendo stata trasformata in deposito e area di
lavorazione di enormi e inquinanti materie prime
energetiche e formidabile portaerei proiettata nei
conflitti mediterranei e mediorientali.
Al ministro ha risposto il governatore Lombardo col
suo solito, ambiguo linguaggio, oscillante cioè fra la
minaccia di secessione e la richiesta di finanziamenti
per continuare ad alimentare il suo sistema di potere
clientelare.
A proposito di secessione, una domanda è d’obbligo: i
partiti siciliani, in primis quelli che sostengono la
giunta Lombardo, cosa pensano di questa reiterata
minaccia scissionista? Vera o solo agitata, non si può
restare in silenzio, di fronte alla minaccia, specie se
a farla è il presidente di una regione che ben ha
conosciuto la tragedia del conflitto separatista.
E non è confortante pensare che entrambi i contendenti
giochino (col fuoco), recitino la parte loro assegnata.
A tutto c’è un limite. E questo è invalicabile.
Nella polemica è entrato, indirettamente, anche il
presidente regionale di Confindustria, Ivan Lo Bello, il
quale ha attribuito a un'indistinta “classe dirigente
meridionale” le responsabilità dei divari del sud e
della crisi che paralizza
la Sicilia, addirittura assolvendo le condotte dei
governi nazionali.
Vista la natura storica dell'evento nel quale ha
pronunciato l’accusa (il 150° dell’Unità) qualche
distinzione andava fatta, per amore di verità e
soprattutto per non fare di tutta l’erba un fascio.
Perché così non è stato.
Parole nette le sue, ma non suffragate da analisi e
motivazioni appropriate. Una battuta o solo uno sfogo
contro il malgoverno che regna in Sicilia? In ogni caso,
in quelle parole c’è del vero, ma non tutta la verità,
storica e politica.
Una mezza verità, dunque, che andrebbe completata con
un discorso franco sugli errori passati e persistenti
anche dell’imprenditoria, con uno sforzo per individuare
idee innovative per lo sviluppo e per liberare l’impresa
dal ricatto criminale e dai condizionamenti del
malgoverno e dalla cattiva politica.
Un’opera titanica, certo, ma questa è, oggi, la sfida:
legalità e progettualità, riforme della politica e del
governo della cosa pubblica.
Nella riflessione manca anche una forte presa di
coscienza dell'agonia del sistema regione e degli enti
locali e dell’irresponsabile fervore unanimistico che
all’Ars continua a sfornare provvedimenti di spesa
meramente clientelari, sottraendo risorse rilevanti allo
sviluppo e alla vera occupazione. Una tendenza
perniciosa che conferma il declino e da ragione a
Tremonti.
La crisi siciliana è ormai fuori controllo. Quello che
vediamo svolgersi dentro e intorno all’Ars, nei municipi
delle grandi città siciliane (Palermo, Catania,
Agrigento) è davvero uno spettacolo inquietante. I
partiti e le loro rappresentanze assembleari non
riescono a invertire la rotta. Forse non lo desiderano.
Nessuno ha ricette pronte da proporre. Tuttavia, bisogna
fare, inventarsi qualcosa, anche in vista delle future
consultazioni, spingendo lo sguardo guardando oltre
l’attuale ceto dirigente che sta portando la regione
alla bancarotta.
È necessaria una convergenza di forze politiche,
sociali e culturali animate dal desiderio di far
ripartire
la Sicilia. Non contro i partiti, ma con partiti
riformati e risanati.
Qualcosa del genere è successo a Milano, dove pezzi
importanti di borghesia produttiva, anche di
orientamento moderato, hanno votato Pisapia non per
adesione ideologica, ma per liberare la città dal
malgoverno, dall’affarismo e dalla decadenza.
Un esempio, speriamo vincente al ballottaggio, che,
nelle forme appropriate, potrebbe essere adattato alla
Sicilia.
Agostino Spataro
Pubblicato, con altro titolo, in “La Repubblica”
del 20 maggio 2011