Paternò alla Guerra di Libia
di Agostino
Spataro
Nelle imprese
belliche italiane in Libia (1911 e 2011) c’è un
particolare ricorrente che riguarda la Sicilia, anzi due
esponenti politici catanesi, entrambi originari di
Paternò, che il caso ha voluto a capo di
dicasteri-chiave al momento dello scoppio delle
ostilità.
Come dire: due
paternesi che fecero l’impresa…libica.
Per chi non la
conosce, diciamo che Paternò è una bella e antica
cittadina posta su un austero rilievo da cui si ammira
un vasto panorama sottostante (la piana degli agrumi
fino al mare africano) e soprastante (l’immensità
incombente dell’Etna).
Città reale al tempo
dei normanni, Paternò – secondo taluni - è l’unico
insediamento sicano in terra di siculi, oltre cioè il
fiume Salso che segna il confine tra le due Sicilia
pre-elleniche: quella abitata dai sicani a occidente,
dove storicamente si affermò la mafia, e quella abitata
dai siculi ad oriente detta “babba” cioè non mafiosa.
Oggi, purtroppo, la
Sicilia, almeno sotto questo profilo, tende a
unificarsi, sta divenendo quasi tutta “sicana”.
Ma andiamo ai due
ministri in questione.
Il primo fu il sen.
Antonino Paternò Castello, marchese di San Giuliano,
ministro degli esteri di Giolitti (dal 1910 al 1914),
nato a Catania (nel 1852) da un'antica famiglia
originaria, come il cognome stesso suggerisce, di
Paternò.
Capostipite
dell’illustre casata fu il nobile catalano Roberto D’Embrun
che, nel 1070, partecipò alla conquista normanna della
Sicilia ottenendo i feudi di Paternò e di Buccheri.
La figura del sen.
Paternò caratterizzò talmente il post risorgimento
siciliano da indurre Federico De Roberto a immortalarla
nel suo grandioso romanzo politico “I Vicerè” sotto le
spoglie del principe Consalvo Uzeda di Francalanza.
Il ministro San
Giuliano legò il suo nome all’occupazione coloniale
italiana della Libia e delle isole del Dodecaneso.
Memorabile rimase l’ultimatum trasmesso, il 27 settembre
1911, alla Sublime Porta col quale s’ingiungeva al
governo ottomano di abbandonare la Libia entro 24 ore e
senza condizioni.
Una dichiarazione di
guerra pretestuosa, immotivata nella quale si annuncia
l’occupazione italiana, da tempo decisa, affinché (cito
dal testo) “giunga a fine lo stato di disordine e di
abbandono in cui la Tripolitania e la Cirenaica sono
lasciate dalla Turchia…”.
Insomma, buoni
propositi e cattive maniere, l’Italia occupò la Libia
per far rispettare l’ordine pubblico in quel paese!
Il ministro
siciliano, forte di un accordo spartitorio con Francia e
Gran Bretagna (anche allora!), rifiutò ogni proposta di
chiarimento, ogni offerta di concessioni da parte turca
e puntò dritto alla guerra, intimando al governo
imperiale di dare “gli ordini occorrenti affinché
essa (l’occupazione militare N.d.R.) non incontri, da
parte degli attuali rappresentanti ottomani,
alcuna opposizione…” (in “La Stampa” del 30/9/1911)
Il resto è noto. Il 4
novembre i contingenti italiani sbarcarono a Tripoli. Ma
la guerra si protrasse per vent'anni a causa
dell’accanita resistenza delle tribù libiche. La
concluse, nel 1931, il generale fascista Graziani con
azioni di straordinaria ferocia, compresi i
bombardamenti con i gas letali.
Altri tempi, altri
uomini! O forse no. A mio parere, fra la guerra del 1911
e quella del 2011 la differenza sta in un “neo”, nel
senso che la prima fu una guerra coloniale, mentre
l’attuale è di stampo neo-coloniale.
E così, a 100 anni
esatti, ecco avanzare sulla scena bellica e mediatica un
altro prode paternese: l’on. Ignazio La Russa il quale,
a conclusione della sua lunga marcia di avvicinamento
verso la democrazia (dal Msi ad AN al PdL), oggi è il
ministro della guerra, pardon della difesa.
In questa trasandata
veste marziale gli italiani, in particolare i siciliani,
l’hanno scoperto solo di recente quando ha annunciato al
mondo che “la Sicilia è la portaerei del Mediterraneo”,
mettendola subito a disposizione delle armate della
triade interventista (Francia, Usa e G.B.)
Tuttavia, il suo
resta un compito difficile, assai ingrato poiché
dovrebbe riuscire a convincere l’opinione pubblica
italiana che al 70% non approva i bombardamenti che
questa non è una guerra, ma un intervento umanitario
affidato a bombe cosi “intelligenti” che stanno facendo
stragi fra la popolazione civile.
Soprattutto sarà
difficile che riesca a spiegare agli alleati della Nato,
oggi a conclave a Roma con la Clinton, il dispositivo
della mozione Lega Nord- PDL, approvata ieri, che
seppure pasticciata, pone seri limiti all’intervento
militare italiano in Libia.
Insomma, due
ministri, due personalità fra loro molto diverse,
accomunate soltanto dalla conterraneità. Solo una
singolare coincidenza o c’è qualcosa che a noi sfugge?
A ben pensarci, tanta
solerzia potrebbe essere spiegata dal richiamo di un
legame antico, ancestrale fra la Sicilia e la Libia,
risalente addirittura alla fondazione di Tripoli (tre
polis) che, secondo Sallustio: “Oeaque trinacrios
afris permixta colonos” cioè “Oea, l’attuale
Tripoli, sarebbe stata fondata da coloni siciliani
(evidentemente fenici) insieme ad africani” (proff.
Mastino e Zucca in: www.infomedi.it)
Quasi che i due
ministri siciliani, muovendo da questa fondazione
mitica, avranno, forse, pensato di accampare qualche
pretesa sulla Libia.
Speriamo che così non
sia. Altrimenti qualcun altro potrebbe ricordarsi della
fondazione del Cairo, avvenuta nel 905 d.C., che secondo
una fonte antica fu disegnata da un architetto
arabo-siciliano, e quindi aprire un contenzioso con
l’Egitto dell’ex rais Moubarak, lo zio di Ruby.
Agostino Spataro
Roma 5 maggio 2011