Sicilia- Libia,
un’illusione mediterranea
di Agostino Spataro
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Tripoli, Piazza Verde |
I libici in Sicilia
C’era un tempo, non molto remoto, nel quale Sicilia e
Libia si guardavano con grande simpatia reciproca.
L’Isola, la più grande del Mediterraneo, definita da
Occhetto “l’unico Stato arabo che non aveva
dichiarato guerra a Israele”, ha sempre attratto i
leader nordafricani e arabi in genere per il suo
splendido passato islamico e per il suo inquieto
presente autonomistico. Figurarsi Gheddafi che,
avendocela di fronte, desiderava estendere la sua
rivoluzionaria influenza.
Dall’altro lato, la Sicilia, le sue inconcludenti classi
dirigenti che speravano di salvare l’Autonomia
capovolgendo le coordinate dello sviluppo: dal nord che
aveva deluso al sud dei paesi rivieraschi e soprattutto
alla Libia ossia a quell’ex colonia italiana che
galleggia sopra un mare di gas e di petrolio. Dalla
Jamahirja si aspettavano capitali e commesse miliardarie
e lavoro per gli operai e i tecnici isolani.
Da entrambi le parti c'era un certo fervore. I libici
aprirono a Palermo un consolato generale, un centro
culturale e una casa editrice. Mentre i rappresentanti
dei tre principali partiti (Pci, Dc, Psi) fondammo la
sezione regionale dell’Associazione di amicizia e
cooperazione italo - araba che promosse a Palermo alcune
importanti iniziative, fra cui la prima conferenza
nazionale sull’immigrazione araba in Sicilia e in
Italia, patrocinata dal Ministero dell’interno.
A Palermo il primo periodico bilingue arabo-italiano
Questo era il clima che caratterizzava i rapporti
siculo-libici negli anni ’70 e ’80. Certo, alla luce dei
massacri attuali perpetrati dai pretoriani del
colonnello Gheddafi tutto questo può apparire
incredibile.
Effettivamente, quello che oggi vediamo è il volto
peggiore di un regime morente. Ma non è stato sempre
così. Nel suo primo ventennio il regime non appariva
così corrotto, dispotico e familistico. La “rivoluzione”
del 1969 (in realtà un golpe militare) si presentava al
mondo con un carattere popolare, anche se un po’
confuso, e con un progetto di radicale cambiamento
basato su una distribuzione più equa della rendita
petrolifera, oggi appannaggio di gruppi ristretti
tribali e familiari.
Insomma, grazie al petrolio (abbondante e di ottima
qualità) la Libia presto divenne un enorme cantiere, un
mercato interessante per le nostre manifatture, una
grande opportunità di sviluppo anche per la Sicilia.
Imprese, lavoratori e tecnici siciliani furono tra i
primi a intuire quelle potenzialità e a tentare di
cogliere le disponibilità dichiarate dai dirigenti
libici.
Tutti in Libia, dunque, e sempre accolti come ospiti
graditi, anche quando si trattava di improbabili
esponenti dell’indipendentismo, soprattutto etneo, che
si nascondevano dietro una moschea finanziata dai
libici.
Anche la sinistra siciliana, nel suo naturale slancio
terzomondista, si mostrò parecchio interessata. L’Ora”
di Vittorio Nisticò realizzò un inserto bilingue
(arabo-italiano), il primo in Italia e in Europa, curato
dalla pasionaria Cris Mancuso, che diede un
grande impulso allo scambio delle informazioni e alle
iniziative economiche fra la Sicilia, la Libia e gli
altri paesi rivieraschi.
Un controverso protocollo di
cooperazione fra Sicilia e Jamahirja libica
Insomma, si creò un clima di speranzosa attesa, di
fervore costruttivo che indusse il presidente della
Regione, on. Angelo Bonfiglio, a intraprendere, nel
novembre del 1977, una visita ufficiale a Tripoli nel
corso della quale fu sottoscritto un vero e proprio
protocollo d’intesa e costituita una commissione mista
per dare corso ad una serie d’ipotesi di cooperazione in
diversi settori economici e culturali.
Il viaggio provocò un certo clamore sulla stampa e una
reprimenda pubblica del governo di Roma che non
riconosceva alla regione la potestà di firmare un
trattato con un uno Stato estero. La polemica continuò
così come continuarono le visite di delegazioni di
autorità ed operatori economici.
Come sempre accade in questi frangenti, ci furono alcuni
che colsero l’occasione per realizzare affari privati
senza averne titoli o per dare sfogo in Libia a certe
frustrazioni secessioniste in Sicilia cadute in disuso.
Nell’apparato libico c’era, infatti, una corrente che
dava corda a tendenze del genere, inconsistenti quanto
imbarazzanti, che creavano equivoci e seri disagio sul
piano politico.
Ricordo che nell’agosto del 1984, unitamente a
parlamentari di altri partiti e nazionalità, ci recammo
a Tripoli per partecipare (io come osservatore del Pci)
ad una conferenza internazionale sul 15° anniversario
della “rivoluzione” libica. Senza saperlo, mi ritrovai
sullo stesso aereo e nello stesso albergo con un
avvocato catanese che in Libia passava per “autentico
rappresentante dell’irredento popolo siciliano”.
Lo squattrinato Billy Carter nelle mani di due compari
catanesi
Un personaggio piuttosto colorito che aveva svolto un
certo ruolo anche nella famosa vicenda del “Billygate”
ossia del fratello del presidente Usa, Jimmy Carter.
Com’è noto, lo squattrinato Billy venne adescato ad
Atlanta da tale Mario Leanza, immobiliarista d’origine
catanese, il quale intrigando con il compaesano avvocato
lo condusse a Tripoli dove, in cambio di un prestito, si
abbandonò ad elogi sperticati del regime libico che suo
fratello presidente (in carica) aveva duramente
condannato e messo all’indice.
Lo stravagante Billy ebbe in Libia il suo momento d’oro:
continuava a rilasciare interviste, a farsi fotografare
anche in occasioni solenni come quella della parata
militare di Bengasi in cui lo vidi, abbronzato e col suo
vistoso cappello da cow-boy, sul palco d’onore, a fianco
di Gheddafi.
In Libia bisognava essere prudenti, stare attenti ai
passaggi politici e anche evitare d’inciampare in
personaggi del genere che affollavano il parterre della
“rivoluzione”.
Con Susanna Agnelli in visita al porto militare di Homs
Perciò, chiedemmo all’ambasciatore Shalgam (oggi
ministro degli esteri libico) di non includere
l’ingombrante avvocato etneo nella delegazione italiana,
anche perché con noi c’erano l’ambasciatore Quaroni e
l’on. Susanna Agnelli, sottosegretario agli esteri, con
i quali c’intrattenemmo in interessanti conversazioni
politiche e anche per una piacevole visita delle
incantevoli rovine di Leptis Magna e… del cantiere
dell’Impregilo (partecipata del gruppo Fiat) che stava
costruendo a Homs un porto militare che ci parve troppo
grande per le esigenze della marina libica.
Per tutta risposta, l’avvocato approntò una delegazione
che già in albergo si qualifico di nazionalità
“siciliana”; tuttavia questa volta mi parve più
dignitosa della precedente ch’era composta di
svolazzanti donnine inneggianti all’Isola irredenta, per
la gioia di certi dirigenti dei comitati popolari
libici.
A parte questi episodi, le relazione fra la Sicilia e la
Libia proseguirono con altre visite tra cui quella del
presidente della regione Rino Nicolosi, rimasta famosa
più per il bacio di Gheddafi che per gli accordi
sottoscritti.
Sì, perché i rapporti fra Sicilia e Libia furono intensi
ma poco proficui. Nessun progetto proposto dalla Sicilia
verrà realizzato.
Ci fu un tentativo d’investire nel turismo a
Pantelleria, ma abortì sul nascere. Le compagnie
libiche i grandi affari li hanno fatti fra Roma, Torino
e Milano e, ancora più lontano, fra Londra e
la Svizzera.
In Sicilia di libico ci sono solo enormi quantità di
petrolio e di gas che raffiniamo per mandare avanti
l’economia delle regioni del nord.
Pubblicato, con altro titolo, in “la Repubblica” del 25
febbraio 2011
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Teatro
romano di Leptis Magna, 1984, da sin. on. Agnelli, amb.
Quaroni e on. Spataro |
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Tripoli, presidenza conferenza mediterranea: da sin. A.
Spataro e O. Diliberto |
Inviato
dall'autore il 26/02/2011