La Sicilia e le rivolte
nel Mondo Arabo
di Agostino Spataro
Nulla possono la politica, la diplomazia contro la
meteorologia: con la bonaccia, infatti, sono ripresi gli
sbarchi di clandestini dalla Tunisia verso Lampedusa. È
questo un risvolto diretto delle rivolte arabe,
soprattutto nordafricane, che ha provocato in Sicilia
una nuova emergenza che mette a dura prova le strutture
d’accoglienza e le miopi politiche migratorie del
governo Berlusconi. Per altro, è prevedibile che l’esodo
si estenda a Egitto, Libia, Algeria. Insomma, una fuga
di massa che è una prima avvisaglia di un più grande
dramma sociale e politico che, secondo gli esiti
politici delle rivolte, potrebbe infiammare le sponde
sud ed est del Mediterraneo.
La Sicilia potrebbe ritrovarsi al centro di tensioni e
di conflitti, anche devastanti, per la ridefinizione
degli assetti dei poteri in queste regioni vitali del
mondo, in aderenza ai nuovi equilibri della
globalizzazione. Perché, a occhio e croce, di questo si
tratta.
In quest’area, infatti, insistono grandi risorse
energetiche, fenomeni ideologici irriducibili (islamismo
radicale e terroristico) e conflitti sanguinosi che
sembrano essere divenuti insolubili, fra cui quello
israelo – palestinese che, presto, potrebbe ri-diventare
arabo - israeliano.
In caso di estensione di tali conflitti
la Sicilia potrebbe restarne coinvolta. Direttamente.
Per la sua prossimità geografica e per essere divenuta
la piattaforma più avanzata degli Usa e della Nato
proiettata verso gli scacchieri mediterraneo e
mediorientale. Non è un mistero svelato, oggi, da
Wikileaks (l’abbiamo già scritto in “la Repubblica” del
6/5/2005) che a Sigonella sono concentrate le più
sofisticate capacità Usa di dispiegamento rapido per la
cosiddetta “lotta al terrorismo”.
Scenari terribili si possono, dunque, avverare e
trovare impreparate l’Italia e l’Europa le quali, a
differenza degli Usa, non hanno elaborato verso questi
paesi una dottrina unitaria, una politica autonoma di
pace e di cooperazione reciprocamente vantaggiosa.
Ma torniamo all’emergenza emigrazione che, in pochi
giorni, ha visto sbarcare in Sicilia quasi 6.000
persone; un dato allarmante e anche un po’ strano poiché
non si capisce come mai da un paese finalmente liberato
i giovani fuggano invece di restare per ricostruire
l’economia e consolidare la democrazia.
Evidentemente, qualcosa non quadra in queste
“rivoluzioni incompiute” che hanno detronizzato i rais,
ma lasciato il potere ai loro colleghi militari e agli
esponenti dell’ancien regime.
I siciliani hanno accolto con spirito umanitario la
nuova ondata migratoria, tuttavia non hanno gradito la
volontà del governo di concentrare nell’Isola i flussi
in arrivo. Diversi sindaci, specie quelli di Lampedusa,
Mineo e Caltagirone, hanno espresso alcune comprensibili
preoccupazioni. Ovviamente, il disagio non è solo
locale, ma riguarda l’intera Sicilia che certo non può
fronteggiare, da sola, un’emergenza di dimensioni
nazionale ed europea, nemmeno con gli aiuti promessi.
Questo- a me pare- il punto politico principale su cui
la Regione deve puntare i piedi.
Un’insistenza sospetta quella del governo delle
“eterne emergenze” nelle quali- sappiamo- anche i
sentimenti più genuini vengono travolti da manovre e
interessi spudorati. Specie se in ballo ci sono
contratti milionari che facilmente accendono appetiti
affaristici e clientelari. Come quelli che si profilano
con l’operazione “villaggio della solidarietà” di Mineo
dove Berlusconi e Maroni vorrebbero concentrare sette
mila rifugiati regolari. Una proposta che farà la gioia
del cavaliere Pizzarotti, ma non quella dei sindaci
della zona e delle stesse associazioni dei profughi che
la considerano un marchingegno, per altro molto costoso,
che, invece di favorire l’integrazione, isolerebbe i
rifugiati in una sorta di ghetto a quattro stelle.
Come mai una proposta simile non è stata avanzata a
una regione del Nord dove i profughi e gli immigrati
desiderano vivere? Forse per tenerli lontano dalla
“padania” ed evitare problemi elettorali alla Lega?
Solo così si può spiegare tanta sospetta benevolenza
nei confronti dell’Isola e degli immigrati che è
un’amara conferma del ruolo subalterno assegnato
all’Isola nella prospettiva strategica dell’Italia.
Anche in questo caso, si riscontrano un approccio
detestabile e un'iniqua suddivisione dei ruoli derivati
dallo sviluppo del paese: i benefici, il valore aggiunto
al centro-nord, le conseguenze negative, i problemi al
sud, in Sicilia. Gli esempi sono tanti, antichi e
recenti.
Valga per tutti l’anomalia degli scambi commerciali
con i Paesi arabi rispetto ai quali le regioni del
centro-nord sono le principali esportatrici di beni e
servizi, mentre
la Sicilia si deve far carico dell’importazione di
enormi e inquinanti quantitativi d’idrocarburi,
destinati a incrementarsi con la costruzione dei due
rigassificatori.
Spiace rilevarlo, ma la concentrazione nell’Isola di
questa massa d'immigrati e di rifugiati ha tutto il
sapore di una nuova azione discriminatrice e, anche, un
po’ razzistica.
Agostino Spataro
(21 febbraio 2011)
Agostino Spataro, giornalista, direttore di
www.infomedi.it , collaboratore di “la Repubblica”,
è autore di diversi saggi sul Mediterraneo e sul Mondo
arabo