La Dittatura degli
Investimenti
di Agostino Spataro
1.. Credo che, negli ultimi giorni, stia crescendo
nell’opinione pubblica l’intima consapevolezza che
l’ingiunzione della Fiat non riguardi solo i lavoratori
dei due stabilimenti (Mirafiori e Pomigliano), ma la
società italiana poiché, oltre a importanti conquiste
del lavoro, mette in discussione taluni principi
regolatori della convivenza sociale e democratica.
Perciò, è auspicabile spostare il confronto dai tavoli
istituzionali alla società, evitando l’eccessiva
personalizzazione su Marchionne che appare fuorviante,
persino troppo comoda per chi gli sta sopra.
Non bisogna essere grandi economisti o esperti di
relazioni industriali per capire che, oggi, la Fiat vuol
fare in Italia ciò che, nei decenni trascorsi, è stato
fatto in diverse regioni del “terzo mondo” (Pvs) da
talune multinazionali della “triade” (Usa, Europa,
Giappone) le quali hanno imposto legislazioni e
contratti basati sulla mercificazione dei diritti e
della dignità dei lavoratori.
Oggi, questa strategia, presente anche in alcuni Stati
Usa, si vorrebbe trasferire in Italia e in Europa. A
quel tempo, pochi si allarmarono per la brutta piega che
stava prendendo la questione degli Investimenti. Le
grandi multinazionali, infatti, li hanno usati come
clava per dettare le loro pesanti condizioni ai governi
locali che potevano scegliere fra prendere o lasciare.
Quello fu l’inizio di un processo destinato ad
estendersi all’intero pianeta. In sintonia, d’altronde,
con la bozza di Accordo Multilaterale sugli Investimenti
(Ami), approntata in sede OCDE e bloccato a causa del
ritiro della Francia dai negoziati.
2.. E così, oggi, i gruppi più agguerriti, senza alcun
vincolo sociale e morale, sono alla ricerca del più
vantaggioso “investionklima”, delocalizzano per
“ottimizzare” il prodotto e “massimizzare” i profitti.
A pagare il conto delle conseguenze sociali e
ambientali, della disoccupazione anche dei paesi
industrializzati, sono gli Stati nazionali che non si
vogliono abolire, ma solo asservire agli interessi
dominanti delle multinazionali. Insomma, in quei Paesi
poveri e sovra popolati e spesso dominati da governi
corrotti e illiberali, si affermò una sorta di
“dittatura degli investimenti” che ora si vorrebbe
trasferire in Italia, nelle regioni più avanzate
dell’Occidente.
Il nostro fallace eurocentrismo non ci fece vedere la
pericolosità di tale “dittatura”. Molti ritennero che
poteva attecchire solo in quelle remote regioni, mai nei
Paesi d’origine degli investimenti, democratici e super
industrializzati. Ecco, invece, arrivare la botta anche
in Italia, sotto forma di ricetta infallibile per
“salvare” due stabilimenti Fiat (Mirafiori e Pomigliano)
e per chiuderne un altro (Termini Imerese). Con un sol
colpo, la Fiat, con le sue pretese impositive, mira
acuire la lacerazione dei rapporti intersindacali e
industriali e aprire scenari destrutturanti dei sistemi
di garanzia vigenti.
Un programma avventuroso, unilaterale che punta a
dividere i lavoratori e a umiliare il sindacato più
rappresentativo, affidando il tutto a un referendum sul
quale grava lo spettro del disinvestimento e della
disoccupazione.
3.. In altri Paesi europei di primo livello una cosa del
genere sarebbe improponibile, irricevibile.
Si propone in questa Italia in crisi e senza una
leadership autorevole, secondo un calendario
prevedibile: oggi nei due stabilimenti della Fiat,
domani nel resto dell’Italia, dopodomani in Europa.
Si sta giocando una decisiva partita a due, impari e
letale, fra un colosso multinazionale e un sindacato (la
Fiom) glorioso, combattivo ma isolato. Di fronte a tutto
ciò, cosa stanno facendo governo e forze politiche? C’è
chi tifa apertamente per Marchionne, chi gli fa il coro
dall’altare maggiore, chi si dimena nella contraddizione
di volere conciliare ragioni insanabili. Qualcuno
contesta.
In questo pantano il ministro del lavoro Sacconi
continua a invocare “meno Stato e più mercato” e a
proclamare la “fine delle ideologie”. Che differenza di
stile e di concetto con i suoi predecessori Carlo Donat
Cattin, Tina Anselmi! Ministri democristiani, cattolici,
espressione di quella Cisl che ieri ha combattuto per
ottenere quelle conquiste che oggi annulla con gli
accordi separati.
Un ministro che frequenta le stanze ovattate di
Confindustria dovrebbe sapere che non tutte le ideologie
sono scomparse, ma solo quella della sinistra marxista
(alla quale egli, da socialista (o ex?), dovrebbe essere
sensibile) perché ha perduto la competizione a favore
dell’ideologia di questo capitalismo arrogante, rimasta
unica e sola a dominare il mondo.
La verità è che questi signori, per non ammettere il
fallimento delle loro politiche economiche e sociali,
hanno bisogno di montare una colossale mistificazione
della realtà, di rompere la coesione sociale, di
promuovere, favorire la divisione dei sindacati, della
società, addirittura delle famiglie.
4.. Un’altra offensiva che si vorrebbe scatenare,
affidandola a quel corteo decadente di bulli, pupe e
ruffiani che gironzola per redazioni giornalistiche e
televisive, è quella di portare la divisione, lo scontro
anche all’interno delle famiglie, fra le generazioni.
Sei disoccupato? non trovi lavoro? La colpa non è di
governi incapaci di creare opportunità per i giovani, di
una legislazione iniqua introdotta per favorire il
precariato, il lavoro nero, clandestino, ma di tuo
padre, di tuo nonno che, da biechi egoisti, si vogliono
godere la sudata pensione e fanno studiare, vivacchiare
i figli inoccupati e/o sfruttati con contratti
vergognosi. Alla stessa ipocrita risposta si ricorre per
spiegare la crisi della scuola e dell’università
pubbliche, la mancanza di servizi efficienti,
d’infrastrutture, ecc.
Nessuno parla delle scandalose e sospette fortune
accumulate, della voragine dell’evasione fiscale che,
certo, non riguarda i pensionati e i lavoratori
dipendenti. L’intento è chiaro: deviare sui genitori
l’immensa rabbia dei giovani che non intravedono un
futuro degno. Mettere i figli contro i padri è un
risvolto davvero odioso, pericoloso(altro che difesa
della famiglia!) che potrebbe sfociare in una sorta di
guerra fra generazioni. Un perfido tranello nel quale-
si spera- i giovani non dovrebbero cadere.
5.. Tutto ciò per nascondere la crescente disparità
sociale, le disuguaglianze che, finalmente, anche la
Banca d’Italia ha rilevato.
Non è vero che in questa ventennale transizione in
Italia non è successo nulla. No. Si è verificato un
processo di accumulazione scandaloso, un colossale
spostamento di reddito dalle fasce medio - basse della
società a favore di quelle più alte: il 10% delle
famiglie oggi possiedono il 45% della ricchezza
dell’Italia che, nonostante tutto, è il decimo paese più
ricco del mondo.
Secondo una bizzarra aritmetica, in Italia, ricchezza e
povertà, e disoccupazione, crescono insieme,
contemporaneamente. Colpa dei padri o dei nonni? o di
chi manovra, in pubblico e in segreto, per favorire
pochi ceti contro tutti gli altri?
Le risposte a questo tentativo potrebbero essere tante.
La migliore sarebbe di ricominciare a lottare, a
marciare insieme, figli, padri e nonni, a difesa dei
diritti fondamentali dei cittadini, contro chi vuole
impossessarsi, letteralmente, della ricchezza, del
futuro di questo nostro bellissimo Paese. Questo è anche
lo spartiacque fra destra e sinistra, fra progresso e
conservazione, fra individualismo e solidarietà, fra
libertà e liberalismo selvaggio.
Gli stessi partiti, in preda a ricorrenti crisi
d’identità, potrebbero trovare, finalmente, una degna e
coerente collocazione: o da un lato o dall’altro.
L’obiettivo non è la “rivoluzione”, né il cambio di
sistema, ma quello di cambiare l’Italia in sintonia con
le migliori innovazioni e con la nostra Costituzione
unitaria e solidale.
5 gennaio 2011
Agostino Spataro, direttore di
www.infomedi.it, è coautore, con N. Chomsky e altri,
del libro “Il Pianeta Unico”, Eléuthera edizioni,
Milano, 1999.