Lavoratori precari: la coscienza sporca dei politici
siciliani
di
Agostino Spataro
Il raduno di migliaia
di precari a Palermo ha riportato le lancette della
vicenda politica siciliana sull’ora esatta del dramma
sociale e umano che stanno vivendo, da lungo tempo,
22.500 lavoratori degli enti locali in attesa di
stabilizzazione.
C’è stato, perfino,
un ben orchestrato e unanimistico “giuramento”
all’Albergo delle povere di cui si sono resi
protagonisti assoluti l’assessore Leanza e il
governatore Lombardo, il quale, imbracciato il megafono,
pareva volesse rubare il mestiere anche ai sindacati,
dopo averlo rubato ai partiti d’opposizione al governo
Berlusconi, di cui il suo MpA fa parte.
Dello scippo,
finalmente, si è accorto anche il segretario Pd, on.
Lupo.
Insomma, la causa è
giusta ma “l’opra è pellegrina”, direbbe Domenico Scinà,
e anche un po’ strumentale, aggiungiamo noi.
Sì, perché tutto
questo furore attivistico appare un po’ sospetto visto
che ci si poteva attivare anni prima, con meno dispendio
d’energie e con più possibilità di successo per i
lavoratori.
Invece, si è atteso
l’annullamento- in gran parte prevedibile- da parte del
commissario dello Stato delle norme relative contenute
nella finanziaria e il varo da parte del governo amico
di Berlusconi e Tremonti di una manovra lacrime e sangue
che certo scoraggia tali operazioni.
Speriamo che ce la
facciano a convincere i loro amici di governo a
concedere una deroga al patto di stabilità, tuttavia
bisogna rilevare che il tempo e i modi individuati non
sono i più indicati per risolvere l’oneroso problema.
Da notare, inoltre,
che tali problematiche rendono ancor più incandescente,
la condizione generale della Sicilia senza che
s’intravveda una soluzione politica, un nuovo governo,
capace di tracciare una prospettiva di fuoriuscita, a
breve e a medio termine.
Questo è il dramma
che vive, oggi, la Sicilia, quasi senza speranza.
Vecchi e nuovi
problemi si affollano, insoluti, dietro i portoni degli
assessorati e dei due palazzi simbolo di questa
Autonomia da tempo in decadenza, perché svilita,
trasfigurata dal malgoverno e dall’imperizia dei suoi
occasionali e interessati paladini.
E così, ogni giorno,
a Palermo si avvicendano nuovi cortei di precari,
licenziati, disoccupati, inoccupati. Sfilano, rabbiosi,
con i pugni al cielo, per le vie di questa città
sgomenta che riesce solo a interiorizzare il sentimento
frustrato di rivolta che si legge sui volti dei
lavoratori siciliani.
Ora, sono tornati
in massa i precari “storici” degli enti locali. O la
va o la spacca, si saranno detti. Anche perché questa è
la sensazione diffusa ad arte da chi, da anni, poteva
prevenire l’attuale incombente minaccia risolvendo il
problema in tempo utile e non l’ha fatto.
Già dall’aggettivo
“storici” si evince il colpevole ritardo col quale hanno
proceduto i vari governi succedutisi alla regione.
La loro
“storicità” vuol dire annosità: la gran parte di questi
precari sono stati chiamati in servizio chi da 10 chi da
20 anni.
In tutto questo
tempo, i vari governi si sono passati la palla, magari
ognuno aggiungendo qualcosa di suo al già oneroso
pregresso.
In realtà, invece
di risolvere la vertenza l’hanno accresciuta,
appesantita, accumulando nuovo precariato, creando una
diffusa condizione di bisogno, di precarietà per
l’appunto, da sfruttare ai fini elettorali.
Il risultato è questa
bomba sociale che può deflagrare da un momento
all’altro, con pesanti conseguenze anche per gli enti
che si avvalgono delle loro prestazioni.
E’ accaduto in tanti
settori dell’amministrazione, degli enti e delle società
partecipate: dalla formazione alla forestazione, ai
servizi più disparati.
Come dire,
invertendo l’ordine dei fattori il risultato è stato:
zero sviluppo e precari in gran quantità. Questo è il
dato incontrovertibile che, di fatto, ha abolito i
pubblici concorsi e costretto centinaia di migliaia di
giovani all’emigrazione.
E nulla cambia.
Nemmeno oggi. Mentre si sbandierano “riforme” o titoli
di riforme, si continua a difendere nomine di esterni,
fatte per meriti di partito, collocati ai vertici
dell’amministrazione regionale, delle aziende sanitarie,
degli ospedali, della miriade di società, secondo una
logica discriminante e distruttiva di ogni
professionalità e perfino del diritto costituzionale dei
cittadini all’uguaglianza nell’accesso al lavoro. Per
altro con un forte aggravio di spesa.
Grazie a questa
politica, si è formata alla regione una sorta di
“precariato di lusso” ben remunerato e ben protetto
anche se, talvolta, professionalmente inadeguato.
Per concludere.
Credo che i governi di Palermo e di Roma abbiano il
dovere di assicurare ai precari “storici” una soluzione
dignitosa e definitiva e di non produrre altro
precariato e soprattutto di voltare pagina, per
cominciare a guardare agli altri che attendono,
disoccupati o con la valigia in mano, un posto di lavoro.
Insomma, anche per
loro ci vorrebbe un giuramento all’Albergo delle povere,
meglio se nelle sedi più solenni del parlamento e del
governo siciliani.
La questione
dirimente- come segnalano anche settori importanti di
Confindustria- è di far ripartire l’economia
della Sicilia, rimettendo lo sviluppo al centro
dell’impegno politico e di governo. Servirebbe uno
sforzo serio, una mobilitazione eccezionale di forze,
risorse e progettualità.
Bello sarebbe, ma
temo che non li possa assicurare un governo zoppo,
minoritario come l’attuale.
Agostino Spataro
pubblicato,
con altro titolo, in La Repubblica del 5 giugno 2010