Garibaldi fu ferito… da Lombardo e Micciché
di
Agostino Spataro
Oggi il presidente
della Repubblica, Giorgio Napolitano, sbarcherà a
Marsala e- subito dopo andrà a Calatafimi e a Salemi-
per celebrare il 150° anniversario della spedizione dei
Mille.
Un avvenimento
storico importante per la Sicilia, per l’Italia sul
quale, purtroppo pesa- è inutile sottacerlo-
un equivoco di natura politica che sarebbe bene chiarire
e superare.
Intendo riferirmi
agli atteggiamenti e alle dichiarazioni pubbliche dei
due massimi esponenti dell’attuale minoranza (Mpa e PdL
Sicilia) che governa la regione: il presidente Raffaele
Lombardo che, a più riprese, ha definito l’impresa di
Garibaldi “un’impostura” e l’on. Gianfranco Micciché,
sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei
Ministri, il quale, nei giorni scorsi a Caltanissetta,
si è spinto ad affermare che “Garibaldi ha fatto più
danni di Hitler”. Sic!
Come si vede, non si
tratta di nostalgici del sanguinoso conflitto
indipendentista del dopoguerra, ma di due personalità di
governo che vorrebbero creare il “partito del sud” per
fare “la rivoluzione” in Sicilia e nel meridione, senza,
per altro, specificarne natura e finalità e soprattutto
a favore di chi.
La pretesa è
quantomeno sospetta, poiché questi signori e i loro
sodali, da decenni al governo, l’avrebbero potuta fare
la rivoluzione, e non l’hanno fatta, limitandosi ad una
gestione clientelare ed affaristica dell’Autonomia.
Da questo
fallimento, credo si origini la furia iconoclasta contro
il povero Peppino, l’eroe che il mondo ci invidia.
Ma cosa c’entra
Garibaldi col disastro attuale della Sicilia?
Ovviamente, nulla.
Eppure, statene
certi, continueranno ad attaccare anche altri simboli
dell’unità nazionale nella speranza che la loro
agitazione, per altro storicamente raffazzonata, possa
far deviare l’attenzione dei siciliani dai guai in cui è
stata cacciata la regione.
Insomma, si gioca a
scimmiottare i nemici/alleati della Lega di Bossi e di
Borghezio, si lavora per avvelenare il clima di festa e
per indebolire lo sforzo per rafforzare l’unità della
nazione, per fiaccare lo spirito pubblico dei siciliani.
Che cosa si vuole?
Di nuovo il separatismo, la secessione? Attenti. In un
momento drammatico come l’attuale questi giochetti
potrebbero riaccendere fuochi pericolosi di cui la
Sicilia ha già pagato un prezzo altissimo e crudele.
Per fortuna, spero si
tratti solo di disdicevoli espedienti propagandistici,
non tali, comunque, da frastornare i sentimenti più
autentici dei siciliani, residenti ed emigrati, che sono
cresciuti nel culto delle gesta eroiche di
quell’esercito formato di volontari garibaldini, che-
come ha detto il presidente Napolitano a Genova - “parlavano
tutti i dialetti dell’Italia settentrionale” e di
decine di migliaia di combattenti siciliani che, nel
volgere di poche settimane, hanno liberato la Sicilia e
il meridione dal giogo borbonico.
Quando si parla d'
impostura, di trucchi, di rapina del tesoro dei Borboni
bisognerebbe spiegare come mai furono possibili la
formazione di quell’esercito “nazionale”, la rapidità
della sua azione vittoriosa, la resa subitanea degli
eserciti borbonici.
Evidentemente, i
tempi erano maturi per il cambiamento e il Borbone non
godeva poi di quel gran consenso popolare che, dopo 150
anni, gli si vorrebbe attribuire.
Certo, riaffermare
il valore fondante di quella missione non vuol dire
impedire una rilettura, anche critica, di fatti e
misfatti che si sono verificati durante e soprattutto
dopo l’11 maggio del 1860.
Riflessione che va
fatta in sede storica e, possibilmente, da storici
titolati e non da politici interessati a intorbidire le
acque per inconfessabili finalità di potere.
Chi oggi, da
posizioni di governo, agita la bandiera della mancata
unità economica dell’Italia (ovviamente reale e
drammatica per il meridione) dovrebbe, in primis,
spiegare cosa ha fatto o sta facendo per colmare il
grave divario.
E magari andarsi a (ri)
leggere le analisi dei meridionalisti del secolo scorso
e in particolare quella di Antonio Gramsci il quale
scrisse di un “patto scellerato” fra industriali del
nord e latifondisti e affaristi politici del sud.
Una rilettura,
forse, imbarazzante poiché molti di questi agitatori si
potrebbero rivedere riflessi negli identikit tracciati
dall’analisi gramsciana.
E qui mi fermo, per
ragioni di spazio e di opportunità.
Quel che oggi di più
preme ai siciliani è dare il benvenuto e rivolgere un
saluto deferente al Presidente della Repubblica che
rappresenta e interpreta il senso vero e solidale
dell’unità della nazione.
Il fatto che una
parte della visita ufficiale si svolga a Salemi, città
dove fu proclamata la Dittatura di Giuseppe Garibaldi,
accresce l’importanza dell’avvenimento e rende merito
al sindaco, Vittorio Sgarbi, il quale, da non siciliano,
offre una lezione di stile e di concetto a quei
siciliani che vorrebbero revisionare la nostra storia
senza averne titoli e soprattutto validi argomenti.
Agostino Spataro
Articolo pubblicato, con altro titolo, in La
Repubblica dell'11/5/10