Sicilia, una minoranza governante
di
Agostino Spataro
Effettivamente, c’è da convenire che, dopo la
rocambolesca approvazione all’Ars di bilancio e
finanziaria, un po’ più di chiarezza si è fatta nello
scenario politico siciliano. Nel senso che, anche se
resta segnato da forti contraddizioni e laceranti
contrasti, sono venuti alla luce alcuni sotterfugi che
meglio spiegano il senso di certe posizioni fino ad oggi
impacciate e inconfessabili.
Il fatto più rilevante, e prevedibile, è la
trasformazione in maggioranza della “minoranza
governante”(MpA e Pdl Sicilia), grazie al voto
favorevole di gran parte del gruppo del Pd. Dunque,
tutto bene per Lombardo e soci? Così parrebbe. In
realtà, i problemi veri cominceranno adesso, a causa
dell’improvvisata nascita di questa maggioranza anomala
e precaria.
D’ora in avanti, nessuno può far finta di niente. A
Palermo e a Roma. Il centro-destra, con in testa
Berlusconi, deve spiegare al popolo (non solo delle
libertà) i motivi per i quali metà del PdL ha votato
insieme al Pd e, dall’altra parte, i dirigenti del
partito democratico dovranno dare convincenti
spiegazioni ai loro elettori, non solo siciliani.
I due grandi partiti, se son degni di questo aggettivo,
non potranno divagare, ritardare poiché entrambi hanno
interesse a riportare a “regime” la situazione
siciliana, a riordinare la collocazione dei rispettivi
partiti e gruppi locali all’interno degli schemi
politici nazionali. Insomma, si riproporrà il nodo di
fondo che si voleva aggirare: quello della governabilità
della regione, che il voto sul bilancio non ha sciolto.
Certo, Lombardo può tirare un sospiro di sollievo, ma sa
benissimo che il suo tentativo non ha superato lo stadio
di “minoranza governante” che nei prossimi mesi sarà
sottoposta a dure prove e a verifiche molto severe sui
terreni dei rapporti politici e dello scontro sociale.
Il problema è lo stesso di prima: acquisire una
maggioranza politica e parlamentare ampia e definita,
senza la quale non si va da nessuna parte. Come
risolverlo? La risposta è difficile. Anche perché buona
parte di questa manovra è tuttora coperta da intese e
accordi sottobanco che più si addicono a una “spy story”
che ad un’operazione politica democratica.
Comunque sia, il dato incontrovertibile è che la regione
è governata da una minoranza. Così è, almeno
ufficialmente. Stando alle precisazioni dell’on. Lupo,
infatti, il Pd ha votato il bilancio, ma non è (ancora)
entrato nella compagine di maggioranza. Spiegazione
debole che contrasta con una prassi consolidata. In
altre circostanze, si potevano votare alcuni articoli,
emendamenti, ma sul voto finale, al massimo, ci si
asteneva. L’astensione su un bilancio, per altro affatto
entusiasmante, di un partito d’opposizione è
interpretata come voto positivo. Il voto favorevole è,
dunque, una forzatura che nessuno capisce, nemmeno
enfatizzando taluni risultati, socialmente e moralmente,
apprezzabili, ma non tali da farli passare per
vittoriose riforme. Questa prassi era nota, ma, nel caso
specifico, l’astensione del Pd non era sufficiente per
varare bilancio e legge finanziaria. Perciò, il voto
favorevole.
E così la politica siciliana è di nuovo incappata in un
pericoloso tornante dal quale non sarà facile uscire
indenni, magari sperando di rinviare il confronto
all’infinito. Sarà a giugno o a novembre, ma verrà il
momento della verità, delle scelte coerenti e
trasparenti. Soprattutto per il Pd siciliano che, oltre
a chiarirsi con i suoi elettori, dovrà armonizzarsi col
quadro di riferimento nazionale. Pena la divisione anche
del Pd (già cominciata all’Ars proprio sul voto sul
bilancio) che, come le altre divisioni già consumate,
credo, sia nel programma di Lombardo. Un chiarimento
ineluttabile specie ora che, archiviate le regionali
penalizzanti per i due grandi partiti, sembra diradarsi
il pericolo di elezioni politiche anticipate, da tutti
temute.
Senza più lo spettro dello scioglimento anticipato del
Parlamento, il Pd non ha più ragioni di alimentare in
Sicilia una manovra politica così contorta; di
continuare ad appoggiare surrettiziamente una minoranza
governante o addirittura co-governare con una parte del
Pdl, fortemente legata a Berlusconi ed a dell’Utri, che
si ritroverà certamente avversaria alle prossime
scadenze elettorali nazionali e regionali.
Così come potrebbe riconsiderare, con più rigore e
lungimiranza, i suoi rapporti con Lombardo, sempre
ondivago sul terreno delle alleanze, il quale, per
sopravvivere, deve continuare a scompaginare il sistema
politico siciliano, per far nascere dalle sue rovine il
“partito del sud”. Una chimera o una nuova patacca
politica che, senza i finiani e Micciché, difficilmente
Berlusconi potrà autorizzarlo in tal senso, si
ridurrebbe a una variante onomastica del MpA che, non
trovando spazio a destra, potrà volgere i suoi appetiti
a sinistra, fino a minare le fragili basi elettorali del
Pd.
Peccato! L’indebolimento ulteriore, la frantumazione del
Pd brucerebbero l‘unica speranza di vero cambiamento nel
progresso e nella legalità. Giacché, il Pd, nonostante
tutto, resta la principale forza aggregante del
centro-sinistra su cui imperniare un nuovo schieramento,
sociale e politico, alternativo al centro-destra in
crisi, in Sicilia e in Italia.
Agostino Spataro
Articolo pubblicato, con altro titolo, in La
Repubblica del 5/5/10