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Salviamoci dagli “Spagnolismi”

di Gherardo Mengoni

Filippo III di Spagna (1598-1621)

Non proverò nemmeno per un secondo ad affrontare il noto argomento: “Spagnolismo ed Antispagnolismo nel processo storico, all’origine della Questione Meridionale”.

Non mi permetterò di scomodare Vincenzo Cuoco o Francesco de Sanctis e neppure Benedetto Croce o Gabriele Pepe che, più e meglio di altri, trattarono il tema, seppure da posizioni discordanti.

Rischierei di tediare il lettore oltre il lecito, con l’aggravante di suscitare risentimenti e reazioni differenti tra i fautori della tesi a favore della influenza spagnola sul Meridione d’Italia e tra coloro che fanno, al contrario, risalire le forti negatività sociali che hanno subito e subiscono tutt’oggi le popolazioni meridionali, ai trecento e più anni di presenza spagnola, duecento dei quali sopportata, in forma di vassallaggio assoluto, al tempo del Viceregno (1503-1707).

Intendo solo coinvolgervi, in una breve riflessione, sull’uso corrente della parola spagnolismo divenuta, per accezione gergale o per deformazione semantica, un epiteto che sta ad indicare un coacervo di cattive abitudini nei costumi.

Sarà, forse, un derivato concettuale un po’ forzato quello che attribuisce matrice soltanto spagnola a comportamenti disdicevoli delle nostre popolazioni del Sud ma “vulgata vox saepe veritatis vox” e, pertanto, - pur con il massimo rispetto per i cittadini spagnoli, oggi nostri confratelli in una Europa che bisogna sognare davvero unita, - diciamo le cose così come sono, dando alle parole il significato che hanno assunto comunemente, tentando, per prima cosa, di definire che cosa è lo spagnolismo.

Il termine, trafugato, come accennavo, dal lessico della storiografia moderna, e trasferito al comportamento sociale, identifica una serie di fattori negativi; di atteggiamenti impropri; di abitudini non corrette, riscontrabili, indistintamente, in varie popolazioni del nostro Paese ed in particolare in quelle che albergano nel Sud d’Italia.

La tradizione storica attribuisce, sovente, al malcostume della Corte Vicereale Spagnola una pervasività di fatto, con una persistenza d’immagine, fastosa e miserabile ad un tempo, diffusa sull’intero territorio, sottoposto ad un oppressivo, secolare vassallaggio.

Basti ricordare, il lusso delle dimore e dei Castelli dei grandi di Spagna; l’albagia dei feudatari assegnatari di vastissime aree del Viceregno e, di converso, il bighellonare per le strade della Napoli cinquecentesca dei tercios, i soldati straccioni, piombati dalla Navarra o dalla Murcia, ubriachi già a prima mattina e additati dal popolo come cerriglieros, frequentatori, cioè, della malfamata Taverna del Cerriglio .

Viene da riflettere sulle conseguenze di questo lungo, silenzioso assedio morale nei confronti delle nostre popolazioni.

Si può comprendere, forse, perché la parola spagnolismo, che all’origine è solo un modo di esprimere il comportamento simile a quello del dominatore spagnolo, sia divenuto nel tempo un termine dispregiativo. Come pure si dovrà convenire che la data d’inizio dell’uso traslato di detto termine, non è recente; è antico ed è presente già nel XVI secolo .

Ma, se è vero che il cattivo esempio nei comportamenti nasceva dalla Corte Vicereale Spagnola, ben predisposto ed accogliente dovette mostrarsi l’humus culturale o pseudo-culturale verso il quale veniva indirizzato questo dardo velenoso, portatore di pessime abitudini.

Una forte, naturale predisposizione alla trasgressione ed all’esagerazione, quasi in ogni aspetto della vita di comunità, doveva essere già insita nei nostri antenati meridionali.

Altrimenti non si spiegherebbe la diffusione così rapida, in ogni strato sociale della popolazione del Sud, dal più elevato al più infimo, di atteggiamenti, privi di buoni costumi che, per sintesi prevalente, definiamo, appunto, spagnolistici.

Questo lato del problema potrebbe far comprendere perché si generarono, si svilupparono e tutt’ora permangono nelle nostre genti tendenze forti verso l’arroganza, la superbia, la prevaricazione ingiustificata, la presunzione altezzosa, il desiderio di esibire, l’autoreferenzia-lità vacua ed immeritevole; l’apparenza piuttosto che la sostanza.

Così pure l’atteggiamento adulatorio eccessivo, diffuso anche nelle fasce colte e, pertanto, ancor più disonorevole, come “il baciare le mani”; usare il “don” oppure l’”eccellenza” rivolgendosi a persone non destinate a particolari riguardi, nella logica perversa di un cerimoniale esteriore, falso e gravemente umiliante per chi lo pratica.

Orbene tutto ciò apparentemente non riguarda noi che ci proclamiamo assertori della operosità; della visione democratica della convivenza; del rispetto per l’uomo e per la natura; della libertà e laicità delle idee .

Eppure, scrutando prima nel nostro animo e poi in quello di coloro che con noi percorrono la medesima strada, potrebbe accadere di riscontrare l’esistenza di fattori negativi di ordine comportamentale che, a seconda dei casi; provengono da arroganza o da servilismo, da esteriorità o da ruffianeria; tutti atteggiamenti da configurare come caratteristici del più deteriore spagnolismo.

Io ritengo che fra le ragioni più vere per le quali si deve stare insieme agli altri, attualizzando il concetto di amicizia solidale, ci sia quello di verificare e migliorare continuamente la qualità dei nostri comportamenti etico-sociali, cercando di sorreggerci scambievolmente .

Se con ciò non riusciremo a raggiungere all’interno dei nostri gruppi la perfezione sociale, poco importa, ma nostro dovere resta avvicinarci il più possibile e con ogni sforzo a quella che deve essere la più adeguata composizione, fra valori etici, comportamenti sociali e rispetto delle regole che il territorio, in cui operiamo, ci pone.

Cominciamo nel nostro ambito a bandire atteggiamenti ipercritici sull’attività degli altri, specie se le osservazioni provengono da persone che non partecipano alla vita d’azione; che siedono accanto a noi, con distratta rassegnazione o snobistica sufficienza, in attesa che trascorra la giornata.

Parimenti occorre contrastare l’eccessivo servilismo che alcuni manifestano nei confronti di personalità, verso le quali intendono mostrare la loro sottomissione. E’ un fatto disdicevole che lede profondamente la dignità dei singoli e della intera comunità d’appartenenza!

Analogamente occorre contrastare l’atteggiamento falsamente paternalistico e sempre più spesso arrogante di altri, la cui consueta deformazione managerial-accademico-baronale non viene interrotta nemmeno dal suono della campana che da inizio ad una cerimonia funebre.

Stesso discorso vale per coloro che praticano l’ipocrisia del gesto e della parola e che inondano le occasioni di incontro con sorrisi e false promesse di partecipazione attiva alle nostre iniziative di solidarietà e poi non spengono il proprio cellulare nemmeno se c’è lo scoppio di una polveriera.

I principi illuministici di uguaglianza debbono essere difesi ad ogni costo ed in ogni luogo. Se ciò vi convince, allora prevaricazioni di tipo baronale: pressioni suadenti; esibizioni autore-ferenziali a contenuto zero; false promesse; adulazioni spropositate, tutte catalogabili come forme di spagnolismo deteriore, non debbono essere più tollerate. Solo così potremo avviare le nostre comunità verso un respiro europeo, eticamente corretto.

Riflettiamo, dunque, e proponiamoci, con l’esempio, di sradicare prima in noi stessi, poi fra i nostri compagni più vicini la mala pianta dello spagnolismo che la antica cultura, alla quale apparteniamo, deve saper rifiutare in maniera convinta, in tutte le molteplici sfaccettature in cui si presenta.

In secondo momento, rivolgendo lo sguardo al territorio, potremmo inserire, in una forma di attività sociale, una garbata e decisa lotta di principio alla piaga dello spagnolismo, provando a convertire anche gli altri, meno vicini a noi, verso forme di sereno ed equilibrato comporta-mento, senza griffe da esibire e senza telefonini urlati in treno e in ogni dove.

Se riusciremo a far ciò contribuiremo, in un logica di attiva, corale partecipazione, alla riduzione degli steccati ideologici e di costume che separano e non uniscono gli uomini di questo disarticolato e supponente Paese dove, invece, il medesimo Sole dovrebbe illuminare le rive del Dio Po; le falde del Vesuvio e gli ori di Monreale.

Gherardo Mengoni


Articolo inviato dall'autore al Portale del Sud nel mese di marzo 2010

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