Non proverò nemmeno
per un secondo ad affrontare il noto argomento: “Spagnolismo ed Antispagnolismo
nel processo storico, all’origine della Questione Meridionale”.
Non mi
permetterò di scomodare Vincenzo Cuoco o Francesco de Sanctis e
neppure Benedetto Croce o Gabriele Pepe che, più e meglio di altri,
trattarono il tema, seppure da posizioni discordanti.
Rischierei di tediare il lettore oltre il lecito, con l’aggravante
di suscitare risentimenti e reazioni differenti tra i fautori della
tesi a favore della influenza spagnola sul Meridione d’Italia e tra
coloro che fanno, al contrario, risalire le forti negatività sociali
che hanno subito e subiscono tutt’oggi le popolazioni meridionali,
ai trecento e più anni di presenza spagnola, duecento dei quali
sopportata, in forma di vassallaggio assoluto, al tempo del
Viceregno (1503-1707).
Intendo
solo coinvolgervi, in una breve riflessione, sull’uso corrente della
parola spagnolismo divenuta, per accezione gergale o per
deformazione semantica, un epiteto che sta ad indicare un
coacervo di cattive abitudini nei costumi.
Sarà,
forse, un derivato concettuale un po’ forzato quello che attribuisce
matrice soltanto spagnola a comportamenti disdicevoli delle nostre
popolazioni del Sud ma “vulgata vox saepe veritatis vox” e,
pertanto, - pur con il massimo rispetto per i cittadini spagnoli,
oggi nostri confratelli in una Europa che bisogna sognare davvero
unita, - diciamo le cose così come sono, dando alle parole il
significato che hanno assunto comunemente, tentando, per prima cosa,
di definire che cosa è lo spagnolismo.
Il
termine, trafugato, come accennavo, dal lessico della storiografia
moderna, e trasferito al comportamento sociale, identifica
una serie di fattori negativi; di atteggiamenti impropri; di
abitudini non corrette, riscontrabili, indistintamente, in varie
popolazioni del nostro Paese ed in particolare in quelle che
albergano nel Sud d’Italia.
La
tradizione storica attribuisce, sovente, al malcostume della Corte
Vicereale Spagnola una pervasività di fatto, con una persistenza
d’immagine, fastosa e miserabile ad un tempo, diffusa sull’intero
territorio, sottoposto ad un oppressivo, secolare vassallaggio.
Basti
ricordare, il lusso delle dimore e dei Castelli dei grandi di
Spagna; l’albagia dei feudatari assegnatari di vastissime aree
del Viceregno e, di converso, il bighellonare per le strade della
Napoli cinquecentesca dei tercios, i soldati straccioni,
piombati dalla Navarra o dalla Murcia, ubriachi già a prima mattina
e additati dal popolo come cerriglieros, frequentatori, cioè,
della malfamata Taverna del Cerriglio .
Viene da
riflettere sulle conseguenze di questo lungo, silenzioso assedio
morale nei confronti delle nostre popolazioni.
Si può
comprendere, forse, perché la parola spagnolismo, che
all’origine è solo un modo di esprimere il comportamento simile a
quello del dominatore spagnolo, sia divenuto nel tempo un
termine dispregiativo. Come pure si dovrà convenire che la data
d’inizio dell’uso traslato di detto termine, non è recente; è antico
ed è presente già nel XVI secolo .
Ma, se è
vero che il cattivo esempio nei comportamenti nasceva dalla Corte
Vicereale Spagnola, ben predisposto ed accogliente dovette mostrarsi
l’humus culturale o pseudo-culturale verso il quale veniva
indirizzato questo dardo velenoso, portatore di pessime abitudini.
Una
forte, naturale predisposizione alla trasgressione ed
all’esagerazione, quasi in ogni aspetto della vita di comunità,
doveva essere già insita nei nostri antenati meridionali.
Altrimenti non si spiegherebbe la diffusione così rapida, in ogni
strato sociale della popolazione del Sud, dal più elevato al più
infimo, di atteggiamenti, privi di buoni costumi che, per
sintesi prevalente, definiamo, appunto, spagnolistici.
Questo
lato del problema potrebbe far comprendere perché si generarono, si
svilupparono e tutt’ora permangono nelle nostre genti tendenze forti
verso l’arroganza, la superbia, la prevaricazione ingiustificata, la
presunzione altezzosa, il desiderio di esibire,
l’autoreferenzia-lità vacua ed immeritevole; l’apparenza piuttosto
che la sostanza.
Così pure
l’atteggiamento adulatorio eccessivo, diffuso anche nelle fasce
colte e, pertanto, ancor più disonorevole, come “il baciare le
mani”; usare il “don” oppure l’”eccellenza” rivolgendosi a persone
non destinate a particolari riguardi, nella logica perversa di un
cerimoniale esteriore, falso e gravemente umiliante per chi lo
pratica.
Orbene
tutto ciò apparentemente non riguarda noi che ci proclamiamo
assertori della operosità; della visione democratica della
convivenza; del rispetto per l’uomo e per la natura; della libertà e
laicità delle idee .
Eppure,
scrutando prima nel nostro animo e poi in quello di coloro che con
noi percorrono la medesima strada, potrebbe accadere di riscontrare
l’esistenza di fattori negativi di ordine comportamentale che, a
seconda dei casi; provengono da arroganza o da servilismo, da
esteriorità o da ruffianeria; tutti atteggiamenti da configurare
come caratteristici del più deteriore spagnolismo.
Io
ritengo che fra le ragioni più vere per le quali si deve stare
insieme agli altri, attualizzando il concetto di amicizia solidale,
ci sia quello di verificare e migliorare continuamente la qualità
dei nostri comportamenti etico-sociali, cercando di sorreggerci
scambievolmente .
Se con
ciò non riusciremo a raggiungere all’interno dei nostri gruppi la
perfezione sociale, poco importa, ma nostro dovere resta
avvicinarci il più possibile e con ogni sforzo a quella che deve
essere la più adeguata composizione, fra valori etici, comportamenti
sociali e rispetto delle regole che il territorio, in cui operiamo,
ci pone.
Cominciamo nel nostro ambito a bandire atteggiamenti ipercritici
sull’attività degli altri, specie se le osservazioni provengono
da persone che non partecipano alla vita d’azione; che siedono
accanto a noi, con distratta rassegnazione o snobistica sufficienza,
in attesa che trascorra la giornata.
Parimenti
occorre contrastare l’eccessivo servilismo che alcuni
manifestano nei confronti di personalità, verso le quali intendono
mostrare la loro sottomissione. E’ un fatto disdicevole che
lede profondamente la dignità dei singoli e della intera comunità
d’appartenenza!
Analogamente occorre contrastare l’atteggiamento falsamente
paternalistico e sempre più spesso arrogante di altri, la
cui consueta deformazione managerial-accademico-baronale non
viene interrotta nemmeno dal suono della campana che da inizio ad
una cerimonia funebre.
Stesso
discorso vale per coloro che praticano l’ipocrisia del gesto e
della parola e che inondano le occasioni di incontro con sorrisi
e false promesse di partecipazione attiva alle nostre iniziative di
solidarietà e poi non spengono il proprio cellulare nemmeno se c’è
lo scoppio di una polveriera.
I
principi illuministici di uguaglianza debbono essere difesi ad ogni
costo ed in ogni luogo. Se ciò vi convince, allora prevaricazioni di
tipo baronale: pressioni suadenti; esibizioni autore-ferenziali a
contenuto zero; false promesse; adulazioni spropositate, tutte
catalogabili come forme di spagnolismo deteriore, non debbono
essere più tollerate. Solo così potremo avviare le nostre comunità
verso un respiro europeo, eticamente corretto.
Riflettiamo, dunque, e proponiamoci, con l’esempio, di sradicare
prima in noi stessi, poi fra i nostri compagni più vicini la mala
pianta dello spagnolismo che la antica cultura, alla quale
apparteniamo, deve saper rifiutare in maniera convinta, in tutte le
molteplici sfaccettature in cui si presenta.
In
secondo momento, rivolgendo lo sguardo al territorio, potremmo
inserire, in una forma di attività sociale, una garbata e decisa
lotta di principio alla piaga dello spagnolismo, provando a
convertire anche gli altri, meno vicini a noi, verso forme di
sereno ed equilibrato comporta-mento, senza griffe da esibire e
senza telefonini urlati in treno e in ogni dove.
Se
riusciremo a far ciò contribuiremo, in un logica di attiva, corale
partecipazione, alla riduzione degli steccati ideologici e di
costume che separano e non uniscono gli uomini di questo
disarticolato e supponente Paese dove, invece, il medesimo
Sole dovrebbe illuminare le rive del Dio Po; le falde del Vesuvio e
gli ori di Monreale.
Gherardo Mengoni
Articolo
inviato dall'autore al Portale del Sud nel mese di marzo 2010 |