Perché l’uomo
moderno vive l’agonia della modernità tra la rivolta, il deserto e
l’attesa? Un pensiero fugace è l’attrazione per il bello e per la
bellezza. L’estasi non è soltanto una metafora. Diventa, nella
ricerca di dare un senso alla modernità, una rivelazione della
capacità di non perdersi tra le macerie e le rovine che invadono il
cimitero delle nostre coscienze. Ma questo cimitero è fatto di
memorie e le memorie sono il sussulto del tempo nella percezione dei
ricordi, che non hanno più un mosaico definito, ma restano ormai
tasselli in un immaginario indefinibile. Bussano al tempio del
labirinto e la parola che ha sempre illuminato la scrittura, ha
bisogno, ora, di entrare nella scrittura per catturare il destino
stesso della scrittura.
Cosa è la
scrittura? Cosa è la parola? Si continua a porre questa domanda. Ma
abbiamo bisogno di risposte. Gli interrogativi insistono e sono
tanti ma dobbiamo chiuderli nel cerchio della consapevolezza.
Avrebbe senso la scrittura senza le sensazioni, le emozioni,
l’amore, l’allegoria? E la parola senza l’ascolto potrebbe reggere
la struttura delle voci?
Immaginiamo
che il viaggiatore si avvii senza conoscere il viaggio. Dopo Ulisse,
di cosa parliamo? E dopo Enea abbiamo ancora bisogno della profezia?
Cosa ci dicono i miti del ritorno, del fallimento, della sconfitta,
della partenza, dell’attesa che si fa viaggiante mistero o
viaggiante destino? La letteratura ha ancora un senso? Domanda
mortale per uno scrittore che crede nella letteratura come agonia
del tempo e come speranza nella salvezza nella bellezza del volto
che è dentro il fantastico della fantasia.
Per uno
scrittore la letteratura ha sempre un senso. Un senso che lo
condurrà verso orizzonti nuovi o verso un naufragio senza attesa o
verso l’assurdo o verso lo strazio. Come può inventarsi i personaggi
lo scrittore che abita l’esilio della tradizione e si trova nelle
maree di una modernità che ha un solo orientamento: il quotidiano
precipitato nel presente. Lo scrittore che decodifica il presente
come modernità dello scrivere tocca l’abisso non accorgendosi nei
nubifragi. Dopo i sottosuoli c’è la rivolta e dopo la rivolta c’è il
disperante tragico sentire dell’uomo sconfitto.
L’uomo
sconfitto ha due strade da percorrere: quella della di-speranza e
quella del finito. Certo. L’assurdo campeggia. Ma lo scrittore non
può fare a meno di convivere con l’assurdo. L’assurdo che diventa lo
strazio. La parola che comincia a diventare deserto. Nella
rivoluzione dell’incontro tra disperazione e speranza e la
consapevolezza del finito che diventa fine e infinito lo scrittore
deve avere il coraggio, la forza, il meriggio e la mezzanotte, nel
deciso imporsi come meridiano oltre la storia e la geografia, di
ricostruire la sua instabilità nella tentazione del ritorno tra
l’Ulisse e il Cristo.
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Oscar
Wilde |
Ma Ulisse e
Cristo sono il tracciato di un Mediterraneo che si universalizza
lungo i percorsi reali e metaforici di terra e di mare. Terra e mare
sono la vera antropologia di una letteratura che ha richiami che
provengono da una identità che diventa radicamento ed eredità.
L’Occidente ha sempre più bisogno di capire le culture dell’Oriente.
La questione letteraria si pone come elemento di una creatività in
evoluzione attraverso un immaginario fantastico. Il linguaggio come
estetica della finzione - creazione. Il linguaggio è dentro la
letteratura.
Non ci sono
alternative. Tutto il resto è traduzione dello sgomento. La
letteratura non è una Idea e non ha bisogno di idee ma di emozioni,
di passioni, di complicate cadute e di una impertinente rivolta. Il
destino o il mistero. L’avventura o la grazia. Ci sono tramonti che
precipitano e non danno la possibilità della contemplazione. Ci sono
tramonti contemplanti. La letteratura non conosce il peccato ma il
piacere e la disperazione.
Perché è
l’amore che non può accettare il peccato e accetta, comunque, il
piacere e la disperazione. Quando l’amore insiste è la grazia dei
Cantici che recita. Non si vive in un castello per subire il
processo. Kafka è nella tempesta dell’assurdo e dello strazio. Ma i
“cimiteri” insistono. Senza i “cimiteri” Proust avrebbe avuto nome?
L’amore è sempre al di là del bene e del male. Dove sei Nietzsche?
Ecco. Ci mancano le parole del ritorno, direbbe Maria Zambrano, per
raccoglierci nel superamento dell’agonia.
Si può
continuare a fare letteratura? Niente più è come prima. Siamo alla
ricerca dell’estasi, della bellezza, dell’eros mentre penetriamo
l’erosione della modernità. Questo è un punto di scontro tra l’etica
e l’estetica. Ma la creazione, in quanto tale, avverte il miraggio e
il travaglio aulico affascinante, dolorante, agonizzante, mistero
fobico dell’arte. Rimbuad. Spleen. Baudelaire. Siamo completamente
contemporanei. L’arte per viversi nella sua magia deve restare nella
contemporaneità.
Il tragico,
il delittuoso, il sangue di Caravaggio è nella contemporaneità.
Karamazov non può che raccontarsi nella contemporaneità. Il Barocco
non si capirebbe senza la pazzia di Cervantes. Omero senza la nostra
indeterminata inquietudine chiuderebbe il suo teatro al di là di
Ulisse e di Elena. Lo specchio e lo scandalo della perdita della
giovinezza avrebbero un contatto con la pagine senza Wilde.
Cosa è la
letteratura? Ancora con questa domanda? Mann risponderebbe con lo
scandire il tempo attraverso le gocce della pioggia. E Cardarelli
con le sue infinite nostalgie. Le accademie hanno ucciso il Barocco.
Il Risorgimento ha fatto esplodere il Romanticismo. Solo gli
Scapigliati hanno rotto gli abissi e i Futuristi hanno determinato
un Secolo. Per il resto mi affido alla maschera. Non a quella di
Pirandello. Troppo umorismo nell’ironia. Ma a quella di Mishima che
ha avuto il coraggio della confessione.
“Confessioni
di una maschera”. E la Zambrano ci ha insegnato che anche la
confessione, a partire da Agostino, è “un genere letterario”. Oltre
l’esilio. Nell’agonia. O forse in quell’uomo in rivolta, vissuto da
Camus, che ha disegnato la grecità perduta nel “mito di Sisifo”.
Siamo tragici. La letteratura nel tragico ha la sua voce definita.
Destino. Grazia. Mistero. Ulisse o Cristo.
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Albert
Camus |
Siamo in
viaggio restando lungo lo sponde dell’attesa. In questo cerchio, la
letteratura che piange la notte di Wagner. Ma c’è il Mediterraneo
che si veste di arcobaleni e incide i solchi di una letteratura in
cui il mito e il simbolo sono il chiarore e il crepuscolo.
Attraversiamo la notte nei luoghi del Mediterraneo tra la grecità e
i cieli della Giordania. Quanti Mediterranei.
La
letteratura è una voce che cerca di sbarazzarsi dei “demoni” e
assume come centralità la metafisica dell’uomo che conosce l’assurdo
e lo strazio e si cerca nella parola per ritrovarsi nella capacità
dell’attesa di farsi speranza. Forse è poco o forse è soltanto un
gioco, ma lo scrittore vive la terra dell’esilio proprio all’interno
della parola. Oltre ci sono la solitudine e l’isola. Oppure il
silenzio. È lo scrittore della solitudine che riposa nello spazio
dello strazio, dell’assurdo e della speranza perché è la parola la
sola conquista del misterioso che resiste al “crepuscolo degli dei”
perché non bisogna dimenticare, con Maria Zambrano, che “essere
immortali è semplicemente sopravvivere nella memoria degli uomini…”.
Testo
inviato dall'autore al Portale del Sud nel mese di aprile 2010 |