Le pagine della cultura


 

Il Mediterraneo e la letteratura come strazio, assurdo e speranza.

La solitudine dello scrittore

di Pierfranco Bruni

Maria Zambrano

Perché l’uomo moderno vive l’agonia della modernità tra la rivolta, il deserto e l’attesa? Un pensiero fugace è l’attrazione per il bello e per la bellezza. L’estasi non è soltanto una metafora. Diventa, nella ricerca di dare un senso alla modernità, una rivelazione della capacità di non perdersi tra le macerie e le rovine che invadono il cimitero delle nostre coscienze. Ma questo cimitero è fatto di memorie e le memorie sono il sussulto del tempo nella percezione dei ricordi, che non hanno più un mosaico definito, ma restano ormai tasselli in un immaginario indefinibile. Bussano al tempio del labirinto e la parola che ha sempre illuminato la scrittura, ha bisogno, ora, di entrare nella scrittura per catturare il destino stesso della scrittura.

Cosa è la scrittura? Cosa è la parola? Si continua a porre questa domanda. Ma abbiamo bisogno di risposte. Gli interrogativi insistono e sono tanti ma dobbiamo chiuderli nel cerchio della consapevolezza. Avrebbe senso la scrittura senza le sensazioni, le emozioni, l’amore, l’allegoria? E la parola senza l’ascolto potrebbe reggere la struttura delle voci?

Immaginiamo che il viaggiatore si avvii senza conoscere il viaggio. Dopo Ulisse, di cosa parliamo? E dopo Enea abbiamo ancora bisogno della profezia? Cosa ci dicono i miti del ritorno, del fallimento, della sconfitta, della partenza, dell’attesa che si fa viaggiante mistero o viaggiante destino? La letteratura ha ancora un senso? Domanda mortale per uno scrittore che crede nella letteratura come agonia del tempo e come speranza nella salvezza nella bellezza del volto che è dentro il fantastico della fantasia.

Per uno scrittore la letteratura ha sempre un senso. Un senso che lo condurrà verso orizzonti nuovi o verso un naufragio senza attesa o verso l’assurdo o verso lo strazio. Come può inventarsi i personaggi lo scrittore che abita l’esilio della tradizione e si trova nelle maree di una modernità che ha un solo orientamento: il quotidiano precipitato nel presente. Lo scrittore che decodifica il presente come modernità dello scrivere tocca l’abisso non accorgendosi nei nubifragi. Dopo i sottosuoli c’è la rivolta e dopo la rivolta c’è il disperante tragico sentire dell’uomo sconfitto.

L’uomo sconfitto ha due strade da percorrere: quella della di-speranza e quella del finito. Certo. L’assurdo campeggia. Ma lo scrittore non può fare a meno di convivere con l’assurdo. L’assurdo che diventa lo strazio. La parola che comincia a diventare deserto. Nella rivoluzione dell’incontro tra disperazione e speranza e la consapevolezza del finito che diventa fine e infinito lo scrittore deve avere il coraggio, la forza, il meriggio e la mezzanotte, nel deciso imporsi come meridiano oltre la storia e la geografia, di ricostruire la sua instabilità nella tentazione del ritorno tra l’Ulisse e il Cristo.

Oscar Wilde

Ma Ulisse e Cristo sono il tracciato di un Mediterraneo che si universalizza lungo i percorsi reali e metaforici di terra e di mare. Terra e mare sono la vera antropologia di una letteratura che ha richiami che provengono da una identità che diventa radicamento ed eredità. L’Occidente ha sempre più bisogno di capire le culture dell’Oriente. La questione letteraria si pone come elemento di una creatività in evoluzione attraverso un immaginario fantastico. Il linguaggio come estetica della finzione - creazione. Il linguaggio è dentro la letteratura.

Non ci sono alternative. Tutto il resto è traduzione dello sgomento. La letteratura non è una Idea e non ha bisogno di idee ma di emozioni, di passioni, di complicate cadute e di una impertinente rivolta. Il destino o il mistero. L’avventura o la grazia. Ci sono tramonti che precipitano e non danno la possibilità della contemplazione. Ci sono tramonti contemplanti. La letteratura non conosce il peccato ma il piacere e la disperazione.

Perché è l’amore che non può accettare il peccato e accetta, comunque, il piacere e la disperazione. Quando l’amore insiste è la grazia dei Cantici che recita. Non si vive in un castello per subire il processo. Kafka è nella tempesta dell’assurdo e dello strazio. Ma i “cimiteri” insistono. Senza i “cimiteri” Proust avrebbe avuto nome? L’amore è sempre al di là del bene e del male. Dove sei Nietzsche? Ecco. Ci mancano le parole del ritorno, direbbe Maria Zambrano, per raccoglierci nel superamento dell’agonia.

Si può continuare a fare letteratura? Niente più è come prima. Siamo alla ricerca dell’estasi, della bellezza, dell’eros mentre penetriamo l’erosione della modernità. Questo è un punto di scontro tra l’etica e l’estetica. Ma la creazione, in quanto tale, avverte il miraggio e il travaglio aulico affascinante, dolorante, agonizzante, mistero fobico dell’arte. Rimbuad. Spleen. Baudelaire. Siamo completamente contemporanei. L’arte per viversi nella sua magia deve restare nella contemporaneità.

Il tragico, il delittuoso, il sangue di Caravaggio è nella contemporaneità. Karamazov non può che raccontarsi nella contemporaneità. Il Barocco non si capirebbe senza la pazzia di Cervantes. Omero senza la nostra indeterminata inquietudine chiuderebbe il suo teatro al di là di Ulisse e di Elena. Lo specchio e lo scandalo della perdita della giovinezza avrebbero un contatto con la pagine senza Wilde.

Cosa è la letteratura? Ancora con questa domanda? Mann risponderebbe con lo scandire il tempo attraverso le gocce della pioggia. E Cardarelli con le sue infinite nostalgie. Le accademie hanno ucciso il Barocco. Il Risorgimento ha fatto esplodere il Romanticismo. Solo gli Scapigliati hanno rotto gli abissi e i Futuristi hanno determinato un Secolo. Per il resto mi affido alla maschera. Non a quella di Pirandello. Troppo umorismo nell’ironia. Ma a quella di Mishima che ha avuto il coraggio della confessione.

“Confessioni di una maschera”. E la Zambrano ci ha insegnato che anche la confessione, a partire da Agostino, è “un genere letterario”. Oltre l’esilio. Nell’agonia. O forse in quell’uomo in rivolta, vissuto da Camus, che ha disegnato la grecità perduta nel “mito di Sisifo”. Siamo tragici. La letteratura nel tragico ha la sua voce definita. Destino. Grazia. Mistero. Ulisse o Cristo.

Albert Camus

Siamo in viaggio restando lungo lo sponde dell’attesa. In questo cerchio, la letteratura che piange la notte di Wagner. Ma c’è il Mediterraneo che si veste di arcobaleni e incide i solchi di una letteratura in cui il mito e il simbolo sono il chiarore e il crepuscolo. Attraversiamo la notte nei luoghi del Mediterraneo tra la grecità e i cieli della Giordania. Quanti Mediterranei.

La letteratura è una voce che cerca di sbarazzarsi dei “demoni” e assume come centralità la metafisica dell’uomo che conosce l’assurdo e lo strazio e si cerca nella parola per ritrovarsi nella capacità dell’attesa di farsi speranza. Forse è poco o forse è soltanto un gioco, ma lo scrittore vive la terra dell’esilio proprio all’interno della parola. Oltre ci sono la solitudine e l’isola. Oppure il silenzio. È lo scrittore della solitudine che riposa nello spazio dello strazio, dell’assurdo e della speranza perché è la parola la sola conquista del misterioso che resiste al “crepuscolo degli dei” perché non bisogna dimenticare, con Maria Zambrano, che “essere immortali è semplicemente sopravvivere nella memoria degli uomini…”.


Testo inviato dall'autore al Portale del Sud nel mese di aprile 2010

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