La chiesa che
piace agli atei devoti
di Eugenio Scalfari
Il tema odierno delle mie riflessioni
sarà il raduno cattolico di Verona e i discorsi del Papa pronunciati
l'altro ieri in quel raduno e ieri - con analoghi argomenti -
all'Università Lateranense. Si tratta infatti di questioni di capitale
importanza culturale e politica che riguardano cattolici e non
cattolici, credenti e non credenti.
Ma non posso, in rimessa, trascurare
alcuni recenti aspetti dell'attualità politica italiana che riguardano
la tenuta del governo e della sua maggioranza, il rapporto del
presidente del Consiglio con la stampa, il giudizio di due agenzie di
"rating" sulla Finanziaria e la risposta dei mercati. L'opinione
pubblica segue con preoccupata partecipazione queste vicende e noi con
essa, sicché dobbiamo occuparcene sia pure con la necessaria brevità.
L'opposizione - in particolare il
partito di Forza Italia - sta tentando di dare una spallata al governo
cavalcando il malumore con cui è stata accolta la Finanziaria e alcuni
evidenti errori di comunicazione che sono stati compiuti. Pensare che il
governo imploda a causa di quegli errori significa tuttavia confondere
l'apparenza con la sostanza. L'apparenza conta, ma la sostanza prevale,
perciò il governo non imploderà.
La Finanziaria aveva tre obiettivi:
rientrare nei parametri del patto di stabilità europea, perequare le
divergenze più stridenti tra le fasce sociali più deboli e quelle
benestanti, incentivare lo sviluppo e la competitività. Questi obiettivi
sono nettamente presenti nella manovra da 35 miliardi pur nelle
ristrettezze finanziarie che il governo ha ereditato dal suo
predecessore. Il punto negativo riguarda il contenimento strutturale
della spesa e la prevalenza del ricorso alle entrate fiscali e
contributive, postergando ai prossimi mesi le riforme.
È tuttavia falso sostenere che la
dinamica della spesa sia rimasta invariata: è rallentata quella
regionale, è stato stipulato un patto di stabilità efficace con gli enti
locali, è stata significativamente ridotta la dinamica della spesa nella
pubblica amministrazione. Il ricorso alla leva fiscale era d'altra parte
imposto dalle circostanze: la Commissione europea darà il suo definitivo
giudizio sullo stato della nostra economia subito dopo l'approvazione
della Finanziaria.
Pensare che a quella data le
auspicate riforme avrebbero provveduto alla provvista delle risorse
necessarie era un'illusione. Certo, la maggioranza ha marciato in ordine
sparso e questo non ha giovato (non giova) né alla sostanza né
all'apparenza.
Segnalare queste circostanze per ciò
che hanno di positivo e di negativo è compito precipuo della stampa la
quale, a nostro avviso, ha adempiuto ai suoi doveri di informazione e di
analisi. Con le differenze di tono e di accento che rendono diverse le
varie testate giornalistiche.
Per quanto direttamente ci riguarda,
noi siamo da sempre un giornale di ispirazione democratica di sinistra,
favorevole alle riforme, all'innovazione, alla solidarietà sociale,
all'eguaglianza dei punti di partenza. Vediamo e giudichiamo i fatti da
questo nostro punto di osservazione. La nostra ispirazione di sinistra
non ci ha mai fatto velo agli errori che la sinistra politica può
commettere così come, in ambiti diversi ma analoghi, la nostra
appartenenza ideale alla cultura politica occidentale non ci ha mai
fatto velo agli errori commessi dagli Usa e la nostra adesione alla
sicurezza dello Stato di Israele non ci ha mai impedito di criticarne la
cattiva politica nella regione mediorientale.
Quanto al brutto voto di due agenzie
di "rating" esso suona un campanello d'allarme, in parte dichiaratamente
determinato dai lasciti fallimentari del precedente governo. I mercati
comunque non hanno seguito quel voto, le ripercussioni sugli oneri del
nostro debito pubblico non ci sono state. Ci sarebbero sicuramente - e
sarebbe drammatico se questa eventualità dovesse verificarsi - se il
profilo della Finanziaria venisse stravolto nel passaggio parlamentare e
se, nei mesi seguenti, il programma di riforme non fosse rispettato nei
termini indicati nel luglio scorso dal Documento di programmazione
economica.
Fine della (doverosa) premessa.
* * *
L'assise cattolica di Verona e i
discorsi del Papa e di alcuni cardinali, in particolare Tettamanzi in
apertura e Ruini in chiusura.
Gran parte dei commenti hanno messo
in grande risalto il diverso atteggiamento di Tettamanzi da un lato e
del Papa e Ruini dall'altro, nel giudizio sugli "atei devoti". Un
ossimoro che ha fatto fortuna in Italia più che altrove, visto che noi
siamo maestri nel campo degli ossimori, cioè nelle contraddizioni
lessicali ridotte a significati convergenti e addirittura univoci.
Dall'ossimoro all'univoco. Benedetto XVI ha detto che è importante
accogliere quegli uomini di cultura che accettano di comportarsi secondo
i dettami del Vangelo anche se non credono nel Dio cristiano. Parrebbe
che Tettamanzi abbia detto il contrario. Ma a me non sembra, leggendo i
testi.
L'arcivescovo di Milano ha detto
un'altra cosa, molto diversa. Ha detto di preferire i cristiani silenti
ai cristiani che si proclamano tali ma non si comportano cristianamente.
Gli atei devoti non si proclamano affatto cristiani. Si proclamano
invece laici non credenti, ma sostengono le ragioni "politiche" ed anche
i messaggi evangelici della Chiesa per volgerli ad obiettivi politici
che sono loro propri. Quando quei messaggi collimano.
Non le accettano quando i cattolici
si dichiarano contro la guerra americana. Non le accettano
sull'immigrazione. Non accettano le critiche al capitalismo. Li fanno
invece propri quando si parla di educazione cattolica, scuole cattoliche
da finanziare, discriminazione nei confronti delle coppie di fatto,
ostacoli alla fecondazione artificiale, revisione della legge
sull'aborto. Dove si vede che gli atei devoti non sono i cristiani
deboli ai quali si indirizzava Tettamanzi, ma conservatori forti che tra
i messaggi della Chiesa scelgono quelli che meglio convengano alla
politica conservatrice e possano rappresentare altrettanti cunei per
disgregare la malcerta coalizione di centrosinistra.
Ed ecco la ragione per cui una parte
rilevante dei giornali di ispirazione centrista valorizza la "buona
accoglienza" di Ratzinger-Ruini al contributo degli atei devoti, così
come valorizza Montezemolo, Draghi, Monti, quando criticano il governo e
ne tacciono o sorvolano quando (di rado) lo lodano.
* * *
Dunque il centro della questione non
è la differenza con Tettamanzi. Mi permetto di autocitare il mio
commento all'indomani della lectio magistralis di Benedetto XVI a
Ratisbona: il centro della questione sta nel rapporto, che data dagli
albori della patristica e si sistematizza nella scolastica di Tommaso,
tra fede e ragione nel quadro di un'architettura che il Papa ha
delineato ancora una volta a Verona e all'Università lateranense e che
vede la teologia come massimo architrave della filosofia, della scienza
e della libertà.
La teologia è un sostantivo che non
ha bisogno di attributi, gli altri sostantivi di questa architettura si
qualificano invece con gli attributi. La ragione dev'essere ragionevole,
la filosofia deve cercare la verità buona, la scienza deve spiegare
l'universo nel quadro di quel disegno intelligente che promana dalla
sapienza e dall'amore del Creatore. Quanto alla libertà, è stata
concessa all'uomo affinché i figli di Adamo "liberamente" scelgano di
realizzare il disegno di Dio.
Questo è il nocciolo del problema. Ma
qui, inevitabilmente, la visione della Chiesa si scontra con quella
laica la quale non riconosce attributi alla ragione né alla scienza né
alla libertà. Non accetta - la visione laica - uno statuto ancillare
alla filosofia, alla ricerca scientifica, alla libertà.
La visione laica ha grande rispetto
per le persone di fede; ne ha molto meno per la fede ipocrita,
proclamata ma tradita nella vita pratica; ma postula l'autonomia e
riconosce i limiti della ragione. Una ragione autonoma e non ancillare
non si pone il problema di puntellare una fede ma proclama anzi la
propria incompetenza in materia.
La ragione non insegue un senso
ultimo né una verità ultima e assoluta. Il suo senso è la vita, la
nostra vita. Molti dei valori cristiani ed evangelici coincidono con la
morale laica: il rispetto della vita, l'amore del prossimo, la difesa
dei deboli dalle prevaricazioni dei prepotenti, l'anelito verso la pace
e la fratellanza, la libertà dell'individuo che non nuoccia alla libertà
altrui.
La visione laica ammira
l'insegnamento di Gesù di Nazareth come ammira quello socratico e quello
del Budda.
Perciò ben venga l'attivismo
cristiano incoraggiato da Benedetto XVI purché non interferisca con la
politica la filosofia la scienza e la libertà senza aggettivi.
* * *
Concluderò con un problema lessicale
che è sostanza è non apparenza. La parola "laico" ha un campo semantico
molto vasto. Distingue anzitutto i non chierici dai chierici. Quando il
Papa e i vescovi si rivolgono al laicato cattolico stanno parlando alla
loro Chiesa, formata soprattutto da laici. I delegati diocesani di
Verona erano appunto cattolici non-chierici, non presbiteri. Osservo
dall'esterno che i cattolici laici hanno ancora scarso peso all'interno
della Chiesa, infinitamente minore dei cattolici laici nella Chiesa
delle origini. Ma questi sono fatti loro e non miei.
Ci sono poi i laici cattolici. Volete
un esempio alto di laici cattolici? Carlo Azeglio Ciampi. Luigi Einaudi.
Ma ci metterei anche Pietro Scoppola e un'infinità di altri, tra i quali
a giusto titolo anche Romano Prodi. Infine i laici senza aggettivi, che
seguono ragione e libertà, fratellanza e giustizia, senza l'appiglio
della fede.
In questa sommaria classificazione
c'è anche posto per gli atei devoti. Ci sono stati molti Papi in questa
categoria. Il più significativo folcloristicamente parlando fu il Borgia,
ma prima e dopo di lui ce ne furono una quantità. Direi che la storia
del papato è una galassia di Papi atei ai quali il disegno intelligente
dette il compito di tener ferma l'"auctoritas" della gerarchia e
trasmetterla ai pochi Vicari che hanno dedicato la vita a diffondere il
Vangelo.
Post Scriptum. Ieri nella piazza
principale di Vicenza si sono radunate seimila persone per acclamare
Berlusconi e Bossi e "spallare" la Finanziaria e il governo. L'ex
premier ha ripetuto i consueti slogan contro i comunisti, contro i
brogli elettorali che gli hanno tolto la meritata vittoria, contro la
Finanziaria che affama il popolo e le imprese. Bossi ha ricordato il
credo leghista per la "devolution" e per la sovranità delle Regioni e
della Padania.
Ma le note dominanti sono state due:
i fischi di gran parte della piazza quando la banda ha suonato l'Inno di
Mameli; l'attacco di Berlusconi alla sinistra che ha occupato tutte le
alte cariche dello Stato a cominciare dal Quirinale.
Questi sono i segnali che provengono
dalla piazza vicentina e dai suoi promotori. E queste sono anche le
ragioni per cui il governo dovrà governare per tutta la legislatura:
perché non ha alternative. Quella berlusconiana mai come oggi
rappresenta il rischio altissimo del salto nel buio del quale del resto
abbiamo già fatto triste esperienza nei cinque anni che ci stanno alle
spalle.
La Repubblica, 22 ottobre 2006