Lettera all'Italia
infelice
di Roberto Saviano
Alcuni
stralci del testo dello scrittore. L'intera lettera di
Saviano è pubblicata su "L'Espresso" in edicola da
venerdì 16 ottobre.
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Foto di Mario Spada sul set di “Gomorra” |
Se la libertà è divenuto tema di
dibattito continuo, quasi ossessivo in Italia vuole dire
che qualcosa non funziona. Verità e potere non
coincidono mai e quello che sta accadendo in questi
giorni lo dimostra. Ci sono lezioni che non si imparano,
disastri naturali che si ripetono come se la storia non
ci avesse insegnato nulla e sacrifici di persone che
hanno lottato per rendere questo Paese migliore che
vengono dimenticati se non ignorati o peggio insultati.
Qualcosa non funziona perché non si vuole capire quello
che è accaduto e che quello che avviene tutti i giorni:
non si racconta il presente, non si analizza il passato,
tutto diventa polemica, dibattito sterile; tutto si
avvita in un turbine di gelosie e di guerre tra bande.
La folla di piazza del Popolo mi ha stupito, stordito,
emozionato. Non sapevo cosa dire: quella che avevo
davanti era una testimonianza incredibile, non ero più
abituato a vedere tanti volti e tanto sole. Da quando
tre anni fa sono stato messo sotto protezione e
costretto a vivere con la scorta non avevo mai potuto
sentire un vento di speranza così forte.
Alla gente in Italia non interessa la
libertà di stampa, non si preoccupa per il fatto che sia
stata offuscata e minacciata da quello che sta
accadendo: la libertà di stampa non è importante perché
non la si considera necessaria e utile al proprio
quotidiano. Non capiscono quello che stanno rischiando,
quanto possono perdere. Se ne accorgeranno solo quando
riusciranno a vedere con occhi diversi e comprenderanno
che oggi sulla maggioranza dei media la vita non viene
raccontata ma rappresentata. Ricostruita secondo luci e
dinamiche che la rendono finta. Verosimile ma lontana
dal reale: come quelle foto ritoccate al computer per
cancellare le imperfezioni, far sparire le rughe, il
peso del tempo e gli acciacchi del divenire fino a
rendere un'immagine diversa delle persone che così
rinunciano persino a specchiarsi. Ci viene raccontata
un'Italia allegra, il Paese del bel mangiare e delle
belle donne. Ci viene imposto il modello di un Paese
spensierato, in fila per partecipare alla fortuna
milionaria delle lotterie e per vincere un posto in un
reality show. Ma l'Italia oggi è profondamente infelice
e triste. Vive nella cattiveria di una guerra per bande
generalizzata, di un sistema animato dalle invidie. E la
nostra percezione è così lontana dalla realtà da
impedirci anche di renderci conto dell'infelicità.
Ho sempre dentro il racconto di un
immigrato africano che incontrai a Castel Volturno prima
delle riprese del film "Gomorra": "La cosa che odio
degli italiani è la loro gelosia, quell'invidia cattiva
che hanno nei confronti di chiunque riesca ad ottenere
qualcosa. Quando in Francia lavori molto, riesci a
guadagnare e puoi comprarti una bella macchina, ti
guardano riconoscendo il risultato. Dicono: "Quanto ha
faticato per farcela". Invece quando in Italia ti vedono
al volante della stessa auto senti subito che ti stanno
dicendo "Stronzo bastardo". Non si pongono nemmeno la
domanda su quanti sacrifici hai fatto, scatta subito una
gelosia che si trasforma in odio. Questo accade solo nei
paesi dove i diritti divengono privilegi, e quindi dove
il nemico non è il meccanismo sociale che ha permesso
questo, ma bensì chi riesce ad avere quel diritto. Una
guerra tra vicini ignorando i responsabili del disastro.
Questo si combatte solo raccontando quello che non va,
perché solo raccontando la realtà di quest'Italia arida
si potrà sconfiggere l'infelicità: la libertà di stampa
è utile per essere felici.
L'assenza di serenità ci porta a
rinunciare alla libertà di stampa. Sapere che la replica
al proprio "lavoro non sarà una critica, ma un'offesa o
un attentato alla sfera privata spinge ad
autocensurarsi, convince a non attaccare qualunque
autorità, rende schiavi di ogni potere. Dopo
l'editoriale di Augusto Minzolini sul Tg1 mi sono
chiesto se si rendesse conto di quello che stava
facendo. Avrei voluto dirgli che manifestare per la
libertà di stampa significava manifestare anche per lui,
anche per il suo futuro: un futuro in cui se si potrà
ancora parlare del potere, se lo si potrà criticare è
perché qualcuno ha lottato per renderlo possibile. Si è
scesi in piazza anche per lui, perché lui domani possa
continuare a dire quello che dice oggi anche se dovesse
cambiare il potere che difende le sue parole.
Fare il politico oggi nell'immaginario è
fare il lavoro più semplice e comodo. Mi vengono alla
mente le famiglie meridionali in cui il figlio più
intelligente fa l'imprenditore e quello incapace il
politico. Invece la politica dovrebbe essere una
responsabilità pesante e difficile, un mestiere duro.
Capisco il fastidio che può avere un politico a essere
esaminato nella sua vita privata, ma questo è l'onere
della sua missione, fa parte della democrazia. Oggi
bisogna ricalibrare l'immaginario del politico,
ritornare a una figura che fa una vita dura e poco
divertente. La politica come servizio al Paese e ai
cittadini, non come privilegio. La politica è vivere
nella difficoltà. Penso al rigore morale di Enrico
Berlinguer, Giorgio Almirante e Giorgio La Pira, restano
figure di servizio alle istituzioni, nonostante i loro
ideali e la loro fede religiosa.
Sono cresciuto al fianco di uomini di
destra che non avrebbero mai sopportato questo clima di
intimidazione e crudeltà, così come ormai la divisione e
la rivalità sono così diffuse che impediscono alla
sinistra ogni forma di aggregazione vera. Ogni
possibilità di parlare al cuore delle persone. Oggi
invece chi racconta cose scomode, chi descrive la realtà
infelice dell'Italia viene accusato dalle massime
autorità politiche di gettare discredito sul Paese agli
occhi del mondo... Raccontare la realtà non significa
infangare il proprio Paese: significa amarlo, significa
credere nella libertà. Raccontare è l'unico dannato modo
per iniziare a cambiare le cose". [Published by
arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency.]