L'autore di "Gomorra" e le elezioni: nessuno vincerà se si ignora la
criminalità organizzata
"Le mafie dominano un terzo del Paese e condizionano interi settori
dell'economia legale"
Se un voto si compra con cinquanta euro
di
Roberto Saviano
Nessuno
vincerà le elezioni in Italia. Nessuno. Perché finora tutti sembrano
ignorare una
questione fondamentale che si chiama "organizzazioni criminali"
e ancor più "economia criminale". Non molto tempo fa il rapporto di Confesercenti valutò il fatturato delle mafie intorno a 90 miliardi di euro,
pari al 7 per cento del Pil, l'equivalente di cinque manovre finanziarie. Il
titolo "La mafia s.p.a. è la più grande impresa italiana" fece il giro di
tutti i giornali del mondo, eppure in campagna elettorale nessuno ne ha
parlato ancora.
E
nessuna parte politica sino a oggi è riuscita a prescindere dalla relazione
con il potere economico dei clan. Mettersi contro di loro significa non solo
perdere consenso e voti, ma anche avere difficoltà a realizzare opere
pubbliche.
Non le
vincerà nessuno, queste elezioni. Perché se non si affronta subito la
questione delle mafie le vinceranno sempre loro. Indipendentemente da quale
schieramento governerà il paese. Sono già pronte, hanno già individuato con
quali politici accordarsi, in entrambi i schieramenti. Non c'è elezione in
Italia che non si vinca attraverso il voto di scambio, un'arma formidabile
al sud dove la disoccupazione è alta e dopo decenni ricompare persino
l'emigrazione verso l'estero. E' cosa risaputa ma che nessuno osa
affrontare.
Quando
ero ragazzino il voto di scambio era più redditizio. Un voto: un posto di
lavoro. Alle poste, ai ministeri, ma anche a scuola, negli ospedali, negli
uffici comunali. Mentre crescevo il voto è stato venduto per molto meno.
Bollette del telefono e della luce pagate per i due mesi precedenti alle
elezioni e per il mese successivo. Nelle penultime la novità era il
cellulare. Ti regalavano un telefonino modificato per fotografare la scheda
in cabina senza far sentire il click. Solo i più fortunati ottenevano un
lavoro a tempo determinato.
Alle
ultime elezioni il valore del voto era sceso a 50 euro. Quasi come al tempo
di Achille Lauro, l'imprenditore sindaco di Napoli che negli anni cinquanta
regalava pacchi di pasta e la scarpa sinistra di un paio nuovo di zecca,
mentre la destra veniva recapitata dopo la vittoria. Oggi si ottengono voti
per poco, per pochissimo. La disperazione del meridione che arriva a
svendere il proprio voto per 50 euro sembra inversamente proporzionale alla
potenza della più grande impresa italiana che lo domina.
Mai come
in questi anni la politica in Italia viene unanimemente disprezzata. Dagli
italiani è percepita come prosecuzione di affari privati nella sfera
pubblica. Ha perso la sua vocazione primaria: creare progetti, stabilire
obiettivi, mettere mano con determinazione alla risoluzione dei problemi.
Nessuno pretende che possa rigenerarsi nell'arco di una campagna elettorale.
Ma nel
vuoto di potere in cui si è fatta serva di maneggi e interessate miopie
prevalgono poteri incompatibili con una democrazia avanzata. E' una
democrazia avanzata quella in cui 172 amministrazioni comunali negli ultimi
anni sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa? O dove dal '92 a oggi, le
organizzazioni hanno ucciso più di 3.100 persone? Più che a Beirut? Se vuole
essere davvero nuovo, il Partito Democratico di Walter Veltroni non abbia
paura di cambiare. Non scenda a compromessi per paura di perdere.
Il
governo Prodi è caduto in terra di camorra. Ha forse sottovalutato non tanto
Clemente Mastella, il leader del piccolo partito Udeur, ma i rischi che
comportava l'inserimento nelle liste di una parte dei suoi uomini.
Personaggi sconosciuti all'opinione pubblica, ma che negli atti di alcuni
magistrati vengono descritti come cerniera tra pubblica amministrazione e
criminalità organizzata. Nel frattempo il governo ha permesso al governatore
della Campania Bassolino di galleggiare nonostante il suo fallimento nella
gestione dell'emergenza rifiuti. E non ha capito che quella situazione
rappresenta solo l'esempio più clamoroso di quel che può accadere quando il
cedimento anche solo passivo della politica ad interessi criminali porta
allo scacco.
Tutto
questo mentre il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi assisteva muto o
giustificatorio ai festeggiamenti del governatore della Sicilia Cuffaro per
una condanna che confermava i suoi favori a vantaggio di un boss,
limitandosi a scagionarlo dall'accusa di essere lui stesso un mafioso vero e
proprio.
La
questione della trasparenza tocca tutti i partiti e il paese intero. Inoltre
molta militanza antimafiosa si forma nei gruppi di giovani cattolici i cui
voti non sempre vanno al centrosinistra. Anche questi elettori dovrebbero
pretendere che non siano candidate soubrette o personaggi capaci solo di
difendere il proprio interesse. Pretendano gli elettori di centrodestra che
non ci siano solo soubrette e a sud esponenti di consorterie
imprenditoriali. E mi vengono in mente le parole che Giovanni Paolo II il 9
maggio del 1993 rivolse dalla collina di Agrigento alla Sicilia e all'Italia
ferita dalle stragi di mafia: "Questo popolo... talmente attaccato alla
vita, che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la
pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte... Mi rivolgo ai
responsabili... Un giorno verrà il giudizio di Dio". Parole che avrebbero
dovuto crescere nelle coscienze.
È tempo
di rendersi conto che la richiesta di candidati non compromessi va ben oltre
la questione morale. Strappare la politica al suo connubio con la
criminalità organizzata non è una scelta etica, ma una necessità di vitale
autodifesa.
Io non
entrerò in politica. Il mio mestiere è quello di scrittore. E fin quando
riuscirò a scrivere, continuerò a considerare questo lo strumento di impegno
più forte che possiedo. Racconto il potere, ma non riuscirei a gestirlo. Non
si tratta di rinunciare ad assumersi la propria responsabilità, ma
considerarla parte del proprio lavoro. Tentare di impedire che il chiasso
delle polemiche distolga l'attenzione verso problemi che meno fanno rumore,
più fanno danno. O che le disquisizioni morali coprano le scelte concrete a
cui sono chiamati tutti i partiti. È questo il compito che a mio avviso
resta nelle mani di un intellettuale. Credo sia giunto il momento di non
permettere più che un voto sia comprabile con pochi spiccioli. Che futuri
ministri, assessori, sindaci, consiglieri comunali possano ottenere consenso
promettendo qualche misero favore. Forse è arrivato il momento di non
accontentarci.
Nel 1793
la Costituzione francese aveva previsto il diritto all'insurrezione: forse è
il momento di far valere in Italia il diritto alla non sopportazione. A non
svendere il proprio voto. A dare ancora un senso alla scelta democratica,
scegliendo di non barattare il proprio destino con un cellulare o la luce
pagata per qualche mese.
Tratto da: “La Repubblica, 15 marzo 2008, © 2008 by Roberto Saviano,
published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency”, diffuso
da ici-letteratura_e_societa@istitalianodicultura.org |