Venerdì Santo
Si ricordano le ormai note processioni chiamate "croci",
in quanto si portano delle croci di legno che vogliono
indicare il rinnovamento spirituale. Questo rito affonda
le radici in epoca appena posteriore alla morte di
Cristo quando gli apostoli solevano percorrere con
frequenza la via dolorosa, seguiti dalla folla di
Gerusalemme. La via Crucis fino al XIV sec. non veniva
effettuata fuori dalla città di Gerusalemme furono i
francescani che dopo il 1342 introdussero nei loro
conventi riproduzioni della via Crucis. Questa pratica
da allora non ha più conosciuto limiti. Si tratta in
effetti di processioni costituite da fedeli che
attraversano il paese incappucciati e che sono chiamati
"paputi". Il rito di questo giorno è fondato tutto sul
simbolismo della croce, attraverso cui avverrà la
purificazione e l'ascesa del paputo che rappresenta
l'uomo comune, l'uomo quotidiano che proprio attraverso
questo cammino di purificazione raggiunge la salvezza.
La croce pertanto è il simbolo del Cristo morente e del
Cristo risorto e per analogia del credente-paputo che
muore e risorge a nuova vita. La liturgia del venerdì
santo celebra la Passione del Signore: il mistero di
questo giorno è dominato dalla croce che apre
soprattutto al silenzio, alla contemplazione, alla
supplica. I momenti che caratterizzano questa
contemplazione sono la liturgia della parola incentrata
nel racconto della Passione, in particolare, e
l'adorazione della S. Croce. Questo è l’unico giorno in
cui la Chiesa non celebra l'Eucarestia.
Il Venerdì Santo a Sarno
Prof. Franco Salerno1
La giornata è caratterizzata dalle «Croci», che sono
delle processioni di gruppi di fedeli incappucciati
chiamati comunemente («paputi»), seguiti da un gruppo di
“cantori” , i quali, intonando canti in tappe stabilite,
(davanti ad immagini sacre) cosiddetti “sepolcri”,
percorrendo gran parte delle vie della città,
(L'etimologia del termine «paputo» si ricollega al
latino «pappus» che vuol dire sia «vecchio» che
«senecione» (la quale è un'erba delle «Composite»,
riducibile semanticamente e fonicamente a «senex» =
«vecchio»; l'elemento vegetale ritorna spesso in questo
rito del Venerdì Santo). Simbolicamente dunque il «paputo»
è l'uomo «vecchio» - si ricordi che il rito
dell'incappucciarsi va visto come correlativo alla Morte
- : il «paputo», attraverso il rito della Pasqua
Passaggio «passa» ad una nuova «giovinezza», ad una vita
rinnovata dall'esperienza del Sacro. Nelle «Croci» di
Sarno è pertanto possibile leggere un richiamo
all'«iniziazione». In tal caso anche il cappuccio stesso
dal latino «caput» = «testa») è determinante: infatti
sappiamo come storicamente proprio la testa e i capelli
nel rito dell'iniziazione erano oggetto di un
trattamento particolare. I capelli venivano bruciati e
nascosti sotto un copricapo speciale, spesso di forma
conica: era questa una delle «prove, a cui il fedele e
l'iniziando si sottoponevano per conseguire un
«rinnovamento spirituale».
Le cappe che i confratelli indossano sono bianche (vedi
foto). Si differenziano tra loro dal cordone che
sostiene la “veste” dei paputi, Questo colore rinvia
alla condizione di «coloro che, pur vedendo, non sono
visti» a causa del loro carattere diafano e trasparente,
e dunque ai Trapassati. In tal senso richiamano
l'esperienza della «morte al peccato». Altri colori
prevalenti sono il celeste (nel cingolo della Croce
dell'Immacolata Concezione) che, il colore del cielo,
indica la profondità dell'infinito in cui l'uomo si
smarrisce e si ritrova al tempo stesso, ed il viola,
che, presente nella Croce dei Morti, è il colore della
temperanza e dunque dell'equilibrio fra il Cielo e la
Terra. Solo i paputi della Confraternita di S. Matteo
hanno la caratteristica peculiare del cappuccio rosso e
veste rossa, che rimanda alla sofferenza del sangue.
Proprio S. Matteo è il punto più significativo
dell'itinerario delle Croci. I paputi ascendono la
collina su cui si erge l'artistica Collegiata del Santo,
percorrendo un cammino a spirale: ad ogni curva del
borgo detto «Terravecchia», si trovano dinanzi a una
croce lignea lì sistemata in una sorta di edicole
votive: mimano in tal modo l'ascesa di Cristo al Monte
Golgota, inoltre vi è la croce di San Francesco che
indossa il saio monacale simbolo di “Francesco” ed è
l’unica croce cui sono visibili I volti dei Paputi. Le
processione dei paputi iniziano dal mattino presto
(generalmente verso le 5 ) e si protraggono fino alle
12, ora del rientro delle croci alle rispettive
parrocchie.
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I canti delle Croci Cantori |
Da un'analisi dei canti che accompagnano le «Croci» e
che vengono tramandati dai gruppi appartenenti alle
varie Confraternite (canti peraltro spesso aulici e
talvolta in testo latino) è possibile evidenziare il
modo in cui il fedele «vede» la Morte di Cristo e
modella il suo destino su quello di Gesù. Innanzitutto è
emblematico il modo in cui nei canti sarnesi viene
presentato il contesto, in cui si svolge il Dramma della
Croce. Un sacro «horror» pervade le cose («Trema
commosso il mondo»): tutto è bloccato ed in esso si
verifica non una presenza passiva degli esseri viventi,
ma (come nei testi di S. Alfonso e dei «Vangeli
Apocrifi») una sospensione del ritmo vitale in attesa di
una liberazione e di una glorificazione. Dinanzi agli
«occhi» del fedele (il «veder la Morte» è il Leit-motiv
dei riti del Venerdì) si snoda un «drama» esemplare:
«L'alta impresa è già compiuta / E Gesù con braccio
forte / negli abissi la ria morte / vincitor precipitò».
La «descensio ad Inferos» di Cristo può essere
considerata un' «alta impresa», paragonata dunque - ad
un livello naturalmente più alto e pregnante - al
processo di iniziazione di un Eroe, che, superate le
«alte» prove, scende fino alla Morte per sconfiggerla e
risalire, con una gloriosa anabasi, fino alla Vita, di
cui fa dono al suo popolo fedele. Ciò è confermato anche
dal paragone di Cristo con l'Albero (Egli è definito
«albero verde») e dalla presenza della Croce arborea e
lignea, che rimarcano il ruolo della ierofania vegetale:
essa infatti viene, nella storia delle religioni, intesa
come «centro del mondo», «ombelico della Terra», punto
di incontro fra le regioni ctonie, terrestri e celesti,
suscitatrice di energie rivitalizzatrici.
Prima del «viaggio», rappresentato dalla processione
delle «Croci», il fedele si sente
(«Troppo infermo e lasso / dammi tu coraggio / acciò
nel viaggio / non m'abbia a smarrir»); ma durante il
«viaggio» stesso sperimenta insieme a Cristo la Morte
(in quanto muore l'uomo vecchio e rinasce l'uomo
nuovo), vivendo l'avventura dell' «iniziazione» che è
naturalmente un momento di rischio («tu mi assisti in
quel fiero periglio»). Il superamento di esso
conferisce al devoto una sicurezza che gli consente di
affrontare i rischi reali e materiali dell'esistenza,
tra cui la morte stessa. In tal senso il dramma delle
«Croci» è la manifestazione del dolore di una comunità
(tipica del Sud), segnata dalla «precarietà
esistenziale» e dal timore del Negativo e al tempo
stesso proiettata verso il proprio Riscatto grazie alla
partecipazione collettiva ad un rito sacro di
rigenerazione e di protezione.
Note
1) paragrafo tratto da “La Settimana Santa – Sarno – Venerdì
Santo”, scritto dal Prof. Franco Salerno e pubblicato
nel 1990 all’interno del libro “Ancestrali radici” edito
dal Lions Club Nocera e Agro e curato dal Prof. Franco
Salerno
Si ringrazia
l'Associazione onlus "Aurora" e il suo presidente
Pasquale Agovino di aver messo a disposizione del
Portale del Sud testo ed immagini. |