Comune: Sarno
(Sa)
Sito archeologico:
Teatro ellenistico
Ubicazione:
Località Foce
Ente di
riferimento: Soprintendenza Archeologica di Salerno
Modalità di visita:
Visitabile la mattina dei giorni feriali o rivolgendosi
Ass.ne ONLUSS AURORA (Cell 3486100302 Pres.
Pasquale AGOVINO)
Cenni storici
Al margine
dell’omonima piana agricola, tra il Vesuvio ed i monti
Lattari, si estende la cittadina di Sarno sui luoghi di
alcuni insediamenti preistorici risalenti al IV
millennio a.C.
Presso il convento
della Foce, recenti scavi hanno inoltre messo in luce i
resti di un santuario di età preromana e di un teatro
ellenistico (II secolo a. C.) a testimonianza della
intensa frequentazione umana lungo le sponde del fiume
Sarno, che ha dato il nome alla città e all’intera
vallata, della quale vengono però a mancare notizie
storiche dal I secolo d. C.. Per ritrovarne tracce nei
documenti, bisogna attendere il 553, anno dello scontro
tra Goti e Bizantini, le cui vicende e la successiva
invasione longobarda costrinsero la popolazione della
valle a rifugiarsi sulle pendici del colle dove si
costituì l’insediamento di Terra Vecchia.
La costruzione del
castello ad opera di Arechi II, nella seconda metà dell’VIII
secolo, sul monte Saro fa di Sarno, posto a controllo
della via consolare che da Capua conduceva in Calabria,
uno dei capisaldi del principato di Salerno verso
l’entroterra. Fu prima gastaldato e poi contea;
all’inizio dell’XI secolo fu conte di Sarno Alfredo, al
quale successe Riccardo II.
Durante il periodo
svevo, assegnata prima a Diepoldo, conte di Acerra e di
Sarno, la contea fu, successivamente, per circa mezzo
secolo, proprietà della famiglia d’Aquino. Sotto la
dominazione angioina, che lasciò inalterata la
precedente organizzazione politico-amministra-tiva,
Sarno fu concessa a Galeramo de Juriaco nel 1270. Dal
1308 si successero al dominio del paese Filippo II,
principe di Taranto, suo figlio Roberto nel 1311,
Villanuzzo di Brunfort nel 1382, Ungaro Santangelo nel
1390, cui seguì nel 1427 Raimondo Orsini. Nel periodo
aragonese il castello raggiunse il suo massimo splendore
ed appartenne alle più potenti famiglie del regno.
Concessa da Alfonso d’Aragona a Nicola d’Alagno nel
1443, la contea tornò, nel 1450, agli Orsini, che ne
ebbero il possesso fino alla fine del XV secolo,
allorché fu donata da re Ferrante a Francesco Coppola.
Dopo che quest’ultimo fu privato dei suoi beni per aver
partecipato alla Congiura dei Baroni, il feudo,
temporaneamente appartenuto a Pietro Ligorio, nel 1495
passò alla famiglia Tuttavilla, che tenne la contea per
circa due secoli.
In seguito, il
dominio della valle sarnese passò ai Colonna nel 1624,
ai Barberino di Palestrina nel 1662 e infine, dal 1695,
il paese passò ai Medici di Ottaviano, che lo tennero
fino alla eversione della feudalità nel 1806, rimanendo
però proprietari del castello fino al 1909.
Illustrazione del sito
Nel territorio di
Sarno (Sa) in località Foce, laddove il fiume Sarno ha
origine e dove è presente l’importante luogo di culto
dedicato a Santa Maria della Foce, a seguito di un
traumatico sbancamento edificatorio, nel 1965 vennero
alla luce i resti di un piccolo teatro, sovrapposto in
maniera coordinata con un centro di culto del IV-III
secolo a.C.
Del santuario non è
stata ancora trovata traccia anche se la sua presenza è
attestata da una stipe votiva dalla quale si evince che
il culto era destinato ad una divinità della fertilità,
connesso presumibilmente con le sorgenti del Sarno.
La tipologia del
teatro ricorda quelle di Pietrabbondante e del teatro
piccolo di Pompei ed è il risultato di diversi
adeguamenti funzionali avvenuti su un impianto
preesistente della fine del II sec. a.C. Le operazioni
più radicali di rifacimento si ebbero fra il terremoto
del 62 d.C. e la distruttiva eruzione vesuviana del 79
d.C. Dopo questo catastrofico evento il complesso si
avviò, con molta probabilità, ad un lento ma
irreversibile processo di decadimento ed abbandono.
Dell’elegante cavea
(“proedria”) a tre ordini si conservano alcuni sedili in
blocchi di tufo grigio nocerino: particolari sono i
sedili estremi che conservano parte dei braccioli (“diàzoma”)
di separazione raffiguranti delle sfingi e dei leoni. La
scena è particolarmente complessa con una fronte a
cinque aperture. In essa sono visibili diversi segni dei
rifacimenti che hanno caratterizzato l’edificio quali
l’avanzamento del proscenio verso l’orchestra e le
tompagnature di alcuni vani di apertura per
riequilibrare il rapporto con la fronte della scena.
Si ringrazia
l'Associazione onlus "Aurora" e il suo presidente
Pasquale Agovino di aver messo a disposizione del
Portale del Sud testo ed immagini. |