"La Greta Garbo dell'Opera", così la chiamavano.
In tempi in cui l'aspetto fisico e la gestualità non
avevano un peso determinante rispetto alla voce, la
soprano siciliana Sara Scuderi legava alla nitidezza e
alla misura del canto una figura da star e una notevole
presenza scenica.
Nata a Catania nel 1906, dopo il debutto a diciannove
anni come Leonora nel Trovatore, accettò un contratto in
Olanda dove riscosse notevole successo. Tornata in
Italia, negli anni Trenta e Quaranta cantò nei più
prestigiosi teatri tra cui il Teatro dell'Opera di Roma
(dove ebbe come partners Tito Gobbi e Mariano Stabile),
La Scala di Milano, il Teatro Massimo di Palermo (nel
1931 come Manon Lescaut, nel 1939 in Trovatore
e La morte di Frine, nel 1946 con Tosca,
Trovatore, Andrea Chénier). Nel 1947, al
Gran Teatre de Liceu a Barcelona, in occasione del
centennale del Teatro, interpretò Anna Bolena
nell'omonima opera di Donizetti: era il primo
allestimento di quest'opera realizzato nel Novecento,
con quello che veniva definito dalla studiosa di musica
operistica Susana Salgado “a stellar cast”. All'inizio
degli Anni Cinquanta, ritiratasi dalle scene per
accudire alla madre con cui aveva uno stretto rapporto
di amore e gratitudine, si dedicò all'insegnamento, e
in età avanzata andò ad abitare nella Casa di Riposo
per artisti fondata da Giuseppe Verdi, dove sarebbe
morta nel 1987.
Carriera, dunque, sfolgorante di successi: eppure gli
inizi non furono facili, anzi al suo rientro
dall'Olanda nel 1932 l'avvenire della "diva olandese"
aveva subìto una battuta d'arresto per la difficoltà ad
ottenere scritture nei grandi teatri. In quel periodo
erano gli impresari a segnalare gli artisti, e allora
come oggi a una bella donna che voleva affermarsi veniva
spesso richiesta una contropartita. Sara era brava,
bella e "non disponibile"; addirittura si presentava a
provini e spettacoli accompagnata dalla severissima
madre. Così ad ogni suo "no" seguiva il rifiuto di
proporla per una scrittura da parte
dell'impresario-dongiovanni di turno, fin quando
l'intraprendente catanese, indignata e stufa di vedersi
preferire cantanti magari meno brave ma più inclini a
ricordarsi di "essere sedute sulla propria fortuna", si
risolse a mettere fine al problema in modo drastico. Non
si limitò infatti a protestare con impresari e direttori
dei teatri; scrisse invece a Benito Mussolini,
denunciando di essere esclusa dai teatri ed emarginata a
causa "dell'irreprensibilità dei suoi costumi". Il duce
prese a cuore il caso, incaricandone il suo segretario
particolare Alessandro Chiavolini, che la raccomandò al
noto direttore d'orchestra Gino Marinuzzi, anche lui
siciliano.
Fu questo "colpo di testa" imprevedibile e moderno che
impresse una svolta al destino di Sara Scuderi. Vero è
che Marinuzzi si mostrò piuttosto irritato per la
denuncia della cantante. Nella sua lettera al Chiavolini
(v. "Tema con variazioni, epistolario artistico di un
grande direttore d'orchestra", a cura di Lia Pierotti
Cei) dopo aver sminuito le sue doti vocali, da lui
considerate "sufficienti ma non eccezionali", si lanciò
in una solidale difesa del sesso forte: "Mi pare che
tali idee siano troppo catastrofiche! in teatro non è
proprio necessario essere disoneste per far
carriera....E questo continuo esaltare la propria
onestà non mi pare di buon gusto. In teatro ci sono
galantuomini che se ammirano la bellezza femminile sanno
però rispettarne l'onestà." (cit. da Angela Fodale).
E concludeva con involontaria ironia: "Chi ha mezzi
vocali e artistici arriva,… forse più tardi ma arriva
sempre".
Tuttavia nonostante questo sfogo il Maestro non si tirò
indietro di fronte alla segnalazione, e per Sara
Scuderi il vento cambiava. Arrivavano i riconoscimenti e
i teatri importanti, il contratto di sette anni con La
Scala che la consacrava “regina” delle scene e che
l'avrebbe portata in tournée anche in Argentina e
Brasile, la popolarità radiofonica (Tosca e Il
Cavaliere della Rosa di R. Strauss per l'Eiar, nel
1939).
Arrivava il successo così come lo aveva sognato: senza
compromessi.
Il suo status di diva è sancito nel libro “The Last
Prima Donnas” di Lanfranco Rasponi (1982), dove
sotto forma di racconto o di intervista sono
tratteggiate le biografie delle ultime "primedonne" del
melodramma. Sara Scuderi vi figura insieme a Eva Turner,
Lily Pons, Maria Callas, Renata Tebaldi, Kirsten
Flagstad, Elisabeth Grummer, Germaine Lubin, Elena
Nicolai, Ebe Stignani, Margherita Carosio.
L'ultima sua apparizione, un po' da Viale del Tramonto,
è nel docu-film del regista svizzero Daniel Schmid, “Il
Bacio di Tosca” (1983), una compilation di
conversazioni, interviste, ricordi girato nella Casa
Verdi. Sara e i colleghi ricordano i momenti trascorsi
sotto i riflettori, ricostruiscono, in un’atmosfera tra
il gioco e la malinconia, alcune scene delle opere da
loro interpretate.
Poi le viene fatto ascoltare il suo “Vissi d’arte” da
Tosca. Sara cerca di seguirne le note, fa qualche
commento. E alla fine dell’aria, con un sorriso incerto
dice: “Quanto sono scema, adesso mi viene da
piangere,… sono proprio scema!”
Era stata considerata la più grande Tosca della sua
generazione, ed era Tosca l'eroina in cui più si
identificava.
Tosca poteva affermare: "Vissi d'arte, vissi
d'amore". Sara forse era vissuta solo d’arte.
Angela Diana Di Francesca