Le Pagine di Storia

Il casato dei Sanseverino

di Astrid Filangieri

 

Il castello di San Severino assunse, sin dal periodo della dominazione longobarda, grandissima importanza: posto all’estremo limite del principato di Salerno e davanti il borgo di Rota, che nel secolo IX fu uno dei confini di quel Principato, era il più forte baluardo per la difesa di Salerno. Giacendo, inoltre, sull’arteria stessa che congiungeva il ducato di Napoli con Salerno e Salerno col ducato di Benevento, sarebbe inevitabilmente divenuto uno tra i luoghi più importanti tra le difese estreme del principato, ruolo che poi conservò nella sua storia. Tuttavia il suo periodo più glorioso si afferma con la venuta dei Normanni.

Sotto le insegne di Roberto il Guiscardo verso il 1045 vennero in queste contrade due valorosi cavalieri, Angerio e Turgisio, fratelli. Il valore dimostrato nelle armi guadagno’ loro dal duca di Puglia, al primo il castello di Santo Adjutore di Cava, all’altro il famoso Oppidum Rota, che fu per lungo tempo un centro popoloso e sottoposto alla signoria di Conti della stessa famiglia dei Principi longobardi di Salerno. Turgisio (o Trogisio) usurpò terre e casali al principe longobardo Gisolfo ed a chiese ed abbazie. Fu varie volte scomunicato dai papi,ma pur restituendo le terre invase, restò padrone di alcune di esse,in particolare di Rota della cui contea fu investito da Roberto il Guiscardo nel 1061. Troviamo sicura menzione della signoria di Trogisio su Rota nell’anno 1067: da essa il conquistatore volle prendere il nome chiamandosi Trogisii de Rota; allo stesso modo i figli di Angerio vollero assumere un nome che ricordasse le glorie del padre e si dissero filii Angerii,o più semplicemente Filangerii, da cui il cognome del potente casato dei Filangieri.

Turgisio nel 1077 fu confermato conte di Rota e investito dei nuovi possedimenti nella valle di Sanseverino e non tardò a stabilirvi la sua dimora per cui tutti i suoi successori prendono il nome dal castello e si dicono de S.Severino.

Nel 1081 a Turgisio successe il figlio Ruggero, il quale finiva i suoi giorni rivestito dell’abito monastico nella Badia di Cava. (In alcuni documenti del XII sec. si parla di un Turgisio II signore di molte terre nel Cilento, ma non tutti sono d’accordo nell’individuarlo come figlio del Turgisio de Rota). A Ruggero successe il figlio Enrico e a questi Guglielmo,che fu padre del conte Giacomo,di cui parleremo più diffusamente. La famiglia Sanseverino assurse ben presto a grande potenza e divenne una delle più illustri e potenti famiglie del Regno. Fu investita di feudi: la contea di Marsico,di Polla e di Teggiano e di quasi tutto il Cilento. Imparentata con le più potenti famiglie baronali,ebbe modo di stendere i suoi rami su altre cospicue terre feudali.

Ebbe parte attivissima negli avvenimenti politici del Regno,nel periodo angioino e aragonese divenne potentissima ,se non la più potente delle famiglie baronali dell’Italia meridionale e spesso divenne despota delle monarchie napoletane. Il loro potere e l’atteggiamento ribelle trovarono il culmine al tempo di Antonello Sanseverino, giungendo agli episodi che sfociarono poi nella congiura dei baroni (1483-1485) al tempo di Ferrante d’Aragona. Nonché la congiura ordita, contro Carlo V, dall‘ultimo principe di questa dinastia , Ferrante,principe di Salerno. Ma veniamo al periodo di nostro interesse.

Giacomo, figlio di Guglielmo resse primo tra tutti, le sorti del feudo sanseverinese al principio del sec. XII.

Egli sposava la figlia di Dietpoldo di Vohburg uno dei conti tedeschi che dominavano nella vallata del Liri,capitano della Rocca di Arce e conte di Acerra.

Dietpoldo era tra i feudatari tedeschi che Enrico VI aveva voluto stabilire nei principati feudali in Italia. Nel gran dibattito seguito alla morte di Enrico VI per la successione al trono di Alemagna, Dietpoldo, con altri conti tedeschi stanziati in Italia, era venuto meno alla fede per gli Hohenstaufen, per cui Innocenzo III, tutore di Federico, lo aveva scacciato, con gli altri, dai suoi feudi. Seguendo poi egli le parti di Ottone IV,veniva da questi remunerato col ducato di Spoleto.

Nel 1218 Giacomo è evidentemente dalla parte di Federico e del Papa se proprio in quell’anno rese allo Svevo un servizio incomparabile contro la persona di Dietpoldo, suo suocero.

Federico voleva sbarazzarsi di tale nemico, ed affidò il compito al conte Giacomo, genero dell’astuto Dietpoldo contro cui si era già infranta la potenza ed il valore di Gualtiero di Brienne. Giacomo lo catturò e lo rinchiuse in una prigione.

Ma l’amicizia tra il Sanseverino e lo Svevo non durò a lungo.

Nel 1222 una sollevazione dei Saraceni in Sicilia costringevano l’Imperatore a marciare sull’isola con poderoso esercito. Egli rivolse quindi un caldo appello ai più potenti baroni del Regno perché gli fornissero un notevole numero di uomini. Ma il suo comando non venne da loro accolto con la gravità che l’impresa richiedeva. Il conte Giacomo con i conti Ruggiero dell’Aquila, Tommaso di Caserta,e il conte di Tricarico, si recarono in Sicilia,ma con scarsi uomini. Federico ne se ne ebbe a male e fece arrestare i conti, facendoli chiudere in prigione. I loro feudi furono revocati alla regia Curia.

Il conte Giacomo rimase poco tempo nelle carceri siciliane poiché, dietro istanza di Papa Onori III, l’Imperatore lo lasciò libero (1224), ma lo obbligò a cedergli in ostaggio i familiari.

Non sappiamo se il conte Giacomo soggiacque a tali richieste né che cosa fece dopo la sua liberazione. Probabilmente egli andò esule, ma più tardi, richiamato dall’Imperatore, partecipava alla crociata che finalmente il 1227 muoveva da Brindisi sotto il comando dello stesso Federico. Ma la peste che aveva seminato tante vittime colpì probabilmente anche il conte Giacomo che non tornò più ai lidi italiani(1227).

Non lasciava nessun figlio, per cui Federico, volendo restituire il feudo ai Sanseverino,lo assegnò a Tommaso, fratello di Giacomo.

Tommaso,dopo solo un anno di governo, cedeva di nuovo alla R.Curia il feudo di Sanseverino e del Cilento in cambio della contea di Marsico,sui confini della Basilicata giacché per il tradimento di Filippo,ultimo rampollo dei Marsico,tale contea era caduta nelle mani del fisco: l’unico che per diritto poteva aspirarvi era Tommaso, discendente, per parte di madre, dal penultimo conte Silvestro.

Tommaso sposò Perna de Morra e ne ebbe due figli, Guglielmo e Ruggero. Guglielmo sposò presumibilmente Maria d’Aquino,figlia di Landolfo e sorella di San Tommaso.

Quello di Tommaso e Guglielmo Sanseverino fu un periodo burrascoso: era il tempo delle continue lotte tra guelfi e ghibellini, clima in cui maturò la congiura contro l’Imperatore. Non si fermava alle file dei soli baroni, ma penetrava nell’ambito della Corte Imperiale e dell’esercito. Entrarono a far parte della congiura anche i Sanseverino.

Ma i congiurati seppero di essere stati traditi, e della reazione dell’ Imperatore:

"In hereditario Regno nostro Siciliae, sicut in pupilla oculorum nostrorum,offendi nullatenus patientes,in Regnum cum omni celeritate providimus procedendum,….."

Pandolfo di Fasanella e Giacomo della Morra con altri complici che si trovavano presso Federico, fuggirono a Roma. Guglielmo e Tommaso di Sanseverino si rifugiarono nel loro castello di Sala (Consilina),mentre gli altri, capeggiati dal Tibaldi assediarono il castello di Capaccio. Così Tommaso Sanseverino e il Tibaldi con altri congiurati dovettero resistere all’assedio delle milizie imperiali.

Il primo a cadere fu il castello di Sala: Guglielmo ed i suoi furono rinchiusi nelle carceri del castello,in attesa della condanna.

Quindi le milizie imperiali rivolsero i loro sforzi contro il castello di Capaccio ove la resistenza fu più lunga e tenace,benché le munizioni degli assediati fossero scarse.

Tratti fuori dal castello Teobaldi, con circa 150 altri congiurati, più i loro soldati (tra cui 40 erano della Lombardia,ostaggi dell’ Imperatore,liberati dal Teobaldi), aggiunti ad essi Tommaso e Guglielmo di Sanseverino ed altri della loro famiglia, furono a tutti prima cavati gli occhi,e poi troncati il naso,le gambe e le mani. Per disposizione dell’Imperatore Tibaldi con altri cinque rei (tra i quali doveva essere Guglielmo di Sanseverino, uno dei capi più importanti della congiura), dovevano essere portati per tutte le regioni al cospetto di ogni principe,recando impressa sulla fronte la bolla papale,trovata nel castello di Capaccio, perché a tutti fosse nota la loro infamia. E perché fosse di monito a chi avesse idee velleitarie.

La famiglia dei Sanseverino andò completamente distrutta ad eccezione del piccolo Ruggiero,ultimo figlio di Tommaso, della madre Perna de Morra, della giovane sposa di Guglielmo, Maria d’Aquino,e della piccola Caterina,sua figlia.

Il piccolo Ruggiero fu accolto a Lione da Papa Innocenzo IV, anch’egli esule, e crebbe alla sua corte ove in seguito sposò una nipote dello stesso Papa.

Regnando Manfredi, il Papa poté tornare in Italia entrando a Napoli il 27 ottobre del 1254 . In questo clima di riappacificazione Ruggiero riottenne il suo feudo.

Ma non tardarono a cambiare le cose e così il Sanseverino, da sempre sostenitore della Chiesa, si schierò contro Manfredi rendendosi anzi principale sostenitore della lotta contro lo Svevo.. Per questo Manfredi gli tolse nuovamente il feudo che diede a Giordano d’Anglano. Ruggero combattè valorosamente nello scontro del febbraio del 1266 che culminò nella cruenta battaglia di Benevento. In un momento in cui gli angioini stavano per sbandarsi, egli,messa sulla punta della spada una camicia intrisa di sangue, tolta ad un soldato morto, l’additò quale vessillo agli angioini e, riunitili, li menò alla vittoria. Pare che da questo episodio tragga significato lo stemma dei Sanseverino : una banda rossa in campo d’argento.

Tornò nuovamente in possesso dei suoi feudi, ed in questo periodo troviamo al suo fianco la seconda moglie Teodora d’Aquino, figlia di Landolfo e sorella di San Tommaso.

Nel 1272 il re Carlo gli affidò il Vicariato di Roma. Nel 1276 gli fu affidata la spedizione incaricata di portare rinforzi e vettovagliamenti ad Avallone ,in Albania. Nel 1277 il re lo creò suo Vicario nel Regno di Gerusalemme,regno che l’Angioino ottenne proprio grazie all’impegno diplomatico e militare del Sanseverino che in quell’occasione molto si avvalse dell’aiuto dei Templari.

Nel 1284 gli fu affidata da Carlo,principe di Salerno e, a quel tempo, Vicario Generale di suo padre Carlo I d’Angiò, la custodia e la difesa della città di Salerno dai ribelli (era il tempo dei Vespri Siciliani), mentre Tommaso,figlio di Ruggero e di Teodora, che dallo stesso principe era stato nominato capitano a guerra era stato spedito a difendere il litorale che da Salerno va a Policastro.

Ruggiero morì nel 1285 nella contea di Marsico. Di Tommaso aggiungiamo che molto sentì l’influenza del santo zio Tommaso che più di una volta aveva soggiornato al castello di Sanseverino ove ebbe una delle sue estasi; si interessò attivamente per la glorificazione dello Zio. Fondò poi a Padula la Certosa in onore di San Lorenzo.


Bibliografia

  • Eberhard Horst, Federico II di Svevia - L’imperatore filosofo e poeta, Rizzoli

  • Carlo Ruta, Poeti alla corte di Federico II - La scuola siciliana, Edi.bi.si.

  • Massimo del Regno, Il castello di Sanseverino nel secolo XIII e San Tommaso d’Aquino, Centro di documentazione per la storia di Mercato Sanseverino.

  • C. Gonzaga, Famiglie Nobili.

  • Carlo Carucci, La provincia di Salerno - Dai tempi più remoti al tramonto della fortuna normanna, Biblosteca Edizioni Ripostes.

  • Mons. Alfonso Tisi, San Tommaso d'Aquino e Salerno, grafica Jannone-Salerno.

  • siti internet: www.mimmademaio.com

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