Era il 1789, trentesimo anno di regno di Ferdinando IV (III
di Sicilia). Il re, nonostante quello che si continua a
raccontare, era un sognatore. La vita e il baccano della
Reggia di Caserta lo angustiavano e aveva scelto come
suo luogo di ritiro una collina lì vicino, dalla vista
stupenda: dove c'era, appunto, l'antica chiesetta di San
Leucio, vescovo di Brindisi. Sul Belvedere aveva fatto
costruire un casino di caccia, e vi aveva fatto
insediare alcune famiglie affinché vi provvedessero. Poi
i coloni crebbero di numero e diventarono una piccola
comunità. Il re si lasciò probabilmente influenzare
dalle mode utopistiche dell'epoca e decise di fondare
una colonia modello. Cercò di darle l'autonomia
economica, creando una seteria e una fabbrica di
tessuti. La regolò con un codice scritto di suo pugno,
pieno di straordinarie intenzioni e intuizioni. Volle
darle una struttura urbanistica organica e simmetrica.
Le affibbiò un nome che era uno specchio: Ferdinandopoli.
Una sua creatura, insomma, anche se il nome restò
artificiale e nessuno lo usò mai: rimase sempre San
Leucio.
La
fabbrica, che s'ingrandì e produsse una gamma
ricchissima di tessuti, non riuscì mai a prosperare dal
punto di vista economico, in quanto il lucro non era il
suo fine. Un'industria di Stato, ma al sevizio della
collettività, e quindi molto diversa da quelle dei
nostri tempi, che sono al servizio dei partiti politici.
Il
codice venne applicato alla lettera: un misto di
socialismo reale e utopico, che possiede ancora oggi una
sua forte suggestione: "Io vi do queste leggi,
rispettatele e sarete felici". Era il 1789: a Parigi
ribolliva la rivoluzione. A San Leucio si istituiva la
perfezione. I cognati di Ferdinando IV finivano sotto la
lama della ghigliottina: perché il re di Napoli aveva
sposato Maria Carolina d'Austria, sorella di Maria
Antonietta di Francia.
I
pilastri della Costituzione di San Leucio-Ferdinandopoli
erano tre: l'educazione veniva considerata l'origine
della pubblica tranquillità; la buona fede era la prima
delle virtù sociali; e il merito la sola distinzione tra
gli individui. Tre principi sui quali varrebbe la pena
di riflettere tutt'oggi, a più di due secoli e una
decina di generazioni di distanza.
Era vietato il lusso. Gli abitanti dovevano ispirarsi
all'assoluta eguaglianza, senza distinzioni di
condizioni e di grado, e vestirsi tutti allo stesso
modo. La scuola era obbligatoria, a partire dai sei anni
di età: i ragazzi erano poi messi ad apprendere un
mestiere secondo le loro attitudini e i loro desideri.
Obbligatoria anche la vaccinazione contro il vaiolo. I
giovani potevano sposarsi per libera scelta, senza dover
chiedere il permesso ai genitori. Le mogli non erano
tenute a portare la dote: a tutto provvedeva lo Stato,
che s'impegnava a fornire la casa arredata e quello che
poteva servire agli sposi.
Venivano aboliti i testamenti: i figli ereditavano dai
genitori, i genitori dai figli, quindi i collaterali di
primo grado e basta. Alle vedove andava l'usufrutto. Se
non c'erano eredi, andava tutto al Monte degli Orfani.
Nella successione maschi e femmine avevano pari diritti.
I funerali si celebravano senza distinzioni di classe,
anzi erano sbrigativi perché non dovevano affliggere.
Ferdinando abolì anche il lutto, che trovava sinistro:
al massimo una fascia nera al braccio. I capifamiglia
eleggevano gli anziani, i magistrati (che restavano in
carica un anno), e i giudici civili. Ogni
manifatturiere, ovvero ogni dipendente delle manifatture
della seta, era tenuto a versare una parte dei guadagni
alla Cassa della Carità, istituita per gli invalidi, i
vecchi e i malati.
Insomma: uguaglianza, solidarietà, assistenza,
previdenza sociale, diritti umani. Ferdinando IV aveva
fatto centro prima che la stessa Rivoluzione francese
portasse a casa le sue conquiste. Al momento della
promulgazione delle leggi, gli abitanti erano
centotrentuno.
Tutto ruotava intorno alla
fabbrica. Una seteria meccanica, sostenuta dal re "con mezzi potentissimi", che
sfruttava la materia prima generata dai bachi allevati nelle case del Casertano
e oltre. Dai primi filatoi e dai telai fino alla costruzione di una grande
filanda. Si producevano stoffe per abbigliamento e per parati, in una ricca
gamma di rasi, broccati, velluti. Nei primi decenni dell'Ottocento, con
l'introduzione della tessitura Jacquard, la produzione si arricchì di stoffe
broccate di seta, d'oro e d'argento, scialli, fazzoletti, corpetti, merletti. Si
svilupparono anche dei prodotti locali, i gros de Naples e un tessuto per
abbigliamento chiamato Leuceide.
Era molto ricca la gamma dei colori, tutti naturali, i cui nomi cercavano di
distinguere le sfumature più sottili: verde salice, noce peruviana, orso,
orecchio d'orso, palombina, tortorella, pappagallo, canario, Siviglia, acqua del
Nilo, fumo di Londra, verde di Prussia.
L'ideale di San Leucio resse perfettamente per molti anni, poi fu man mano eroso
dalle invasioni napoleoniche e dalla forte crescita della popolazione. L’utopia
di San Leucio non finì, come vorrebbe la leggenda maliziosamente raccontata dai
liberali, per colpa delle “scappatelle” del sovrano con le operaie. Finì quando
nel 1861, a seguito della invasione sabauda, il Regno fu annesso al Piemonte: il
setificio fu dato ai privati, e lo statuto divenne carta straccia.
I
tessuti di San Leucio avevano rifornito i sovrani della
casa borbonica e le famiglie della nobiltà e borghesia
napoletana, sia per gli abiti sia per le tappezzerie.
Fatto sta che la manifattura è sopravvissuta al Regno
delle Due Sicilie e alla dominazione sabauda e, pur con
caratteristiche molto diverse, continua oggi a mantenere
in vita una tradizione lontana e preziosa, che si è,
anzi, sparsa per il mondo.
Con l’avvento della Repubblica Italiana, l'antico borgo
industriale, con le abitazioni per i lavoratori, è stato
oggetto di restauri. Le bellezze architettoniche firmate
da Ferdinando Collecini, allievo del Vanvitelli, e
quelle naturali continuano a emanare le loro
suggestioni.
Vale la pena dedicarci una visita: chissà che non
incappiate nello spirito del vecchio re, che continua a
vagare per queste strade, dove aveva voluto la rigida
divisione del traffico dei pedoni da quello dei veicoli!
Forse ancora corrucciato per essere stato vinto da un
vecchio vescovo, Leucio, di cui non era riuscito a
estirpare il nome per sostituirlo con il proprio!
Articolo tratto da:
Paolo Stefanato, Meridiani 69, Domus
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