Bari -
San Nicola, legame indissolubile si è sempre detto, ma il culto di
San Nicola è in realtà patrimonio di tante comunità pugliesi e di
tutta l'Italia meridionale ed ancor più dei popoli dell'Europa
Orientale, sia Cristiani Ortodossi che Cattolici di rito Orientale.
Il mitema di San Nicola, l'universo dischiuso dal Santo Vescovo di
Myra, è infinitamente ampio nel tempo e nello spazio.
C'è chi
ha persino sostenuto che sarebbe dubbia storicamente l'esistenza
stessa di San Nicola il che, a nostro avviso, non modificherebbe
nulla della valenza geopolitica del Santo, anzi potrebbe accrescerne
l'intrinseca capacità di crocevia e sintesi fra culture diverse.
Padre Gerardo Cioffari ha riaffermato la veridicità storica della
figura del Vescovo di Mira al tempo di Costantino, con diffusione
del suo culto già nel IV–V
secolo. Più tardi sarebbe vissuto un Santo monaco della Licia
chiamato Nicola Sionita, perché archimandrita del monastero di Sion
e poi vescovo di Pinara.
San
Nicola nasce comunque nell'Asia Minore, lì dove alla forza degli
antichi Dei pagani si sostituì la Cristianità che fu nei primi anni
iconoclasta, poi abilmente sostitutiva, inglobando via via miti,
racconti, archetipi. Proprio di archetipo, nel caso di San Nicola,
occorre parlare, ed un brillante nicolaista barese, Enzo Varricchio,
ha efficacemente schematizzato le "interfaccie" di San Nicola in
tutto il mondo, di cui il più noto è senza dubbio Babbo Natale, ma
figure simili sono presenti nelle culture di ogni parte del mondo,
anche non abramitiche. Dai miti celtici ai grandi spazi delle
pianure russe, fino al Mediterraneo, il mito del donatore, di colui
che media fra mondo umano ed ultraterreno, è sempre presente. In
preparazione, ad opera del grande studioso barese, un mappamondo
nicolaiano con migliaia e migliaia di voci.
San
Nicola è chiamato nel mondo slavo con il nome di Mikula, l’etimologia
popolare lo assimilerebbe dunque a San Michele, ed il primo Mikula
nominato nelle cronache russe era il custode della sacra icona della
Vergine Odighitria in un convento di Ljubec’.
In seguito questa icona viene portata a Vladimir per poi essere
definitivamente sistemata nella Chiesa dell’Assunzione
a Mosca nel 1395.
San
Nicola è chiamato in russo in vari modi: il Miracoloso (Ciudotvorez),
il santo che è dalla tua parte (Ugodnik), il protettore dei marinai
(Morskoi) ed è anche il protettore delle ragazze da marito. La
tradizione, a questo ultimo proposito, riporta che quando il padre
del santo morì gli lasciò molte ricchezze e Nicola le distribuì fra
i poveri, ma in particolare ad un padre che aveva tre figlie,
purtroppo senza dote. Le giovani erano già pronte ad essere avviate
alla prostituzione quando San Nicola gettò di nascosto attraverso le
finestre della loro casa un serto d’oro
di gran valore per ciascuna, salvandole dalla triste sorte.
È
probabile che proprio da quest’episodio
derivi l’usanza
di mettere fuori dalla finestra l’8
dicembre una candela accesa od una scatola dove San Nicola possa
mettere i regali per le ragazze da marito. In Russia San Nicola è
anche il protettore dei carcerati e dei condannati innocenti, nonché
il protagonista di numerose favole diffuse fra i contadini.
Esisteva
persino una confraternita Nicolina che aveva il compito di aiutare
chi era in difficoltà, di preparare i cibi per le feste del Santo e
di cercare di comporre le liti proprio in occasione della festa del
6 dicembre.
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San Nicola e San Gennaro, Cappella di San
Nicola. Chiesa di San Nicola alla Carità in Napoli. Foto
Pina Catino. |
San
Nicola è destinato ad unire culture diverse e, significativamente, a
legare il mondo bizantino, area geografica di provenienza del mitema
nicolaiano, con il mondo slavo passando dalla Puglia, avamposto
levantino dell’Europa
occidentale. Davvero una spiritualità ed una santità senza confini!
Nicola
nacque infatti intorno al 260 a Patara, importante città della
Licia, una regione a sud dell’Asia
Minore, oggi in Turchia. Vide la luce, dunque, in una città portuale
ben nota ai cristiani, essendovi transitato duecento anni prima San
Paolo in uno dei suoi viaggi. Dell’infanzia
di Nicola non si conoscono episodi che possano vantare una qualche
base documentaria. Attendibile è la voce che, come già accennato,
ereditasse dal padre una grossa somma di denaro.
All’episodio
miracoloso delle tre fanciulle, nella vita di Nicola segue la sua
elezione a vescovo di Mira. Con ogni probabilità, dunque, il giovane
si era trasferito in questa altrettanto importante città della
Licia, in cui ancora oggi si conservano notevoli tracce del quarto e
quinto secolo avanti Cristo fra cui le tombe rupestri e l’anfiteatro
romano.
Alcuni
agiografi fra i più recenti, aiutandosi con i dati della vita del
monaco Nicola, raccontano come fu ordinato diacono e sacerdote e
come partì per Myra dove arcivescovo era un suo zio. Appare quindi
evidente il desiderio di vivere in una città ove non fosse
conosciuto, come invece lo era a Patara, dove il padre delle tre
fanciulle aveva svelato il segreto della dote alle sue figlie.
Considerando il tempo necessario ai Miresi per conoscerne le virtù,
si può pensare che si fosse trasferito verso il 290 e che poi
venisse eletto vescovo intorno al 300.
Il primo
agiografo, Michele Archimandrita, narra che il Signore rivelò ad un
uomo di chiesa come procedere:
“Recati
con altri alla casa di Dio di notte; appostati nell’atrio
ed il primo che all’alba
entrerà prendilo e fallo ordinare Vescovo. Il suo nome è Nicola”.
Da questo racconto si deduce che il disegno fu divino e slegato dall’iniziativa
umana del protagonista, così almeno dice la tradizione!
Il primo
ventennio del IV secolo fu decisivo, anche per quanto riguarda il
passaggio dal paganesimo al cristianesimo. Alcuni sinassari
tramandano che Nicola dovette subire la persecuzione di Diocleziano.
Il vescovo della sua città natale, Metodio, dové affrontare il
martirio mentre per Nicola si parla, tardivamente, di carcere. È
chiaro quindi che Nicola evitò di provocare le autorità, romane,
preferendo soffrire in ombra ed allievare così le sofferenze del suo
gregge.
La data
più comunemente accolta per la morte di San Nicola è il 343, come
indicato nella
“Leggenda
aurea”
di Jacopo da Varazze, ma altri indicano date diverse. A Mira il
sarcofago di San Nicola lasciava sgorgare il myron, che si
raccoglieva con una piuma, cioè in piccole quantità, divenuto poi il
liquido più famoso del genere, tanto da attirare sin d’allora
un gran numero di pellegrini.
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Basilica di San Nicola, Bari. Foto Pina Catino |
Come accennato all’inizio
di queste note occorreranno poi circa mille anni perché
San Nicola raggiunga la Santa Russia per diventarne il
Santo più venerato.
Verranno
gli anni bui dell’ateismo
comunista anche se personalmente ritengo che non di vero ateismo
debba parlarsi ma di tentativo crudele e violento di sostituire alla
Fede Cristiana la
“religione
comunista”
con il suo esoterismo ed i suoi riti, sconosciuti alle masse, ma ben
presenti, e che negli ultimi anni hanno richiamato l’attenzione
di studiosi di grande valore fra cui il politologo italiano Giorgio
Galli.
Un
processo sostitutivo, dunque, tipico dei tempi di passaggio, da cui
però il nostro Santo non viene disturbato più di tanto perché nelle
innumerevoli metamorfosi è sempre uno scrigno di saggezza e di
buonsenso, nonché di Fede, variamente vissuta!
Occorre
allora riflettere meglio sulla connotazione identitaria,
mediterranea in primis, poi cristiana ed in particolare pugliese,
del nostro San Nicola.
Tempo fa,
dalle colonne di un quotidiano barese, un padre domenicano ribadiva
il non doversi identificare Babbo Natale con San Nicola. Il
messaggio è molto forte e possiede grande valenza simbolica prima
che dottrinale: stemperando le differenze alla ricerca dell’Unità
non saremo più noi stessi. Noi come cattolici, come cristiani, come
europei. Le occasioni di dialogo secondo il Pontefice Benedetto XVI
sono: “Occasioni
o pedagogie in cui i cuori degli uomini sono stimolati ad aprirsi a
Dio”.
Insomma: fate pure gli affari, ma la Fede sia sempre il centro dell’azione
del credente!
Quale
allora la specificità, e quindi la particolare valenza di San Nicola
per Bari e per l'intera Puglia? Oggi nel Mediterraneo si agitano
aggressivi integralismi di varie matrice, non solo islamica.
Forze
nuove si affacciano sulla ribalta della storia. Cambiano gli scenari
geopolitici con un crescente flusso migratorio verso l'Europa
occidentale da Est e da Sud. Masse di diseredati in cerca di
benessere, pieni di speranze, che recano con sé valori diversi, solo
in parte rapportabili alla nostra eredità culturale.
Nel mondo
ortodosso sono vivi sentimenti anti-occidentali "merito" del
capitalismo selvaggio che dilaga nei paesi dell' ex-socialismo
reale.
Nei paesi
arabi del Mediterraneo c'è sempre maggiore insofferenza verso gli
Stati Uniti, i costumi decadenti dell'Occidente, Israele con la sua
politica estera dai toni talvolta concilianti ma intransigente nella
difesa dei coloni ebrei nei territori occupati, mentre in Europa
nessuno conosce la verità su conflitti come quelli in Algeria od in
Sudan.
La Puglia
oggi più che mai è un crocevia di culture ed è impossibile eludere
gli appuntamenti cui andrà incontro.
Nel cuore
del Mediterraneo Bari, con il suo patrono da sempre sinonimo di
ecumenismo e di convergenze religiose e culturali, è ponte ideale e
spirituale fra Est ed Ovest. In fondo il nostro Santo è quasi una
metafora perché è "condannato" a vivere nelle aspettative dei fedeli
dai riti diversissimi e con problematiche sociali e culturali spesso
antitetiche!
Ansia di
riappropriarsi di Fede autentica e liberamente vissuta ad Est con
note di fanatismo ed irrazionalità, a fronte di un'Europa in cui,
come nel resto dell' Occidente, si afferma una voglia di Sacro un
po’ confusa, a nostro avviso deliberatamente confusa, da nuovi
mediatori del consenso i cui messaggi viaggiano su Internet. Idee
che vogliono trarre legittimità da uno strano miscuglio di tesi,
propugnando valori presi in prestito dalle religioni orientali,
dall'antico Egitto, dall'occultismo anglo-sassone dell'Ottocento. In
quest'ottica vanno letti la New Age, il Buddismo in versione
lamaista tibetana, culti vari, fra i più diversi ma tutti
tolleranti, poco impegnativi... Un bisogno di Sacro da vivere quindi
senza severità.
Bari ed
il suo Santo patrono devono entrare di diritto nel Terzo Millennio
come il centro propulsore di iniziative di Pace, di solidarietà, di
ecumenismo, riappropriandosi di un patrimonio storico e spirituale
unico al mondo, sottovalutato proprio dai Pugliesi. Questo stato di
cose era il prodotto di una certa perifericità delle nostre realtà
ma dalla caduta del muro di Berlino in poi siamo anche noi sotto i
riflettori e quindi…
Se la
nostra comunità non saprà vincere questa sfida di fine secolo,
daremo legittimità ad ogni genere di pretese, anche di qualcuno che
rivendichi il diritto di conservare le sacre reliquie nicolaiane
lontano da Bari!
Alcuni
anni fa, infatti, come è noto, la Turchia è tornata ad avanzare la
richiesta della restituzione delle reliquie invocando addirittura le
Nazioni Unite!
Di fronte
a questo genere di problematiche quali iniziative, ad esempio, sono
state ipotizzate per accogliere pellegrini Russi e di altri Paesi
slavi che sempre più numerosi giungono a Bari?
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Basilica di San Nicola, Bari. Foto Pina Catino |
La Chiesa Russa di San Nicola, in Corso Benedetto Croce,
oggetto nel corso degli anni di contese giudiziarie e di
conflitti teologici fra ortodossi, offre alla nostra
riflessione ulteriori spunti di geopolitica.
Ricordiamo qui brevemente che il monumento, oggi sottoposto a
vincolo dalla Sovraintendenza, fu edificato nel 1913 dalla Imperiale
Società Ortodossa di Palestina con una grande sottoscrizione
popolare cui partecipò con un lascito personale lo stesso zar Nicola
II, devotissimo di San Nicola. L’ultimo
zar fu anch’egli
pellegrino a Bari.
La scelta
di edificare a Bari la Chiesa–ostello
per pellegrini divenne operativa, peraltro, dopo il rifiuto delle
autorità turche di lasciare edificare analogo edificio a Myra.
Bari, la
felice Bari nella tradizione ortodossa, divenne così ancor più meta
di pellegrinaggio per gli ortodossi insieme a Gerusalemme ed al
Monte Athos.
Il 22
maggio del 1913 fu posta la prima pietra del monumento. Una cronaca
dettagliata dell’avvenimento
è riportata nel volume del nicolaista Padre Gerardo Cioffari:
“Viaggiatori
russi in Puglia dal’600
al primo
‘900,
Schena editore, Fasano”
e porta la firma di due studiosi russi, A. Dmitriewskij e V.
Jusmanov. La data non fu scelta a caso perché il 22 maggio
corrisponde nel calendario in uso in Russia al 9 maggio,
anniversario della traslazione delle reliquie nicolaiane da Myra a
Bari.
La posa
della prima pietra appare oggi commovente in particolare se si pensa
che di lì a pochi anni la rivoluzione bolscevica avrebbe segnato l’inizio
della persecuzione religiosa. La cerimonia durò circa un’ora
e si concluse con un discorso dell’allora
Sindaco di Bari, Fiorese, ed uno del capo delegazione russo, il
principe Nikolaj Zevaxov, di cui parleremo più oltre.
Nei primi
anni novanta l’area
del quartiere Carrassi era un grande spazio rurale, con qualche
insediamento industriale ed alcuni edifici militari. Con il nuovo
imponente monumento la vita cambiò, si crearono nuove strutture
aggreganti ed abitative e finalmente regolate in qualche modo da un
punto di vista urbanistico.
La chiesa
venne completata nel 1915 e lo stesso Zar, in pellegrinaggio a Bari,
si rallegrò dell’opera.
Nel 1917 scoppiò la rivoluzione comunista ed il Principe Zevaxov che
era tornato in Russia fuggì dopo il 1920 rientrando a Bari. Qui
iniziò una lunga vertenza fra l’Amministrazione
Comunale e le nuove autorità russe per stabilire la legittima
proprietà dell’immobile.
Il Comune
di Bari con uno stratagemma giudiziario-finanziario riuscirà ad
appropriarsi nel 1937 della grande struttura raggiungendo con il
Principe un accordo per cui gli sarebbero state versate 20.000 lire
per vent’anni,
trasferibili agli eredi in caso di morte. Il principe però è scapolo
e morirà in miseria a Ginevra, principale base operativa della
Chiesa Russa dell’Emigrazione
in Europa, nel 1948, facendo risparmiare così al Comune le ultime
nove rate.
Furono
stabiliti inoltre altri vincoli che consentiranno alla comunità
ortodossa della Chiesa Russa dell’Emigrazione
di far vivere la piccola parte rimasta aperta al culto.
Nel 1998
la svolta: l’Amministrazione
Comunale guidata da Simeone Di Cagno Abbrescia sigla un accordo con
il Patriarcato di Mosca con cui viene concessa alla Chiesa Russa
Ortodossa di usufruire di una parte dei locali di proprietà
comunale. L’allora
sindaco parlò di vittoria della piccola diplomazia transfrontaliera.
In
seguito vi sono state aperture e chiusure fra le due Chiese. Un
gruppo di volenterosi baresi, fra cui Beppe Pisani e chi scrive,
proprio perché estranei alla contesa teologica e politica, cercò
negli anni scorsi senza risultati di far organizzare una
manifestazione in comune fra i due gruppi di Ortodossi.
Putin
nella recente visita a Bari non visitò i Russi dell’emigrazione
ma, finalmente, il 17 maggio 2007 una sfarzosa cerimonia a Mosca ha
chiuso definitivamente la frattura nata dalla Rivoluzione d’Ottobre.
Il
patriarca Alessio II ed il metropolita Lavr hanno firmato l’atto
di riunificazione, od unione canonica, fra la Chiesa Patriarcale di
Mosca e la Chiesa Russa di oltre frontiera. L’avvenimento
è davvero eccezionale se si pensa che i Russi dell’emigrazione
hanno condotto per quasi ottant’anni
una lotta senza quartiere alla Chiesa Patriarcale di Mosca
definendola collaborazionista col regime comunista e traditrice
della Fede.
La
cerimonia ha peraltro avuto grande importanza per Vladimir Putin
perché lo designa esplicitamente erede delle due Russie, ossia l’uomo
che ha risollevato il Paese dal baratro in cui era caduto dopo lo
scioglimento per decreto dell’URSS.
Il tutto naturalmente con buona pace di coloro che si lamentano per
le crescenti restrizioni delle libertà di espressione e per i
diritti umani.
Il
Presidente Putin diventa dunque l’erede
dei religiosissimi Zar di tutte le Russie ma al tempo stesso dei
capi comunisti. Non è la prima volta che si determina una così
apparentemente singolare conversione!
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Basilica di San Nicola, Bari. Foto Pina Catino |
Stalin fu costretto durante la II Guerra Mondiale a
ridare spazio alla Chiesa Ortodossa, anche da lui
perseguitata e ridotta ad un ruolo marginale, per farle
benedire la
“Grande
Guerra Patriottica”
contro i Tedeschi ed i loro alleati fra cui i milioni di
ex-sovietici che avevano applaudito le forze dell’Asse
arruolandosi direttamente nelle loro fila o collaborando
con gli italo-tedeschi.
Nel 1941,
infatti, all’indomani
dell’attacco
tedesco Stalin ricevette al Cremlino per la prima volta dalla presa
del potere da parte dei comunisti, un gruppo di alti prelati. A
seguito di questa udienza, vera e propria riconciliazione
interessata…
con la Chiesa Ortodossa Russa, si ebbe nel 1943 l’elezione
del Patriarca, il primo dalla morte di Tichon avvenuta nel 1927.
Stalin
interruppe qualsiasi propaganda ateistica, permise alla Chiesa di
riprendere le proprie attività e questa contraccambiò dichiarando un
dovere religioso la difesa della Patria e minacciando di scomunica
chi si fosse sottratto al combattimento contro gli invasori e,
naturalmente, i
“collaborazionisti”…
A guerra
finita non ci fu per questi ultimi nessuna pietà. Chi non cadde in
battaglia fu spietatamente massacrato nei Gulag od ucciso nei modi
più atroci. Tutti indistintamente: dagli anziani ufficiali dell’Armata
Bianca che erano riparati in Occidente ritornando a combattere nelle
file tedesche, ai Cosacchi, ai Tartari, agli Armeni, a tutta una
congerie di popolazioni mussulmane turco-tatare ed a molte altre
ancora.
Negli
ultimi anni alcuni studiosi, anche italiani, hanno finalmente reso
giustizia a questi uomini finora bollati da una storiografia a senso
unico come traditori.
Ne
riparleremo anche noi a partire dai Branderburghesi, il primo vero
nucleo di idealisti il cui sogno finì nel sangue e nell’oblio
ma che ora trova una giusta collocazione nella Storia.
Ritornando ancora alla cerimonia di Mosca, Putin dopo aver baciato
un’icona
ha spiegato che:
“La
divisione della Chiesa è stato il risultato di una profonda crisi
della società russa”.
Al lato i due prelati in una sorta di loggia speciale.
La Chiesa
dell’Emigrazione,
come accennato, nacque in risposta alla rivoluzione sovietica del
1917 che, grazie all’ideologia
atea di Lenin, eliminò fisicamente non solo lo Zar e la sua famiglia
ma un gran numero di religiosi, distruggendo moltissime chiese.
Dopo
alcuni anni di proteste e conseguenti repressioni il neo eletto
patriarca Tichon dovette adeguarsi al nuovo regime per cercare di
salvare il salvabile. I Vescovi russi dell’emigrazione
rifiutarono di sottoscriverla considerandola l’atto
decisivo di resa al comunismo.
Per i
russi della diaspora la frattura è stato un dramma senza fine fino a
quando il patriarca Alessio II un paio di anni or sono affermò:
“Abbiamo
dovuto vivere in un mondo diviso dalla cortina di ferro su parti
opposte ed ognuno di noi è stato sottoposto all’influenza
interessata di sistemi politici contrapposti”.
Il
martirio della Chiesa Russa Ortodossa fu atroce ed a partire dal
sangue dei martiri si può ricercare una nuova unità che è in primo
luogo autocritica se, nel riscrivere le tragiche fasi dell’ateismo
bolscevico, sempre Alessio II scrive che:
“…il
nostro popolo non possedeva un’immunità
sufficientemente forte contro le perniciose pseudo-dottrine senza
Dio”.
Il riferimento, molto chiaro, non è solo al marxismo ma al clima
decadente della corte imperiale dominata dall’ambigua
figura di Rasputin. Questo ambiguo personaggio era il più noto fra i
santoni di quel mondo al tramonto fatto di nobildonne ed ufficiali
in bellissime divise, di feste e cerimonie religiose avulse dalle
tensioni popolari ed esposte alle idee rivoluzionarie venute da
Occidente, in specie dal mondo degli ebrei di lingua tedesca.
Per
qualcuno esiste un filo rosso-nero che lega esoterismo e marxismo
sovietico ma…
questa è un’altra
storia ed è davvero complicata. Ne parleremo in un prossimo futuro!
Subito
dopo la Rivoluzione si crearono diversi nuclei di feroce guerriglia
contro i comunisti. I controrivoluzionari erano divisi in vari
gruppi, con motivazioni ideali e politiche anche molto diverse fra
di loro, ed anche di questo ritorneremo a parlare. Per meglio
lottare contro il comunismo ateo, quindi, le diocesi meridionali e
siberiane si staccarono dal Patriarcato. Il trionfo delle forze
rivoluzionarie costrinse però buona parte della gerarchia ortodossa
ad emigrare prima a Costantinopoli e poi a Karlovcy, in Serbia.
Capo
spirituale di questa Chiesa dell’Emigrazione
(Zarubenaja Cerkov’,
Chiesa Oltre-frontiera) divenne Antonij Chrapovickij, un famoso
teologo dotato di grande carisma.
Nel 1927
mentre il luogotenente del Patriarcato di Mosca, Sergio
Stragorodskij, firmava l’atto
di lealtà al governo sovietico, all’estero
i russi dell’emigrazione
si dividevano in due correnti. La prima con base a Parigi di
orientamento democratico non sottoscrisse l’atto
ma mantenne rapporti di comunione con Mosca, mentre gli esuli in
Serbia rompevano la comunione isolandosi. A loro si unirono comunità
di russi anticomunisti in Svizzera, Germania, Stati Uniti ed in
altri Paesi.
Questo
stato di cose si è protratto fino al 2000 coinvolgendo le tante
chiese che giuridicamente dipendevano dalla Chiesa Oltre-frontiera
fra cui quella di Bari.
La Chiesa
dell’Emigrazione
non cambiò atteggiamento nemmeno con la caduta del comunismo perché
continuava ad accusare l’intera
gerarchia ecclesiastica ortodossa di tradimento e connivenza col KGB
e pertanto non veniva riconosciuta canonicamente valida alcuna
ordinazione episcopale.
Il
cambiamento è avvenuto, come già accennato, solo nel 2001, con l’elezione
del metropolita Lavr a capo della Chiesa Russa Oltre-frontiera, con
i suoi quindici vescovi e circa quindicimila fedeli. Furono
stabiliti così contatti ed il Santo Sinodo di Mosca indirizzò a Lavr
un appello alla riconciliazione. Nel 2004 questi incontrò a Mosca
Alessio II e venne costituita una commissione per lo studio dei
rapporti bilaterali. Le due Chiese hanno stabilito una
“comunione
canonica”,
accettando pertanto le reciproche gerarchie, mantengono l’indipendenza
amministrativa e burocratica ma al patriarca russo Alessio II è
riconosciuta la suprema autorità.
Il
pericolo che Mosca possa mettere le mani sulle proprietà della
Chiesa di Oltre-frontiera in America, fra cui la sede di Manhattan,
è stato paventato da alcuni russi dell’emigrazione
contrari all’accordo,
ma non sembra reale. In ogni caso alcuni rifiutano l’incontro
con il Patriarcato di Mosca. Fra questi l’attuale
pope residente a Bari, Padre Sergio. Alle firma del documento erano
presenti a Mosca anche alcuni eredi della famiglia imperiale.
Altamente simbolico anche il luogo della cerimonia: la Chiesa di
Cristo Salvatore che Stalin aveva fatto saltare con la dinamite!
Al suo
posto il dittatore georgiano voleva costruire il Palazzo del Soviet,
con in cima una colossale statua di Lenin. Il terreno risultò però
instabile ed il progetto fu abbandonato. Krusciov realizzò poi una
grande piscina circolare scoperta amata da tutti i moscoviti che d’inverno
sotto la neve si immergevano nell’acqua
calda. Eltsin all’inizio
degli anni’90
ha fatto abbattere a sua volta la piscina per ricostruire la
cattedrale.
Altre
cerimonie si sono svolte in altri due
“luoghi
simbolo”
per gli ortodossi russi. Il primo è la cattedrale dell’Assunzione
all’interno
del Cremino. Qui tutti gli Zar venivano incoronati, anche quando la
capitale era a San Pietroburgo. L’altro
è Butovo, località alle porte di Mosca dove l’NKVD
uccise tantissimi innocenti. Per la Chiesa Ortodossa è da tempo un
luogo della memoria, anche per onorare le decine di migliaia di
sacerdoti uccisi durante le purghe staliniane.
In tutti
questi anni a Bari la piccola chiesa del piano terra ha ospitato
fedeli ortodossi di tante nazionalità: greci, serbi, montenegrini,
rumeni, bulgari, russi, ucraini, bielorussi, etiopi copti, che poi
hanno trovato modo di riunirsi sia nella Chiesa di San Gregorio
vicino alla Basilica di San Nicola che nella nuova Chiesa Russa al
primo piano di Corso Benedetto Croce, retta da Padre Vladimir
Kuciùmov, rappresentante del Patriarcato di Mosca ed ancora,
naturalmente, nella cappella per il Rito Ortodosso allestita nella
cripta della Basilica di San Nicola.
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Basilica di San Nicola, Bari. Foto Pina Catino |
All’inizio
del nostro scritto parlavamo della valenza geopolitica
del monumento.
La
geopolitica dell’ortodossia
non è più materia per soli addetti ai lavori.
In un
convegno organizzato l’11
dicembre 2005 all’Hotel
Sheraton a Bari sul tema:
”Il
Mediterraneo: integrazione e diversità fra conflitti e pace”
il Pope Ortodosso Padre Màdaro, rappresentante in Italia del
Patriarcato di Costantinopoli, tracciò un excursus storico sullo
scisma fra Chiese d’Oriente
e d’Occidente
prodottosi nel corso di tanti anni ed accompagnato da eventi tragici
come la IV Crociata conclusasi con il saccheggio di Costantinopoli.
L’orientamento
dell’Ortodossia
oggi è di sostenere il dialogo senza pregiudizi esaltando le
differenti tradizioni quale elemento di ricchezza e rifiutando un
sincretismo che annichilirebbe ogni valenza storica e spirituale.
Con la
fine dell’URSS
e del comunismo, le Chiese Ortodosse, chiese autocefale e quindi già
per questo portate ad essere Chiese nazionali, hanno dovuto
reimpostare il rapporto con i governi in maniera estremamente
differenziata rispetto alle varie realtà.
Solo per
citare il caso dei nostri dirimpettai balcanici in questi ultimi
anni si sono moltiplicate le chiese, con tensioni anche gravi e con
immancabili interferenze politiche! Del resto è inevitabile che se
Fede e Politica sono vissute con semplicità si intreccino e si
contaminino, anche positivamente o, viceversa, alimentino rancori e
fanatismo. È per questo che dopo la rivoluzione bolscevica del 1917,
il potere sovietico pianificò immediatamente lo sradicamento di ogni
Fede religiosa scontrandosi con la Chiesa Ortodossa, maggioritaria
in quasi tutto l’Impero
Russo.
Le
recenti tensioni politiche in Ucraina hanno fatto conoscere invece
al mondo il conflitto fra Ortodossi e Greco-Cattolici in quella
terra. È la memoria dei martiri che deve unirli ed unirci. Proprio
in Ucraina, infatti, culla della Cristianità Orientale, fu
martirizzato il primo metropolita, Vladimir Bogojavlenskij di Kiev,
il 25 gennaio 1918.
In questi
ultimi anni, con il contributo anche dei figli degli esuli rientrati
da ogni parte del mondo nella Santa Madre Russia, terra dei loro
avi, si cerca di ricostruire la memoria delle innumerevoli vittime,
di quanti affrontarono il martirio per Cristo.
Ricordiamoli tutti, in specie i tanti rimasti senza nome perché la
loro memoria avrebbe anche in un recente passato, infastidito le
amichevoli relazioni fra il nostro Paese e quelle realtà, governate
da spietate dittature.
Ricordiamoli oltre ogni divisione qui a Bari con l’aiuto
di San Nicola, sulla cui tomba Papa Pio XII riaccese nel 1936 una
lampada già accesa nel 1089 da Papa Urbano. Quella luce da sola non
sanerà ferite ancora aperte ma contribuirà certamente ad un più vivo
e sincero dialogo fra tutti i credenti.
Luigi
Antonio Fino
Testo
inviatoci dall'autore nel mese di
Gennaio
2011 |