Tra
mito e magia
di Achille
della Ragione
Una
delle più importanti mostre italiane dell’anno 2008, Salvator Rosa tra mito e
magia, si è tenuta a Napoli nel museo di Capodimonte. Sono stati visibili quasi cento dipinti,
oltre ad alcune raffinate incisioni, in una nuova elegante sede espositiva
intitolata al compianto Raffaello Causa.
La
rassegna, attesa da decenni, doveva interessare in un primo tempo solo il
tema a lui caro delle stregonerie, delle allegorie filosofiche e dei
ritratti, ma in seguito si è deciso di proporre anche alcuni significativi
esempi di quadri di paesaggio e di battaglia, generi nei quali la fama
dell’artista fu ampia e meritata.
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Battaglia Eroica,
Gallerie Fiorentine
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Sono
state inoltre esposte delle bambocciate ed alcuni dipinti di autori coevi, tra cui
uno splendido Ribera, per gli opportuni raffronti con la pittura napoletana
del tempo. E' stato così possibile, in alcuni spazi del secondo piano del museo,
dedicato al secolo d’oro, paragonare le battaglie dell’artista con quelle di Aniello Falcone e di Andrea De Lione e si
è potuto, forse, identificare
l’autore della grandiosa Mischia tra cavalieri ritenuta autografa dal
Causa e progredite le conoscenze sull’argomento, sospinta nel limbo degli
ignoti, anche se di grande valore.
Le tele
provenivano da musei italiani, europei e americani, come la Galleria d’Arte
Antica di Roma, la Galleria Palatina di Palazzo Pitti di Firenze, la
National Gallery di Londra, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, il
Metropolitan Museum di New York e da importanti collezioni private,
principalmente inglesi, difficilmente accessibili al grande pubblico.
Le opere
sono state selezionate da un comitato scientifico internazionale, composto
da Nicola Spinosa (presidente), Marco Chiarini, Brigitte Daprà, Sybille
Ebert-Schifferer, Helen Langdon, Wolfgang Prohaska, Aurora Spinosa e
Caterina Volpi, a conferma dell’autorevolezza delle attribuzioni dei
numerosi inediti, proposti per la prima volta.
Sulla
copertina del catalogo troneggia il logo della mostra rappresentato dal
celebre autoritratto della National Gallery che invita alla meditazione con
la sua celebre frase: “Aut tace aut loquere meliora silentio”
La
personalità dell’artista per essere apprezzata va collocata nel panorama
della pittura seicentesca e per chi volesse approfondire questo aspetto
consigliamo la consultazione del nostro saggio sull’argomento
http://www.guidecampania.com/...
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Autoritratto
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Salvator Rosa, eredita dal Ribera il vezzo per i tipi
volgari, l’amore per le espressioni tragiche e la gioia nel rappresentare le
sofferenze umane, mentre dal Falcone recepisce la simpatia per la macchietta
e la grande abilità nel dipingere le battaglie.
Presto
lascerà Napoli, che rimarrà sempre nel suo cuore e conserverà il suo spirito
partenopeo e la sua vena naturalistica, anche quando divenne una delle
maggiori personalità del Seicento italiano e l’eco della sua fama percorse
fino al Settecento tutta l’Europa.
Nel 1635
si trasferisce a Roma dove ha contatti con l’ambiente dei Bamboccianti, con
Claude Lorrain e Nicolas Poussin e comincia a cogliere del paesaggio il suo
aspetto pittoresco. Di questo periodo sono l’Erminia e Tancredi e la
Veduta di una baia conservati nella Galleria estense di Modena
e l’Incredulità di San Tommaso del museo civico di Viterbo.
Costretto a fuggire da Roma per le sue pungenti recite satiriche sotto la
maschera napoletana di Pascariello Formica, nel 1640 il Rosa si rifugiò a
Firenze sotto la protezione del cardinale De Medici, in un ambiente
culturale di scienziati e letterati nel quale si rinfocolarono le sue
ambizioni di umanista e filosofo stoico. Scrive le sue Satire e viene
influenzato da artisti come Jacques Callot e Filippo Napoletano. Il
paesaggio naturale, spoglio, selvaggio e carico di mistero, diventa scenario
per la rappresentazione idealizzata di episodi della vita di grandi filosofi
e di grandi personaggi storici, come nel Cincinnato chiamato alla
fattoria e nell’Alessandro e Diogene, entrambi nella
prestigiosa collezione Spencer ad Althorp o nella Selva dei
filosofi conservata a Firenze a Palazzo Pitti.
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Streghe ed incantesimi
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Contemporaneamente dipinge grandiose scene di battaglie che nella loro
monumentalità si risolvono anche esse in solenni rappresentazioni ideali.
Uno spirito epico anima le sue tele come una fiamma, una torrida febbre
percorre le sue composizioni di grandi dimensioni, dotate di un ricco
paesaggio con città sullo sfondo, ruderi di templi ed edifici lontani che
smorzano in parte la tragicità delle scene. Nelle mischie furibonde si
riesce a cogliere il senso di un dramma cosmico come quello della guerra.
Negli
ultimi anni del suo soggiorno fiorentino i suoi interessi artistici si
allargano ai temi esoterici della magia e della stregoneria, infatuato dalla
cultura magico filosofica di Giovan Battista Della Porta, ricordiamo
Streghe ed incantesimi, eseguito nel 1646, alla National Gallery, mentre
la sua pittura sempre più scura nei toni si concentra sulla rappresentazione
allegorica di temi morali ed idee filosofiche come nella Fortuna
conservata al Paul Getty museum di Malibu.
Animo
estroso e bizzoso il Rosa fu pittore e disegnatore, incisore e poeta,
letterato e polemista, teatrante ed erudito, un personaggio veramente
complesso, dal temperamento vivace ed animoso, insofferente della società
del suo tempo, sdegnoso del volere dei committenti, ma nello stesso tempo
ansioso di essere ammirato.
Tornato
a Roma nel 1649 è ambito da facoltosi committenti ed è richiesto dalle
maggiori corti europee principalmente per i suoi paesaggi, spesso animati da
vivaci figurine ed imitati fino alla fine del Settecento. Lo scenario è
spesso quello del sud con le sue rocce ed i suoi panorami aspri e severi,
resi con una certa dose di libertà espressiva e di fantasia, che non
permette mai di identificare con precisione i luoghi rappresentati. Il
fogliame è reso con grande accuratezza e spesso sono presenti le
caratteristiche torri di avvistamento disseminate lungo tutte le nostre
coste flagellate dalle incursioni dei saraceni. Le figure dei contadini sono
riprese nell’atto di animare la conversazione con una gestualità tipica
delle popolazioni meridionali. La scelta dei colori cupi ed ombrosi è una
costante della paesaggistica rosiana, che tende a rappresentare le sue scene
al tramonto, per rendere l’atmosfera più raccolta e più intimo il discorrere
dei personaggi.
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Musica
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Salvator
Rosa conservò sempre nel cuore la sua città natale, trasfondendone nelle sue
pitture il carattere gioioso, la proverbiale saggezza e tolleranza dei suoi
abitanti.
Nei suoi
paesaggi, nelle sue marine, nelle sue boscaglie vivo è il ricordo dei
panorami conosciuti ed ammirati da ragazzo, come pure la sua matrice
naturalistica funzionerà negli anni come imprinting culturale dal quale
l'artista non potrà mai prescindere.
Dopo
aver a lungo prediletto la bambocciata, il Rosa passò al paesaggio, di cui
fu promotore di uno schema ideale, subordinando l'idea del vero all'idea del
bello e richiedendo alla rappresentazione quiete e dignità espressiva. Egli
sceglieva alberi maestosi, montagne imponenti, laghi silenziosi, esaltando
la bellezza del paesaggio, nel quale inseriva volentieri piccoli personaggi
a piedi o a cavallo: pastori, mandriani, contadini.
La sua
adesione al paesaggio classico fu ad ogni modo non totalizzante, sia per la
presenza vivificante di figurine, sia per un certo gusto per il pittoresco
in grado di rompere il felice equilibrio del paesaggio ideale. I suoi lavori
risentono inoltre della sua visione stoica della realtà, perché non bisogna
dimenticare che il Rosa fu anche scrittore e poeta. La natura rappresentata
è selvaggia con radure boscose ed alberi dai rami e dai tronchi spezzati,
rocce scoscese, boschi ombrosi con aperture su brani di cielo azzurro.
La piena
scelta classicistica della sua pittura risale agli anni 1639 ‑ '40, quando
l'artista risiede a Firenze, ma conserva sempre vivo nella sua mente il
ricordo dei luoghi natii, di Capri e di Ischia, della costa puteolana come
di quella sorrentina.
Negli
anni successivi il Rosa si allontana gradualmente dalla visione classica
della natura a vantaggio d: forme rese pittoricisticamente in chiave
preromantica. «Non più il limpido cielo azzurro dei paesaggi ideali del
periodo toscano, ma uno spazio dilatato e percorso da una luce fluida e
suggestiva, nella quale le figure declamano una scena eroica» (Salerno).
Questo
nuovo tipo di paesaggio realizzato da Salvator Rosa resterà legato al suo
nome anche nel secolo successivo ed avrà un seguito affollatissimo di
seguaci, falsari ed imitatori.
Gli
ultimi anni della sua attività, dopo il 1660 il Rosa, anche per la pittura
di paesaggio, utilizzò molto l'acquaforte, realizzando una nuova maniera
monumentale, «lontana da quegli esiti così vibranti e a volte drammatici del
periodo precedente: la pennellata forte e materica cede il posto ad una
pittura trasparente e vibratile, attraverso tocchi nervosi, nulla cedendo al
pittoresco e alla rappresentazione descrittiva» (Pacelli).
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particolare Battaglia eroica
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Oltre al
paesaggio si dedicò a dipinti di soggetto filosofico e mitologico come l’Humana
fragilitas del Fitzwilliam museum di Cambridge e lo Spirito di
Samuele evocato davanti a Saul acquistato da Luigi XIV ed oggi al
Louvre. Negli ultimi anni della sua attività ritornò al paesaggio,
dipingendo una natura spoglia e solitaria come gli eremiti ed i filosofi che
l’abitavano.
La
maggior parte dei dipinti di Salvator Rosa è conservata dal Settecento in
Inghilterra, dove la sua fama giunse all’apice grazie ad una biografia
romanzata scritta nel 1824 da una fervente ammiratrice dell’artista Lady
Morgan. Oltre manica egli fu apprezzato più che in Italia e molti videro in
lui un precursore di Byron e del romantico ultra pittoresco. L’influsso del
pittore italiano sugli artisti inglesi e sulla pittura olandese di paesaggio
fu molto grande ed il paesaggio alla Salvator Rosa fu diffuso per molti anni
dopo la sua morte grazie ad una serie di epigoni ed imitatori ed acquistò il
carattere distintivo di un genere.
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ignoto battaglista
alla maniera di Salvator Rosa
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Salvator Rosa è senza dubbio il più prolifico disegnatore dell'età
barocca, con oltre 800 fogli, con tecniche e formati diversi, che ci sono
pervenuti. La sua produzione grafica è stata studiata in maniera esaustiva
da critici stranieri quali il Wallace ed il Mahoney, autore nel 1965 di un
ampio repertorio, che approfondisce in particolare i disegni eseguiti in
funzione dell'utilizzo per l'incisione, attività alla quale l'artista si
dedicò assiduamente nel settimo decennio del secolo e che è ben
rappresentata nella rassegna.
Il Rosa,
oltre a studi preliminari all'esecuzione di incisioni, soprattutto
acqueforti, realizzò anche numerosi disegni destinati ad essere venduti come
opere d'arte indipendenti, nei quali amò rievocare quei misteriosi
paesaggi, aspri di rocce e densi di vegetazione con alberi morenti ed i
classici rami spezzati, animati da figure di eremiti e da candide creature
di un insuperabile epos virgiliano.
Egli si
espresse con la più ampia libertà di esecuzione e pur riprendendo dal
Ribera alcuni elementi, quali la rapidità del tratto e la semplicità del
modellato, raggiunse apici sconosciuti al pur grande valenzano.
Nell'acquerello, tecnica prediletta dal Rosa, riuscì ad ottenere effetti di
luce di inusitata ampiezza; elevati livelli qualitativi gli erano altresì
congeniali attraverso l'uso della penna e del gessetto. Fecondo ed
apprezzato come incisore e come grafico, affidò alla diffusione dei suoi
fogli gran parte della sua fortuna, che fu pari alla sua fama di pittore.
L’artista come è noto non ebbe allievi diretti, ma si servì soltanto di
aiuti che sbozzavano le sue tele. Il De Dominici indica alcuni nomi come
seguaci, mentre il grande successo dell’artista giunse fino al secolo
successivo con un corteo di imitatori a volte anche molto modesti.
Oggi la
critica, pur se ha in parte ridimensionato la figura artistica di Salvator
Rosa, comunque gli riserva una posizione significativa nel panorama
figurativo non solo italiano ma europeo e la grande mostra napoletana
concorrerà a diffondere la sua conoscenza tra gli appassionati e gli
studiosi.
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Lucrezia
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La pagina è stata allestita con testo ed
immagini messici gentilmente a disposizione da Achille della
Ragione l'8 aprile 2008. |