Le Pagine di Storia

Romualdo II Guarna

di Astrid Filangieri

La pesca di cetacei in epoca normanna

 

Una insigne figura del tempo del re normanno Guglielmo II è Romualdo Guarna. La sua importanza non si limita soltanto alla storia di Salerno, ma può essere a ragione inserita nelle vicende della monarchia normanna per il suo intervento in molte vicende del regno e per l’impronta che ad esse diede.

Romualdo nacque a Salerno tra il 1110 e il 1120 da nobile famiglia di Longobardi, imparentata, secondo il Blois, con la casa regnante degli Altavilla. Secondo il De Renzi, era zio del re Guglielmo I.

Studiò medicina nella celebre Scuola, e prese gli ordini sacerdotali. Agli studi storici e liturgici unì quelli giuridici. Uomo di grande pietà, fu eletto vescovo della sua città nel 1153, alla morte di Guglielmo da Ravenna, suo predecessore, e resse quella cattedra per 28 anni. Nel frattempo non tralasciò di esercitare la professione di medico. Ugo Falcando lo chiama Virum in phisica probatissimum; Gilles de Corbeil, che lo conobbe a Salerno, lo dice in phisica egregium; nel 1166 la corte normanna lo volle a Palermo al capezzale di Guglielmo I morente; e Pietro di Blois, da lui curato e guarito, scrive: << Ebbe per me attenzioni non minori che se fossi stato suo signore o suo figlio>>.

Fissò le norme liturgiche della Chiesa Salernitana; compilò il nuovo Breviarium, e per devozione alla Vergine, scrisse un Opusculum de Annuntiatione Mariae Virginis; un Semestria seu scrupularii vel cerimoniale pro recitatione horarum et pro peculiaribus functionibus ecclesiae salernitane. Tale semestria fu adoperato come breviario dalla chiesa salernitana fino al 1586 quando l’arcivescovo Marsilio Colonna lo rifece sostituendolo in parte con quello romano.

Romualdo II ritenne opportuno introdurre la lingua greca in alcuni riti della Chiesa Salernitana. L’elemento orientale era senz’altro minoritario nella composizione culturale della città, ma, ad esempio, gli orientali ricordavano da tempo nella loro liturgia il principe e l’arcivescovo di Salerno. Nella lunetta sulla porta di destra dell’atrio del duomo, l’affresco raffigurante San Matteo ebbe a destra la didascalia in latino e a sinistra in greco; l’apostolo era così il patrono celeste degli uni e degli altri ed il gusto, la tradizione e lo stile dell’oriente furono temperati dalla vitalità degli artisti locali.

Completò il duomo nell’architettura e nella decorazione. Fece eseguire il pavimento di mosaico nel presbiterio e nel coro, l’arricchì, sulla sinistra dell’”iconostasi”, di un artistico pulpito che rappresenta, dal punto di vista architettonico, una decisiva innovazione dei modelli bizantini.

Fece costruire nuove chiese: quella di San Gregorio in Salerno, San Cataldo a Campagna, San Pietro ad Eboli e Mater Domini a Nocera.

Aumentò il patrimonio della mensa arcivescovile aggiungendo ai suoi beni il castello di Montecorvino nel 1167.

Ebbe parte attiva nella politica del Regno dimostrandosi operatore di pace ed abile diplomatico, trovandosi coinvolto, forse suo malgrado, forse per suo interesse, in intrighi cortigiani.

Nel 1155 Guglielmo I il Malo si trovava per il periodo della Pasqua a Salerno con Scitinio suo cancelliere. Papa Adriano IV gli fece pervenire, tramite ambasciatori, alcune lettere chiamandolo "signore della Sicilia" e non re. Guglielmo, irritato, mandò via gli ambasciatori ed ordinò al cancelliere di invadere gli Stati della Chiesa. Il Papa fomentò una rivolta nel Regno. Romualdo riuscì, in un primo momento, a mantenere Salerno fedele al re, ma quando l’impresa di Scitinio si rivelò un disastro, non poté impedire che la città insorgesse. La rivolta divampò da Palermo a Salerno e Guglielmo la domò con estrema ferocia. Adriano IV capì che gli conveniva accordarsi col re e così nel 1156 si giunse al trattato di Benevento, in cui Romualdo fu uno dei principali negoziatori.

A seguito della congiura (1160) contro Maione, ministro e consigliere del re, a cui alcuni feudatari salernitani avevano preso parte, Guglielmo I voleva la distruzione di Salerno, come era stato per Bari. Anche in quella occasione il Vescovo della città non mancò di intercedere, sebbene con scarsi risultati. La città fu salvata da un’improvvisa e provvidenziale tempesta di tale violenza che spaventò l’esercito e persino il re che decise di desistere dai suoi intenti[1].

Nel 1161 con i vescovi di Magonza e Siracusa, con Riccardo Palmer Eletto di Siracusa, si adopera per sedare una rivolta contro il re; nel 1162 su incarico dello stesso re si reca in Puglia per sedare i feudatari ribelli ai quali con impeto si rivolge con i più sprezzanti aggettivi.

Romualdo fu sempre in ottimi rapporti col Papa Alessandro III tanto che quando questi venne a Salerno nel 1165, sebbene degnamente ricevuto dalla cittadinanza, preferì dimorare nel palazzo dei Guarna.

Fu chiamato presso la corte di Palermo per curare il re, suo nipote. Ma se riuscì a guarirlo la prima volta, nulla potette la seconda. Egli stesso ci descrive: "In quel tempo re Guglielmo fece innalzare presso Palermo un palazzo abbastanza alto, costruito con ammirevole abilità tecnica, che chiamò Sisa, lo circondò di bei frutteti e di ameni giardini e lo rese piacevole con diverse fontane e peschiere. Il sovrano verso la Quaresima cominciò ad essere disturbato dalla dissenteria, malattia che per molto tempo non rivelò, ma a metà Quaresima, poiché il male aumentava ed egli credeva di dover morire,fece penitenza e si confessò, liberò alcuni carcerati, condonò l’esazione di denaro che aveva imposto alla Puglia e fece testamento. In esso nominò erede di tutto il regno il figlio maggiore Guglielmo, confermò all’altro figlio Enrico il principato di Capua, che gli aveva concesso,lasciò molto denaro da spendere per la salvezza della sua anima e ordinò che la regina Margherita sua moglie fosse tutrice e governatrice di tutto il regno e dei suoi figli. Infine dispose che Riccardo, eletto vescovo siracusano, e Matteo, maestro dei suoi notai, uomini senza dubbio esperti nel diritto, saggi e dotati di discrezione, fossero consiglieri e avessero familiarità con sua moglie e con i suoi figli. Poiché il male diveniva più insistente, ordinò che venisse convocato Romualdo arcivescovo salernitano, che era molto esperto nell’arte della medicina. Egli, giungendo da lui verso Pasqua, fu accolto con onore e gli prescrisse molti rimedi salutari. Tuttavia il sovrano, confidando nell’autorevolezza del suo ingegno, usava solo i medicamenti che gli sembravano opportuni. Perciò avvenne che il sabato precedente l’ottava di Pasqua, lo assalì la febbre emitritea ed intensificandosi la dissenteria, egli morì e fu sepolto nella cappella di San Pietro nel suo palazzo. Re Guglielmo (I) morì a 46 anni, nell’anno 1166, indizione 14, il settimo giorno del mese di maggio, circa alle ore 15, dopo aver regnato con suo padre e poi da solo per 15 anni e 10 mesi".

Quanto fosse reputato esperto in medicina lo può testimoniare l’episodio riportato da Ugone Falcando, secondo cui l’arcivescovo salernitano fu incaricato di una delicata perizia su un sospetto di avvelenamento.

Nel 1166 morto Guglielmo I sua moglie Margherita di Navarra assunse la reggenza in nome del piccolo Guglielmo II. Ma la regina cedette alle manovre di Stefano, suo parente venuto dalla Francia, che tenne come suo favorito e nominò Arcivescovo di Palermo e Gran Cancelliere. Ciò suscitò scontenti con conseguenti congiure e sommosse che costrinsero Stefano a fuggire [2].

Margherita dovette, allora, condividere la carica con il Consiglio dei Dieci tra i quali fecero parte Romualdo Guarna, Matteo d’Aiello, altro salernitano, già notaio della corona con Guglielmo I, e Gualtiero d’Offamil, precettore inglese del giovane re. Romualdo sperava di essere nominato arcivescovo di Palermo, al posto di Stefano, (motivo per cui si sarebbe trovato invischiato nella congiura), ma Margherita gli preferì l’Offamil.

Nel 1167 Romualdo incorona Guglielmo II re di Sicilia nella cattedrale di Palermo. Il Consiglio dei Dieci fu sciolto nel 1172, quando Guglielmo raggiunse la maggiore età. Il re tenne presso di sé Matteo d’Aiello e Gualtiero d’Offamil, mentre Romualdo tornò a Salerno.

Ma il vescovo di Salerno non uscì dalla vita politica del regno, anzi visse negli anni successivi i momenti più importanti della sua attività politica

Nel 1177 rappresentò il suo re al congresso di Venezia, convocato dopo la battaglia di Legnano, per stabilire la pace tra Federico Barbarossa e la Lega Lombarda. Romualdo ne fa un’ampia descrizione nel suo Chronicon lasciandoci testimonianza di una pagina di storia in cui fu protagonista non tanto lui quanto lo stesso Mezzogiorno che ebbe nel vescovo salernitano il rappresentante delle libertà comunali anche fuori i confini del regno. Dal Chronicon si possono dedurre quelle che erano le esigenze, i punti di vista, la mentalità dei Comuni Lombardi e dei loro rappresentanti al congresso. Quest’opera “meridionale” risulta un caso inconsueto di documento sulla storia della civiltà dei comuni padani. Per meglio significare l’importanza di questi annali, riguardo le vicende in esso raccontate, riportiamo il titolo ed alcuni righi dell’introduzione che G. Antenna fa ad uno studio del Chronicon di Romualdo:

Romualdo Salernitano fonte per la storia politica delle città di Lombardia

Risulta inconsueto che una fonte storica dell’Italia Meridionale possa fornire ampie e precise testimonianze per la storia della civiltà comunale padana e soprattutto per la ricostruzione dei modi di ragionare politici di alcuni tra i massimi esponenti della Lega lombarda, in un periodo particolarmente delicato della storia dei Comuni italiani. […] La sua testimonianza, relativa all’ultima parte dell’opera, rimane dunque eccezionale per quanto riguarda la storia dei Comuni di Lombardia dalla distruzione di Milano fino alle premesse della pace di Costanza

Romualdo, giunto a Venezia con una flotta, subito si accorse che il Congresso stava per fallire già sul nascere perché il Doge Sebastiano Ziani voleva consentire allo sconfitto Barbarossa di entrare nella città senza che questi avesse dato le garanzie di accettazione del trattato di pace. I rappresentanti della Lega, temendo un tranello che sovvertisse i risultati di Legnano, si allontarono da Venezia; lo stesso Pontefice si preparava a lasciare la città, quando Romualdo andò al palazzo ducale per affrontare il Doge prospettandogli gravissime rappresaglie anche a danno dei commercianti veneziani operanti lungo le coste del regno di Sicilia: "Non verbis, sed operibus vindicare curabimus". Assicurò il Papa che la flotta normanna era pronta a difenderlo e diede ordine alle navi di levare le ancore e di tenersi pronti ad ogni evenienza. A seguito di tali minacce il Doge avvertì Federico che non lo avrebbe lasciato entrare in città se prima non avesse accettato le condizioni di pace. Alessandro III fece richiamare i plenipotenziari della Lega Lombarda fermi a Treviso e il congresso ebbe inizio. A riconoscimento dell’opera da lui avuta, il Papa volle che al congresso Romualdo occupasse un posto supra Diaconos Cardinales e concesse a lui ed i suoi successori usum et dignitatem portandae Crucis per civitatem et totom suam parrochiam. Il privilegio della Croce era uno dei più singolari e prestigiosi che un Pontefice potesse concedere ad un vescovo nel Medioevo. L’Imperatore fu accolto dal Papa dinanzi al quale reiecto pallio, ad pedes se extenso corpore inclinavit. Il giorno 1 di agosto si ratificava il trattato e l’Imperatore giurò <<pace alla Chiesa, all’illustre Re di Sicilia e ai Lombardi>>. Volle ricevere Romualdo nel palazzo ducale, invitandolo a parlare seduto, come si conveniva ad un sovrano. Durante gli incontri di Venezia si decise anche del matrimonio tra Enrico, figlio dell’imperatore Federico, e Costanza d’Altavilla, zia del re Guglielmo.

Guarna a Palermo fu accolto con grandi acclamazioni. Il trattato fu trascritto in Palermo ne pacis factae memoriam longevitas temporis aboleret e l’Imperatore fece comunicare dai suoi ambasciatori che dovesse essere spedita una copia anche a Salerno a Romualdo. Purtroppo, durante il viaggio, gli ambasciatori di Federico furono aggrediti a Lagonegro e lo scrigno col documento andò perduto. Circa questo episodio Romualdo racconta che il corteo degli ambasciatori fu aggredito da contadini del luogo che rubarono quanto i diplomatici portavano con sé. Nella colluttazione andò strappata la bolla del re. Gli aggrediti, giunti a Salerno, protestarono con Romualdo, il quale avvertì subito il re. Questi diede ordine che tutti i colpevoli fossero stati immediatamente arrestati e tutti furono crocifissi; uno per ogni paese dei dintorni.

Nel 1179 intervenne al concilio lateranense in cui furono condannati gli Albigesi.

L’opera più importante del Guarna è il Chronicon sive annales in cui si rivela ben informato della storia locale e buon conoscitore della storia generale. Il suo obiettivo era un lavoro di ampio respiro, iniziando il racconto dalla creazione del mondo. E se oggi la parte generale che va fino al 839 d.C. non è di rilevanza storica è però indicazione che l’autore aveva compiuto studi di storia generale e ne scriveva per renderla nota ai contemporanei. Altro indizio che i suoi studi non si fermassero ad un livello comune, ce lo dà il fatto che nei suoi scritti tenne presenti le opere di S.Girolamo, di S. Isidoro e di Paolo Diacono. Nel racconto degli avvenimenti successivi all’839, egli usa la forma annalistica e il lavoro acquista una certa importanza storica.

Si servì di tutto il materiale storico esistente negli archivi di Salerno, di Benevento, di Montecassino. Si avvalse anche degli “Annales Beneventanes” (nella loro seconda o terza edizione), del “Chronicon Cavense”, dell’ Anonymus Barensis e del Chronicon Monasterii Casinensis di Leone Ostiense e di Pietro Diacono. Ma la sua fonte preferita è il Chronicon di Lupo Protospata di cui riprodusse molte parti. E’ importante notare che, pur copiando da quella Cronaca, egli non trascurò mai di correggere alcuni tratti e di dare spesso il giusto insegnamento. Per questo rileviamo la notizia data sull’assedio di Troia, lasciata, invece, nel silenzio, dall’ Arndt forse per non sminuire la gloria dell’imperatore. Dei Normanni del principato di Salerno ci offre notizie e dati che non compaiono altrove. Per esempio solo Romualdo Guarna racconta come nel 1105 la città di Monte S.Angelo con tutto il castello cadde dopo lungo assedio in mano del duca Ruggero, che più tardi si impadronì di Canosa. Da lui apprendiamo la data della morte della duchessa Ala (o Adala) sposa di Ruggero; e del matrimonio del duca Guglielmo con Gaitelgrima, figlia del conte di Airola (d’Alife).  E ci narra come lo stesso Duca giurò fedeltà al Papa Gelasio II nel 1118 a Gaeta in cambio dell’ investitura del principato di Salerno. Allo stesso modo notiamo l’autore ben a conoscenza delle vicende storiche di Sicilia dalla conquista del Gran Conte Ruggiero alla fondazione del Regno.

Nella trattazione degli avvenimenti cui prese direttamente parte non è del tutto imparziale, come si può osservare confrontando sia con il lavoro del Falcaldo, sia notando come sorvola del tutto sugli intrighi, in cui pure fu attore, nel periodo della reggenza. Mette forse troppo in rilievo il suo intervento al congresso di Venezia. Lo Chalandon osserva che però quando parla dei suoi nemici osserva una giusta misura, e merita credito nei rapporti che fa di fatti di politica estera, specie quando non si tratti di persone a lui ostili o a lui legate da interessi di partito.

Romualdo Guarna chiuse il suo lavoro con poche notizie del 1178.

Morì il 1° aprile 1182.


Bibliografia

  • Antonio Braca; Guida alla cattedrale di San Matteo e alle sue opere d’arte; EdizioniGutenberg.

  • A. Carucci; I mosaici salernitani nella storia e nell’arte.

  • C. Carucci; La Provincia di Salerno, dai tempi più remoti al tramonto della fortuna normanna; Biblosteca

  • Italo Gallo, Luigi Troisi; Salerno, profilo storico cronologico; Palladio

  • Prefazione di C.A.Garufi al Chronicon di Romualdo Guarna in Raccolta degli storici italiani dal cinquecento al millecinquecento. Casa editrice S. Lapi

  • Schola Salernitana, Studi e Testi; Romualdo II Guarna, Chronicon, a cura di Cinzia Sonetti; Avagliano editore


Note

[1] La tempesta si ritenne un miracolo attribuito a San Matteo protettore della città.

[2] L’episodio di cui riferisce Falcando, e che vede Romualdo chiamato a far da perito, riguarda proprio una delle tante vicende che si verificarono causa le lotte e le opposizioni tra il Cancelliere Stefano e il notaio salernitano d’Aiello. Stefano voleva allontanare in ogni modo dalla corte i suoi avversari, in particolar modo gli uomini che più erano stati fedeli a Guglielmo I. Tra questi Matteo d’Aiello ed il medico Salerno. Stefano accusò quest’ultimo  di veneficio su mandato del d’Aiello.

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