Premessa
«Non c’è nulla di peggio che scrivere una autobiografia ritenendo di
poter riuscire ad essere “interessante”.
Dei fatti tuoi nessuno se ne frega salvo quando dalle parole si
sprigionano i pochi e radi bagliori per mezzo dei quali si sviluppa
la specularità tra te e l’altro da te che chiami pomposamente
“lettore”.
La simmetria speculare in tal caso determina la partecipazione, fa
sorgere il senso di condivisione quando l’altro da te individua le
affinità, l’universalità di certe sensazioni, l’insorgere di certi
sentimenti e, non ultima, la comunione all’etica che li sostiene.
In questa forma la narrazione che ne deriva non è più “intima” ma
spazia nel fluire degli accadimenti che formano la “vicenda umana “e
può ricadere nel minuscolo reliquato del tuo vissuto ove si possono
accomunare sensazioni di entità differenti, di individui distinti.
Può così scaturire un certo interesse alla scrittura riferita a fasi
di vita rilette con questa necessaria larghezza di orizzonti.
Sia ben chiaro che non sempre si riesce nell’intento! Nel migliore
dei casi solo una percentuale di quanto si scrive, sulla base del
ricordo e della rielaborazione ragionata, porta alla simmetria
speculare di cui innanzi. E poi per quanti soggetti? Già perché il
lettore non esiste! Esistono i lettori con le loro idee e con il
fardello delle loro vicende dissimili, memorabili, misere, banali,
singolari, inimmaginabili. Insomma il superamento dello scoglio
della disattenzione e l’insorgere dell’interesse per quanto viene
offerto in lettura è un’ardua faccenda che solo pochi bravi
scrittori sanno superare. Alcuni fra i grandi nomi della Letteratura
contemporanea si vantano di coinvolgere il lettore sin dalla prima
pagina e di non far diminuire l’attenzione anzi di accrescerne il
valore con il dispositivo “dell’agnizione”, dell’attesa spasmodica e
del palesamento improvviso di figure che modificano le premesso.
Tutto ciò viene spesso teorizzato con compiacimento dopo il successo
ottenuto con un proprio lavoro. Esempi ormai arcinoti sono “Il Nome
della Rosa” di Umberto Eco oppure “I Pilastri della Terra” di Ken
Follet. Ambedue le vicende appaiono apparentemente inserite in un
ambito storico circoscritto con figure umane che “sembra di
conoscere”, tanto attentamente se ne costruisce la personalità, e
invece stiamo leggendo romanzi ai quali la Storia fornisce un
contributo significativo per quell’aspetto che oggi definiremmo in
termini cine-televisivi di “location” occorrente allo sviluppo del
racconto. Ma il crescendo di attenzione da parte del “lettore” verso
un finale mai palesato e nemmeno intuibile proprio in forza della
quantità di mistero che viene creata intorno al personaggio o ai
personaggi che dominano la vicenda raccontata, si esplica ad un
tratto con l’intuizione che lo “gliommero”, così come accadeva nelle
Atellane, si sta per sgomitolare del tutto e sta per apparire una
verità che non era possibile intuire.
Un altro artificio, nemmeno tanto misterioso, risiede nella scelta
felice dello “incipit” che, come bacchetta magica, dovrebbe generare
l’immediata attenzione verso lo scritto e, per così dire, incollare
alla poltrona il lettore che non si stancherà e procederà alla
lettura del testo con compulsiva rapidità.
Ricordo l’indimenticabile: “Questa notte ho sognato di ritornare a
Menderly” che apriva il romanzo “Rebecca la Prima moglie” di Daphne
du Maurier; oppure “i bambini vennero ad assistere all’impiccagione.
“Era ancora buio…” che apre “I Pilastri della terra” di Follett. Ed
ancora: “Il 16 agosto 1968 mi fu messo tra le mani un libro dovuto
alla penna di tale abate Vallet, “le
manuscript de Dom Adson de Melk, traduit en francais d’apres
l’èdition de Dom J. Mabillon (Aux Presses de L’Abbaye de la Source,
Paris)”, apertura de Il Nome Della Rosa di Umberto Eco.
Ebbene la forza di questo genere letterario, degli accorgimenti
linguistici e sintattici adottati, sta nel aver creato una simmetria
speculare adatta a molti degli individui coinvolti nella lettura che
diventa tanto appassionante da non permettere deroghe. L’imperativo
è leggere e anche di fretta! Bisogna, infatti, cercare di
comprendere dove andrà a finire l’avventura avviata dallo scrittore
e quanto riuscirà a coinvolgere l’animo del lettore».
Ho ritrovato questo brano di
serena e pacata analisi letteraria, risalente a qualche anno fa, non
dico quanti ma potrete intuirlo dai testi citati. Ebbene la crisi
nel settore dell’Editoria, grave forse più di quella finanziaria,
non vede soluzioni a breve termine perché i “lettori” innanzi
teorizzati non esistono più. I pochi rimasti si destreggiano in una
indeterminazione delle scelte, tra scarsità di testi e una miriade
di titoli di materiale invenduto accatastato in poche librerie
consortili che appaiono, più che luoghi di Cultura, Opifici di
vendita al pari dei Supermarket del settore alimentare. Materiale
disponibile spesso astruso, più spesso sciatto, ancor più sconcio e
pieno di porcherie gratuite inserite per destare nel lettore non l’agnizione
ma piuttosto la reazione erotica alle più volgari sconcezze, alle
descrizioni più crude di compiaciuta scurrilità.
La riforma della Cultura passa
anche dalla rigenerazione di questi siti ove non c’è alcun angolo
per sfogliare e riflettere su una scelta, su un brano, su di una
poesia immortale. Non c’è un addetto che odori un pochino di cultura
che sappia dare un consiglio!
Non si intuisce una possibile
soluzione, una via di ripresa che possa ridare alla cultura
tramandata, al sapere distillato dalla pagina scritta, la giusta
dimensione. La globalizzazione del web
(World Wide Web..
la ragnatela grande quanto il Mondo) ha reso piatto
ogni approccio culturale. La definizione di “astruso” è la medesima
sia in italiano che in ungherese. Wikipedia è strumento spesso
fallace eppure diffuso in ogni sito attivo del web. Dicevano i
tecnici IBM di qualche anno fa: “Abbiamo ampliato con la informatica
le frontiere della nostra intelligenza” ma a conti fatti abbiamo
mortificato la iniziativa del singolo che non si strugge come i
padri sulla strada tortuosa della conoscenza.
È un bel dire che siamo
migliori. I romanzi che continuano ad essere sfornati qui da noi a
decine al giorno sono il prodotto di questo passaggio epocale non
solo perché non li leggerà che uno sparuto nucleo di ritardati
ambientali, di sorpassati, ma perché i contenuti, se non muterà
qualcosa, risulteranno sempre più sciatti e scurrili.
Gherardo Mengoni
Articolo
inviato dall'autore al Portale del Sud nel mese di novembre 2014 |