In quest’anno di celebrazioni per il
centocinquantenario dell’Unità d’Italia abbiamo assistito ad una
fioritura di pubblicazioni che, dopo molti anni di silenzio, hanno
cercato di sollevare a livello popolare il velo della retorica
risorgimentale. Si tratta in molti casi di opere fortemente di parte ed
a volte slegate da una vera e propria indagine storica e sociale. Il
saggio di Romano invece è, da questo punto di vista, molto puntuale e
corredato da ricchissima bibliografia e da interessanti annotazioni, che
intendono spiegare le ragioni della crisi del Regno borbonico senza
cadere nel solito rinfaccio rivendicativo di stampo leghista. Romano
infatti ridimensiona drasticamente il comportamento dei leghisti il cui
unico scopo è imporre il federalismo che va solo a tutela dei loro
interessi e contemporaneamente apre gli occhi al sud in una prospettiva
che dovrebbe ricollocarlo nel suo centro naturale: il Mediterraneo.
Nel suo “Dal Regno delle Due Sicilie al declino del
Sud”, Romano denuncia ancora una volta il modo violento con cui si
compì l'unificazione del nostro paese ai danni del popolo meridionale e
gli effetti deleteri che noi meridionali e siciliani abbiamo patito e
continuiamo a patire. Romano tuttavia non invoca uno sterile
revanscismo, o la nostalgia di un tempo ormai passato e neppure
rivendica i famosi 'primati' di un sistema sull'altro stando ben attento
a non cadere nella contrapposizione Nord-Sud, che tanto ha favorito
l’estremismo e il razzismo del leghismo padano nei confronti del
meridione .
Romano comincia il suo libro sostenendo la tesi che lo
spirito italiano è genetico - ma su questo io ho qualche perplessità per
via dei tanti mescolamenti genetici dovuti allo schiavismo e alle
ripetute invasioni di popoli diversi - e linguistico e affonda le sue
radici nella romanità, nella cultura greco-latina, nel medioevo
cristiano ed è ben anteriore alla nascita dello stato unitario
savoiardo.
Ciò non gli impedisce tuttavia, dati alla mano, di
ricordare il benessere del Regno delle Due Sicilie nel momento in cui
viene barbaramente conquistato e il suo scientifico annientamento. Un
Regno che si avviava ad essere, e in molti campi come la Marina lo era,
uno fra i maggiori d'Europa se solo - aggiungo io – il suo Re avesse
avuto il coraggio di recepire le istanze di novità che spiravano in
tutta Europa.
Occorre sgombrare la storia del Risorgimento
dall'oleografia demagogica, sostiene Romano, ma occorre anche ricordare
che le grandi masse furono estranee a questo movimento. Il Regno di
Francesco II fu rapinato da un manipolo di uomini, a cui si aggregarono
i cosiddetti “picciotti” di estrazione mafiosa, grazie ai tradimenti e
alla corruzione dei capi militari, di aristocratici e politici .
Nel caso dell’Italia unita il liberalismo, figlio dei
rivolgimenti culturali e politici iniziati nella seconda metà del
settecento, ha creato le basi di potere per classi dirigenti senza
scrupoli, votate agli affari, alle prevaricazioni, ai tradimenti. Dunque
non è stata solo colpa di Garibaldi, di Cavour o di Vittorio Emanuele la
caduta del Regno delle due Sicilie, ma bisogna inquadrarla in quei
meccanismi intrinseci che stavano trasformando l’Europa. Non
diversamente da quanto sta avvenendo oggi, con la spregiudicatezza delle
speculazioni finanziarie senza patria e senza volto utile solo a
tutelare gli interessi di una ristretta parte del paese che in nome
della “libertà” s’è appropriata del potere finanziario e lo difende in
tutti i modi.
Fara
Misuraca
maggio 2011
Tommaso Romano è un politico, scrittore e poeta residente a Palermo. Ha
insegnato in alcune Università del Belgio, Inghilterra e Grecia come
Visiting Professor. È cultore di Antropologia nell’Università di
Palermo. È stato per molti anni docente di Scienze della Comunicazione
all’Istituto Superiore di Giornalismo e di Estetica all’Accademia di
Belle Arti. Attualmente insegna Filosofia e Scienze dell'educazione. È
il fondatore della casa editrice Thule di Palermo. |