Non c’è alcuna profezia o teoria economica che spieghi
in maniera chiara ed esaustiva perché tanti Paesi così diversi del
Nord Africa siano stati infiammati, in questi ultimi mesi, da
impetuose rivolte di piazza contro decennali regimi.
È di questi giorni anche il malcontento degli
Indignados spagnoli che
protestano contro lo stato di precarietà che attanaglia le vite di
molti giovani iberici … e non solo.
Nell’imminenza di questa estate, più che
mai Mediterranea, provo a riflettere sul possibile ruolo che
l’identità meridionale giocherà nel prossimo futuro di queste
speculari sponde.
Facciamo un passo indietro: cosa si intende per
identità meridionale?
L’identità si qualifica in una forte consapevolezza di
tutti quei fattori (esogeni ed endogeni, materiali ed immateriali)
che ci vengono consegnati dalla geografia e dalla storia, dal
contesto naturale e dall’accumulo delle esperienze culturali, e che
indicano non l’esistenza di un’unica e compatta “civiltà
meridionale”, ma piuttosto di un complesso di esperienze maturate
nei diversi luoghi del tempo, e sedimentatesi in altrettante
occasioni della memoria. L’esperienza storica, invece, ci insegna
che spesso si commette l’errore di arroccarsi in una mera
esaltazione identitaria, o peggio ancora, si impone “la propria
cultura” come egemone, dimenticandosi di volgere lo sguardo altrove,
fuori dai nostri confini e dai nostri stereotipi.
Compito di tutti, per meglio dire esigenza etica
comune, è quella di non piegarsi ad una logica di “pensiero
unico”, ma impegnarsi invece nella costruzione di un’identità aperta
al mondo, e nel caso meridionale protesa al Mediterraneo.
È da questo insieme plurale, eppure fortemente
unificato da una comune dimensione culturale e simbolica, che nasce
l’idea viva di un’identità meridionale. Un’idea mobile, non
aggrappata alla contemplazione di sé (e della propria presunta
superiorità, magari nell’arrangiarsi, nell’essere furbi, nel
trasgredire, ecc.) né protesa alla rincorsa di un’imitazione a tutti
i costi di modelli esterni, e alla ricerca di un appannamento delle
proprie caratteristiche costitutive (Franco Cassano docet !).
L’identità aperta e positiva di cui il
Mezzogiorno oggi può giovarsi è quella che riordina le esperienze
del proprio passato, da quelle più lontane a quelle più recenti,
ricostruendole attorno a un insieme di luoghi fisici e simbolici.
Un’identità plurale quindi: non omogenea, monolitica, “meridionale”;
piuttosto articolata, riconoscibile, ma non univoca, fatta di
condivisioni e differenze.
Ecco un pensiero dalle forti radici “locali”, ma non
“localistico”: un pensiero che non si vergogna delle proprie
origini, che tiene ben piantati i piedi nella sua terra, ma non
rinuncia a rivolgere lo sguardo al di là di sé, curioso del mondo.
Un po’ come sosteneva Corrado Alvaro in Gente in Aspromonte,
quando scrisse: “È una civiltà che scompare, e su di essa non c’è da
piangere, ma bisogna trarre, chi ci è nato, il maggior numero di
memorie”.
L’identità aperta diventa così un potente fattore di
civicness (senso civico), in quanto orienta e stabilizza le
direzioni di un governo del territorio. Essa sostiene la creazione
di nuovi strumenti di valutazione delle politiche. Rafforza, in una
sola espressione, il capitale sociale necessario per lo sviluppo.
Sviluppo inteso non come mera crescita economica, mercato selvaggio,
omologazione e massimizzazione dei profitti, quanto piuttosto come
attuazione di “sviluppi territoriali integrati” che
rispettino gli equilibri dinamici dei singoli territori e le
peculiarità delle rispettive comunità. Nel caso del
Mezzogiorno questo tipo di sviluppo passa attraverso una
valorizzazione sistemica delle risorse locali e una fattiva
collaborazione ed integrazione con i popoli del Mediterraneo. Tutto
il meridione d’Italia è chiamato ad essere in prima linea nel
riaffermare l’importanza mondiale del Mediterraneo e immaginarsi
come la porta d’Europa.
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Fontanelle, Santa Cesarea |
Si può restare Sud scoprendosi anche Nord e Ovest di
altri. Mantenere i fondamentali legami con l’Unione Europea
moltiplicando anche quelli balcanici. Certo è difficilissimo. Perché
difficile è usare risorse differenziate in modo interconnesso, è
arduo iniziare laddove non c’è esperienza passata; le fasi più dure
dei processi di sviluppo sono quelle iniziali: far nascere imprese
dove sono poche, suscitare fiducia, incrociare risorse, integrare
competenze, realizzare politiche coerenti. Ogni facile ottimismo va
bandito: serve un impegno solidale di tutta la popolazione,
non solo meridionale. È doveroso per tutti noi avere chiaro che i
problemi sociali ed economici che investono le regioni meridionali
non riguardano solo una parte della nostra penisola bensì tutta la
nazione e l’Europa intera.
Concludendo, per intraprendere un corretta crescita
economica, sociale e politica del Meridione d’Italia è auspicabile
che si impari a sfruttare questo universo composito che il
Mezzogiorno rappresenta. Bene sarebbe se si provasse a sviluppare
pratiche di solidarietà intragenerazionale e
intergenerazionale, che sostengano e preservino questo
territorio per le future generazioni; un territorio, come suggeriva
Alberto Magnaghi, che venga eletto ad opera d’arte da preservare e
mai più un asino da soma da sfruttare.
Articolo
inviato dall'autore al Portale del Sud nel mese di giugno 2011 (http://www.ciclostyle.it).
Foto di Federica Ricchiuto |