Il periodo precedente l’unità italiana viene spesso indicato come “Risorgimento in Sicilia”, ed è ritenuto un periodo di transizione e preparatorio che portò all’annessione del 1860. Ma in realtà, se vogliamo fare una corretta, ma pur sempre soggettiva, revisione della storia si può arrivare a sostenere che per la Sicilia l’unità italiana ebbe come risultato la disgregazione di un processo di sviluppo economico e sociale, già pervenuto a buoni risultati. Quella della Sicilia preunitaria non è soltanto la storia di una dinastia ma è soprattutto la storia di una società, una società non inerte, statica come ci è stata rappresentata, anche da illustri scrittori come Tomasi di Lampedusa o Leonardo Sciascia, ma di una società in movimento, partecipe né più e né meno come le altre regioni d’Italia e d’Europa delle trasformazioni avvenute nel corso del XVIII e XIX secolo, che portarono alla transizione dalla feudalità al mondo borghese. Per semplicità stabiliamo due date tra le quali questo processo può essere analizzato: il trattato di Utrecht del 1713 e lo sbarco di Garibaldi a Marsala nel 1860.
Un ruolo importante in questo periodo lo ha svolto la dinastia borbonica di ramo napoletano ed il regime da essa instaurato, che abbraccia ben 125 anni, e la coincidenza del regno meridionale borbonico con l’età delle rivoluzioni borghesi in Occidente.
La monarchia meridionale di Carlo Borbone sorse nel 1734 quando in seguito ad una guerra il Napoletano e la Sicilia furono strappati all’Austria. Questo fu sicuramente un fatto positivo e forse il più importante di tutto il settecento in quanto dava al Mezzogiorno della penisola italiana ed alla Sicilia lo “status” di paese indipendente.
I Borbone di Napoli erano principi italiani, eccezion fatta per Carlo italiano solo per metà.
Il loro governo fu per lungo tempo inspirato al principio della nazionalità italiana e impegnato a darsi una struttura giuridica e statuale moderna in grado di affrontare e gestire i cambiamenti sociali dell’epoca. I Borbone determinarono l’abbattimento del feudalesimo, grazie al loro assolutismo; introdussero un sistema d’amministrazione civile e giudiziario moderno; avviarono uno sviluppo industriale notevole, in relazione ai tempi. Fu grazie alla politica borbonica che Napoli divenne una capitale di prestigio a livello europeo. Personaggi come Gaetano Filangieri, Bernardo Tanucci, Antonio Genovesi, Domenico Caracciolo a Napoli o come Agostino De Cosmi, Tommaso Natale, Paolo Balsamo, Rosario Gregorio in Sicilia possono far emergere il loro talento e svolgere la loro opera sia culturale che politica. Dopo la rivoluzione francese, purtroppo, il sistema borbonico dimostrò la sua incapacità di accogliere le nuove istanze costituzionali e borghesi e soprattutto, e questo fu un grande errore, non fu capace di accogliere le istanze di autonomia della Sicilia che da regno indipendente si trovò, di colpo, regno gregario di Napoli. Ripetutamente concessero e ritirarono la costituzione e ciò non li rese simpatici ai siciliani.
A questo punto per capire come si è verificata la dissoluzione dello stato borbonico e l’affermazione dello stato sabaudo dovremmo fare, brevemente, qualche considerazione. I due stati erano contemporanei ed anche territorialmente erano simili avendo entrambi domini in terra ferma e domini insulari. Le differenze tra i due stati non sono tanto da ricercare nell’economia, nella politica o nella cultura, ché lo stato meridionale non era certo da meno, anzi! Ma nella capacità che il regno settentrionale ebbe nell’affermare l’egemonia peninsulare sulla Sardegna e nella lacerazione interna tra Napoli e Sicilia: la società sarda accettava supinamente la supremazia piemontese, la Sicilia no, a torto o a ragione rifiutava l’egemonia partenopea. Se appena ci pensiamo, questo diverso atteggiamento se non giustificabile è comprensibile. La Sardegna non aveva alle spalle una storia ed un regno importanti, non poteva rivendicare né un Ruggero né un Federico, la Sicilia sì. La Sicilia aveva avuto o creduto di avere un ruolo storico e politico influente, nel bene o nel male, in tutta Europa, la Sardegna no.
Il risultato di tale situazione è che l’atteggiamento del “baronaggio” siciliano è uno se non il principale artefice della dissoluzione della monarchia borbonica. La Sicilia non si identifica nei Borbone e nel processo di consolidamento e sviluppo da essi avviato ed è sempre protagonista di tutte le rotture rivoluzionarie a partire da quella del 1812, a quella del 1820, del 1837, del 1848 ed infine del 1860.
Proprio per l’importanza geopolitica dell’Isola la questione siciliana non è purtroppo solo un problema interno ma assume caratteristiche internazionali. Lord Bentinck, fu inviato in Sicilia non per sostenere il re ma i suoi oppositori e la Sicilia era ben cosciente di essere una pedina importante della politica internazionale; ha cercato di usare a proprio vantaggio questo stato di cose ma i Borbone di Napoli, nell’ultimo periodo del loro regno, non l’hanno capito. Diversamente da quanto succedeva ai tempi di Carlo III e della reggenza dell’illuminato Tanucci, dopo l’accorpamento nel regno Due Sicilie nessuno è stato capace di sanare i dissidi interni.
Sul piano diplomatico internazionale erano state proposte diverse soluzioni per la “questione italiana” le più importanti delle quali prevedevano una federazione con a capo il Papa o la formazione di due Stati italiani (settentrionale e meridionale) distinti ma in collaborazione fra loro. Quest’ultima ipotesi rimase in piedi fino alla vigilia dello sbarco a Marsala, quando la Sicilia, spiazzando tutti sposò, pentendosene poi amaramente, la causa sabauda.
A questo periodo che all’inizio abbiamo chiamato “Risorgimento siciliano” va fatta risalire la nascita del separatismo e dell’indipendentismo sfociato poi nell’autonomia. |