Pensiero Meridiano

 

Quale Meridionalismo?

di Benito Marziano

È da tempo che seguo il dibattito fra meridionalisti facenti riferimento a gruppi, giornali, siti on-line (…) di cominciare ad avviare un processo di unificazione di questi vari gruppi (…). Primi passi, questi, per poi cominciare a darsi una vera e propria organizzazione. Ora, (…) mi rimangono tantissimi punti oscuri, specialmente in relazione agli obiettivi che si dovrebbe dare il movimento, se movimento deve essere, a cui, immagino, vorreste dare vita, e le modalità per il raggiungimento di tali obiettivi. Pertanto, (…) alcune mie considerazioni desidererei esporle, e soprattutto alcune domande allo scopo di meglio capire. (…) In merito alle considerazioni, la prima che mi viene di fare riguarda una concezione che mi pare idilliaca su quello che fu il regno delle Due Sicilie, che, mi sembra, non risponda assolutamente alla realtà storica. Dipingere (…) quello come “stato ideale”, o che a diventarlo si stesse avviando, è un che di fantasioso smentito da qualsiasi indagine storica. Anche a tener conto che è vero che si deve necessariamente guardare indietro per scegliere il percorso che si vuole intraprendere, non si può intenderlo, a mio modo di vedere, nel senso di ripercorrere lo stesso cammino, ma bensì per evitare di ripetere errori e tragedie. Inoltre, perché potesse reggere quella favola del buon governo delle Due Sicilie, dovremmo riuscire a dimenticare e cancellare, se non altro, le tristi condizioni di vita di quelle popolazioni: analfabetismo, ignoranza, fame, miseria, malattie, mortalità precoce e infantile di dimensioni vergognose già per quei tempi (dopo l’unità, invece, le condizioni furono peggiori N.d.R.). Né più né meno, d’altra parte, delle condizioni di quelle delle popolazioni delle altre regioni d’Italia, che vivevano in altri stati e sotto altri sovrani prima, e sotto i Savoia dopo, ma morivano egualmente di fame stenti malattie. Cambiavano al più i nomi dei malanni: dove malaria, dove pellagra, dove tubercolosi, dove semplicemente denutrizione che, giovanissimi o addirittura bambini, li portavano alla morte dopo una vita tale da invidiare quella degli animali.

Mi chiedo, poi: Quale meridionalismo è possibile nel nostro tempo? Quale il progetto di questo meridionalismo? Cominciare a discutere di questo, a mio giudizio, dovrebbe essere la prima pietra dell’edificio, perché intanto servirebbe a darci la conoscenza delle convergenze e delle divergenze fra i vari gruppi e fra gli individui. Perché fino ad ora mi pare che si dia per scontato ciò che, forse, scontato non è: che si sia tutti d’accordo e si pensi tutti alla stessa maniera. In qualche intervento, se ben comprendo, mi sembra di leggere addirittura concezioni anacronistiche (…), di un meridionalismo che (…) guarda a un passato che poco può aiutarci a risolvere i problemi. (…) Io che sarei molto più orgoglioso di potermi dire cittadino del mondo.Certamente, quando ci veniamo a trovare di fronte a una Scanzano, di primo acchito, la tentazione di reagire con rabbia meridionalistica potrebbe anche nascere, ma poi, a rifletterci bene, ci rendiamo conto che da lì a scivolare nel ‘bossismo’ e nella sua totale mancanza di senso civico e democratico ci vuol poco. E non credo che questa possa essere una lodevole aspirazione.

D’altra parte nessuno, immagino, vorrebbe pensare di rispondere ad una esasperazione egoistica di tipo ‘Lega pensiero’ con qualcosa di speculare, una sorta di ‘Sud pensiero’ che, magari, ci farebbe col tempo cadere nella stoltezza di cominciare ad utilizzare un saluto del tipo ‘Buon Sud’, di eguale ridicola stupidità del ‘Buona Padania’ che, da qualche tempo, comincia a circolare fra le cravatte verdi. E mi dico, ancora, ma veramente nel nostro tempo, dopo che siamo stati sulla luna, stiamo andando su Marte, da un secolo parliamo di internazionalismo (ecco un obiettivo che mi affascina, e al quale l’uomo dovrebbe aspirare), e di recente di globalizzazione (anche se tutta a beneficio dei soliti noti), possiamo continuare a pensare sempre a dividerci? A vedere il nemico in chi vive al di là di una immaginaria linea che sta a volte ad appena qualche metro da noi o al di là di un braccio di mare? Mentre coloro che sfruttano i popoli, li massacrano con le guerre, li affamano, rendono loro difficoltosa in mille modi la vita sono tutti d’accordo e hanno da tanto capito che i loro interessi li possono fare anche meglio se uniscono le loro forze (non sono questo i trust, le multinazionali, le holding?), senza guardare a confini, razze, nord, sud, est, ovest convinti come sono della validità dell’insegnamento di Vespasiano che “pecunia non olet”. Che poi, a pensarci bene, il “Bossi pensiero” (si fa per intenderci su ciò di cui parliamo, perché che Bossi pensi sembra più un’amenità che altro), non è del tutto stupido o ingenuo come si potrebbe credere, perché, in realtà, nasconde subdolamente l’egoismo sfrenato sfruttatore razzista di una classe egemone (Bossi ne è solo la testa d’ariete), e detentrice in “Padania”, e non soltanto, delle leve del potere e della ricchezza; razzista non tanto verso il meridionale, e in fondo neanche verso l’extra comunitario purché si lascino sfruttare senza dare fastidio (e quindi, in definitiva, è un pensiero vecchio quanto è vecchio il mondo). Sono razzisti, costoro, verso il lavoratore in genere, anche se padano, perché quell’ideologia nord-patriottarda è in realtà una sorta di ‘placcatura’ per gli allocchi di tipo classista, a difesa di interessi di classe ben precisi e diversi da quelli di quanti, anche al Nord, tirano la carretta per un pugno di euro, e che a non essere ‘alienati’ (una volta si diceva), capiscono che i loro interessi contrastano, non coincidono, con quelli strombazzati dalla Lega.Ma pochi forse lo capiscono, esattamente come pochi lo capiscono nel nostro Sud, se è potuto accadere che alle ultime elezioni per il Senato in Sicilia il Polo ha potuto battere il centro-sinistra 61 a 0. Eppure sulle schede c’erano tutti gli altri simboli, nessuno stato antimeridionalista li aveva cancellati. E, in fondo, i sessantuno senatori sono siciliani. Più meridionali di così! Ma evidentemente, i loro interessi non hanno niente da spartire con quelli dei lavoratori siciliani, se questi continuano a stare come prima e peggio di prima. E abbiamo anche l’autonomia regionale con un governo regionale con grandi poteri, fatto tutto di siciliani. In definitiva, non credo, quindi, che i mali del Meridione siano imputabili ai governi nordisti o almeno non solo a loro, né ai Savoia, perché proprio loro i danni non li fecero solo al Meridione, ma seppero distribuirli a tutto il paese. Non mi sembra facile, perciò, trovare un terreno comune di lavoro. A me, ad esempio, sembra che un meridionalismo consapevole dovrebbe porsi l’obiettivo di sostenere le lotte di emancipazione delle classi lavoratrici per avere un senso e una funzione. Questa potrebbe essere una buona base di partenza! Un meridionalismo che non si ponesse quest’obiettivo, a mio giudizio, non potrebbe, forse, evitare del tutto che una classe egemone meridionale riuscisse, a tutto vantaggio dei suoi interessi di sempre, a innestarsi su un ceppo, nato magari sano, e sfruttarlo a suo uso e consumo. In Sicilia proprio, abbiamo avuto qualcosa di simile in un non lontano passato, perché non altro che questo fu il movimento indipendentista del secondo dopoguerra, subito spinto da coloro che su esso poggiarono le loro sporche fortune, agli estremi limiti negativi, fino a diventare tutt’uno con mafia, banditismo, assassini prezzolati per combattere le istanze di emancipazione sociale e civile dei lavoratori e del popolo siciliano. E quei mestatori giunsero a intorbidare talmente le acque, da causare lutti e sventure, a questa terra; e vagheggiarono persino, su malcelate istigazioni di ambienti statunitensi interessati a fermare l’emancipazione delle mie genti, che stava dando ottimi frutti, il folle disegno dell’indipendenza dell’Isola per approdare all’annessione agli Stati Uniti (se fosse riuscito, vedi tu, che fortuna!). E questa è storia che tutti sappiamo. A mio giudizio, quindi, sarebbero da chiarire bene alcuni presupposti teorici circa (…) “che fare?”. E a tal proposito io chiedo: (1) Che cosa dovrebbe essere questa organizzazione, un movimento o un partito?

(2) Nel caso si volesse dare la forma partito, si è tenuto conto che molti, magari di idee un po’ vicine, ne sarebbero automaticamente esclusi in partenza, perché già militanti di altri partiti e in alcuni casi (il mio, ad es.), magari in qualità di dirigenti periferici?

(3) Che fosse movimento o partito, come intenderebbe rapportarsi con gli altri movimenti, partiti, o schieramenti? (4) Quale sarebbe il progetto politico e quale società si intenderebbe costruire? (5) Questo meridionalismo come intenderebbe porsi di fronte a problemi che, si voglia o non, saranno quelli con i quali tutti saremo costretti a confrontarci nei prossimi decenni: l’Europa, la globalizzazione, il suo rifiuto, i movimenti no-global?

Io credo che tutti questi problemi presentano notevoli difficoltà di soluzione e altri se ne aggiungerebbero a puntare (…) ad un’autonomia non più funzionale alle organizzazioni di partito nazionali, alle istituzioni, alle mode ideologiche…” . Io ho accumulato molti anni di militanza politica e, forse per questo, non riesco a vedere come si potrebbe reggere una società senza partiti. Possiamo cambiarne l’organizzazione, cambiarne i nomi, magari anche le prospettive, ma se si vuole in uno con altri operare al fine di cambiare e reggere una società e le sue istituzioni (che anche queste si possono cambiare, ma ci sono e ci saranno sempre), non si può fare a meno di libere organizzazioni di cittadini che collaborino al raggiungimento di questi fini. (…). Sono molto d’accordo (…), invece, nel ritenere che qualcosa, comunque, si può e si deve, almeno, tentare di fare (…): su uno scambio costante di idee ed esperienze; su uno scambio di interventi da un sito all’altro; a cercare di raggiungere con la maggiore diffusione possibile quante più persone si potranno raggiungere; a stimolare tutti a dare un fattivo contributo di idee e di proposte (…) Io ho molti capelli bianchi in testa; sono stato e sono ancora attivamente impegnato politicamente e socialmente; frequento libri e uomini; e, in tutta sincerità, credo (…) che, a volte, sia più facile muovere le montagne che mettere d’accordo gli uomini. E aggiungo (…): “non mi faccio eccessive illusioni”. Però, per mia fortuna, mi sostiene una formazione gramsciana e non mi fa difetto una buona dose del gramsciano “pessimismo della ragione e ottimismo della volontà”, pertanto, continuerò a seguire il dibattito con attenzione e interesse, cercando di trovare risposte agli interrogativi che ponendomi vi ho posti, e a quelli che, seguendovi, continueranno a nascermi, e sarò sempre pronto a dare, entro i miei limiti, il mio contributo, tutte le volte che lo riterrò di una qualche utilità al dibattito e alle iniziative.


6 dicembre 2003

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