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Procida

 

Procida, l'isola della marineria

di Aldo Monti

Procida è un’isola vulcanica situata all'imbocco del Golfo di Napoli, fra Ischia e Capo Misero. Secondo le leggende, l'isola deve il suo nome alla nutrice di Enea, che qui fu da lui sepolta. Suggestiva anche l’altra ipotesi, che fa derivare il nome Procida dall’antico greco "prochetai" cioè “giace”; infatti l'isola ci appare coricata e sdraiata nel mare. Le prime testimonianze attendibili su Procida risalgono all'VIII secolo a.C. quando, provenienti dall'isola di Eubea, i coloni Calcidesi vi approdarono con il loro bagaglio culturale ed artistico. I Greci hanno lasciato numerose tracce, come le tombe a tetto spiovente di Callia e Corricella, che ancora oggi sono due pittoreschi borghi di rara bellezza architettonica, con le case color pastello scale rampanti e archi, dove ancora oggi si conserva intatta tutta l’identità culturale e socio-economica dell’isola. Meno importante fu la successiva presenza dei Romani, forse a causa delle attività vulcaniche dell’isola. Preferirono la terraferma come sito di villeggiatura, o Capri per le sue rocce calcaree, che infatti assurse a sede imperiale.

Durante l'alto medioevo, l’isola subì frequenti incursioni dei pirati saraceni. Tra di esse la più devastante fu quella dei corsari capitanati da Barabarossa. E proprio ad una delle tante incursioni saracene è legata la leggenda di San Michele Arcangelo, divenuto poi patrono dell'isola. A seguito delle incursioni saracene, il Cardinale Innico d'Avalos d'Aragona, feudatario dell'isola, fece costruire il Castello ed edificare intorno alla cittadella della Terra Casata delle mura bastionate nelle quali venne aperta la Porta di Ferro. Le coste dell'isola vennero fortificate con torri di avvistamento, e gli abitanti si spostarono verso il più sicuro borgo, che perciò prese i nome di Terra Murata.

L'economia del luogo mutò, per esigenze difensive, da marittima in rurale. Nel basso medioevo, Procida ebbe propri signori feudali: Giovanni da Procida dal 1210 al 1258, i Cossa 1339-1529 e i d'Avalos dal 1530 al 1644, anno in cui l'isola fu recuperata alla corona napoletana, alle cui sorti Procida rimase in definitiva sempre legata. Le acque di Procida furono inoltre teatro, nel luglio 1552, d'una spedizione navale nel corso della quale gli Ottomani catturarono sette galee a una squadra napoletana agli ordini del genovese Andrea Doria.

Con i Borboni, insediatisi dal 1734, Procida rinverdì gli antichi splendori. Il pericolo rappresentato dai pirati barbareschi, ancora attivi nella prima metà del ‘700, fu definitivamente scongiurato, grazie alla flotta napoletana e alla decisa volontà dei sovrani. L’isola diede da allora un contributo straordinario alla marineria napoletana, quando a bordo delle tartane (imbarcazioni a fondo piatto e senza ponte) armate di vele latine, i procidani trasportavano legna e carbone dalla foce del Volturno e olio dalla Calabria al porto di Napoli. Nella seconda metà del 1700 continuano i traffici e i commerci con il trasporto di doghe per botti dalla Calabria a Cadice e del legname da costruzione dall'Albania a Tolone. Nel 1800 è la volta dei bastimenti più grandi e più attrezzati a commerciare e trafficare con tutto il mondo: i Procidani toccano la Martinica, l'Indocina, l'America Occidentale, sbarcano a Valparaiso del Cile. Nel 1833, per volere del sovrano Ferdinando II, fu fondata la prestigiosa Scuola Nautica Comunale, che contribuì a formare una generazione di valenti capitani marittimi, che all'esperienza e al coraggio, accoppiavano una robusta preparazione tecnica. Nel 1860, alla vigilia della invasione piemontese, Procida occupava il 2° posto, dopo Napoli, tra le marine italiane, con oltre 200 bastimenti di lungo corso, piccolo e gran cabotaggio.

Gli effetti nocivi della dominazione sabauda non si fecero purtroppo attendere, anche se nel 1885 Procida occupava ancora il 7° posto.

Ancor oggi l’isola è un serbatoio di provetti marinai, imbarcati sulle navi di molte nazioni, che fanno di Procida l’Isola della Marineria. I Capitani procidani continuano a guidare le navi in tutti gli oceani del mondo. "La storia di Procida è storia marinara, storia di remi e di vele, storia di lenze e di reti, storia di pesce e di traffico, alterna vicende millenari di lotte durissime"[1].

Procida ha una popolazione di 10800 abitanti, la maggior parte dei quali è dedita alla navigazione. Le origini vulcaniche di Procida sono evidenti nel paesaggio: la costa è in tufo ed a picco su un mare cristallino, con insenature e tracce di antichi crateri, l'entroterra si presenta invece ondulato, fertile e ricoperto di una vegetazione tipica mediterranea che offre al visitatore un paesaggio di rara bellezza. La Marina di Procida si sviluppò durante il XVI secolo. Al centro della Marina si erge la chiesa dei marinai dedicata alla Madonna della Pietà e a San Giovanni Battista. Fu eretta nel 1619 e da sempre fu finanziata dalle famiglie dei marinai. Essa è dotata di sei altari in marmo pregiato oltre l'altare maggiore. Notevole sull'altare il gruppo ligneo della Pietà nel cui cuore d'argento sono racchiusi i nomi dei marinai che devolvevano al tempio il frutto dei loro sacrifici. Attorno alla chiesa si svolge l'attività del porto e hanno luogo tutte le tipiche manifestazioni folkloristiche.


Fonti consultate


Note

[1]  Come scrisse nel 1932 il rev. Vincenzo Scotto di Carlo, fiduciario della Scuola Professionale Marittima.

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