Il parco nazionale del Pollino è uno dei più vasti e intatti d’Italia. Istituito nel 1993, prende il nome dal massiccio più alto della zona, esteso per circa 30 km da ovest a est, che chiude l'Appennino Lucano e sembra sbarrare l'accesso alla penisola calabrese. I lupi e i caprioli sono un po’ il simbolo di questo parco di oltre 192 mila ettari, un’area protetta di alta montagna, a cavallo tra Lucania e Calabria.
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La lontra del Pollino
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Tuttora il parco è una realtà naturalistica conosciuta soprattutto dagli appassionati ma non dal grande turismo, nonostante racchiuda angoli di una bellezza estrema sia dal punto di vista paesaggistico, geologico, archeologico e storico. Il massiccio culmina nella Serra Dolcedorme (2267 m, la più alta vetta dell'Appennino meridionale) e offre paesaggi estremamente diversificati. Si può incontrare il Pollino dei faggeti o la montagna dove crescono attanagliati alla roccia i contorti pini loricati. Un'altra curva, ed eccoci nel paese solare e poi, in pochi chilometri, nella ripida terra dei borghi attaccati alla roccia. Le sue vette e i suoi boschi secolari sono l’habitat di lupi e caprioli, lontre e aquile reali. Tra tanta selvaggia bellezza della natura, non mancano splendide testimonianze di storia e arte.
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Caprioli
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“Il lamento leggero, ripetuto, di un capriolo in pericolo. E poi la fuga a precipizio di questo piccolo cervide tra la faggeda. Chi lo ha spaventato è un lupo. Lo stesso che ora cerca di catturare la preda galoppante nel mezzo delle gole del Sarmento, un ruscello dalle acque limpidissime. Lo scenario è spettacolare. La lotta tra il predatore e la preda finisce questa volta con la vittoria del capriolo che scavalca d’un balzo il torrente, lasciando il lupo sull’altra riva, per inerpicarsi a perdifiato sul versante di fronte. Assistere a una scena mozzafiato come questa è il sogno di ogni vero naturalista. Ma non è impresa impossibile. Tutto ciò può accadere nel parco nazionale del Pollino, tra i più grandi d’Italia per estensione, perché qui vivono i lupi che, da sempre, fanno la posta a una comunità di caprioli incredibilmente sopravissuta a caccia e bracconaggio. Vale allora la pena di attraversarlo in lungo e in largo questo parco per godere delle particolarità e delle unicità di una regione abitata dall'uomo sin dal Paleolitico superiore, nel cuore della preistoria. E il viaggio, tra natura e cultura, può cominciare proprio dalla grotta Riparo del Romito non lontana dall'abitato di Papasidero”[1].
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Fritillaria |
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Un'orchidea selvatica |
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Papasidero
il nome deriva da quello dell'abate del monastero basiliano Papas Isidoros che, secondo la tradizione, fondò il paese. Il paese, dominato dalle rovine di un castello, sorprende per la sua collocazione abbarbicata su un erto crinale affacciato sulle rapide del fiume Lao, che scende verso la costa calabrese. Sul fiume, vi è ancora un antico ponte in pietra, e seguendo da lì la valle del Lao, si raggiunge la Grotta del Romito. Qui su una roccia calcarea è stata trovata l'incisione rupestre, realizzato 15.000 anni fa, che rappresenta il Bos primigenius, l'antichissimo bue-bisonte che popolava tutta l'Europa e che veniva predato dalla tigre dai denti a sciabola.
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Papasidero, Grotta del Romito, Bos Primigenius
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“Da allora, da quando un uomo tracciò il segno di quel grande animale, l'area che oggi è Parco nazionale è stata abitata da popoli autoctoni di cui restano tracce in necropoli dai ricchi corredi; fu colonizzata da greci e romani per poi attraversare i secoli del Medioevo. Dalla zona del Parco proviene, tra l'altro, una splendida ascia votiva in bronzo non a caso conservata al British Museum di Londra. Un susseguirsi di eventi che hanno portato poi, tra il 1470 e il 1540, all'arrivo di una comunità albanese, Arbereshe, da allora fedele osservatrice delle sue antiche tradizioni culturali. E oggi sono poco più di 172mila le persone che abitano i 24 comuni della Basilicata e i 32 della Calabria all'interno dei confini del Pollino. Cittadine, paesi, borghi e villaggi quasi tutti arroccati sulle montagne in vista di splendidi panorami. In un ambiente così selvaggio stupisce la quantità di chiese, conventi, monasteri e santuari costruiti a partire dai primissimi secoli dell'era cristiana e fioriti in ogni angolo. Basti pensare al santuario della Madonna delle Armi a Cerchiara Calabra e quello della Madonna del Pettoruto. Per non parlare del convento del Ventrile di Francavilla. Costruzioni a strapiombo su gole e dirupi che si affacciano su innumerevoli corsi d'acqua: ed è allora proprio l'unione di queste componenti naturalistiche la vera grande attrazione del Parco. Montagne che in molti casi superano i duemila metri e che hanno le cime innevate per molti mesi all'anno; cime frastagliate in parte dolomitiche e gole erose da acque la cui purezza e qualità è certificata dalla presenza della lontra, il mammifero che, in Italia, è più di tutti in pericolo di estinguersi. Nel Pollino la lontra ha una popolazione vitale che frequenta fiumi e ruscelli come il Sinni, il Sarmento, il Raganello, il Frido e l'Argentino tanto per citare quelli che si insinuano tra strette valli e orridi e che serpeggiano tra boschi di faggio e abetaie”[2].
La valle del Raganello
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La mole della Timpa
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All'ombra della mole triangolare della Timpa di San Lorenzo scorre il Raganello che, emerso dai misteri delle gole del Barile, a valle di San Lorenzo Bellizzi scava profondamente il suo canyon vertiginoso, non più percorribile ai turisti fino alle ultime propaggini della montagna.
“Ancora oggi i corsi d'acqua sono punteggiati dai vecchi mulini, in alcuni casi restaurati. Ancora annotazioni storiche per non dimenticare castelli diroccati, a volte distrutti da terremoti recenti, e la torre dell'Orologio di Orsomarso e tornare finalmente in alta montagna. In cima al Pollino, nelle zone battute in inverno da tempeste di vento e di neve, resistono ancora esemplari ultracentenari di
pino loricato, un albero tra i più scenografici che si conoscano, contorto e sofferto come pochi al mondo. I pini loricati da soli varrebbero una visita al Pollino ma il Parco va ricordato per le fioriture primaverili di specie spontanee. Tra loro si possono ammirare decine di varietà di orchidee selvatiche terrestri e meravigliose peonie dal color rosso vinaccia”[3], nonché le fritillarie, specie rara in Italia, che fiorisce tra aprile e maggio.
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Un'aquila reale
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“Le alte cime del Parco sono il rifugio dell'aquila reale, regina incontrastata del cielo. Rara ma costante è la presenza del capovaccacio, il più piccolo avvoltoio che migra dall'Africa e che lassù ancora trova luoghi adatti alla nidificazione. Dall'Africa arriva anche il falco pecchiaiolo, quello che i calabresi chiamano adorno, perseguitato da sempre per una superstizione antica quanto ridicola. Da quando è specie protetta le uccisioni sono diminuite fortemente. Il pecchiaiolo così popola oggi il Parco insieme al nibbio reale, altro bellissimo rapace un tempo difficile da osservare. Ma il Pollino è famoso tra i naturalisti italiani anche perché nelle sue secolari faggete e nelle rare abetaie vive e si riproduce il picchio nero, il più grande picchio d'Europa, caratteristico per il piumaggio antracite e per la frezza rossa, nel maschio, sulla testa”[4].
Mormanno
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Mormanno
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Voluto in questa posizione dai Longobardi per motivi militari, il paese è punto di partenza verso le montagne del Pollino.
La piana di Sibari
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La piana di Sibari
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A oriente, il massiccio del Pollino confina con la piana di Sibari, dalla quale si può apprezzarne l'imponenza.
La catena e Piani di Ruggio
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La catena e Piani di Ruggio
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Per salire sulla Serra Dolcedorme, si può partire dal colle
dell'Impiso, lungo la strada che da Piani di Ruggio, dove si trova il rifugio De Gasperi, conduce a Viggianello.
Castrovillari
Sotto alla mole del Pollino, Castrovillari è disteso in un'ampia e fertile conca nella valle del Cosciale. Borgo fortificato bizantino, fu conquistato dai
Normanni nel 1064, che vi costruirono il castello, ampliato poi dagli
Aragonesi nel 1490, nei cui pressi è la cinquecentesca chiesa di San Giuliano con un mirabile portale. Oltre l'antico ponte della Catena sorge il nucleo abitato, la Civita, arroccato sulla punta di uno sperone e fatto di stradine, terrazze, chiesette e case strette le une alle altre.
Sulla sommità di un colle sorge la settecentesca chiesa di Santa Maria del Castello, fondata dai Normanni nel 1090 e riedificata nel 1363, che custodisce una venerata Madonna col Bambino. Il Museo Civico Archeologico, ospitato nel bel palazzo Gallo, raccoglie reperti che vanno dal Paleolitico superiore all'epoca medievale e una ricca collezione di opere (dipinti, sculture, disegni) dell'artista castrovillarese Andrea Alfano (1879-1967).
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La saturnia pyri
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Altomonte
Il paese, noto ai romani per i suoi vigneti, è posto su un colle tra due torrenti affluenti dell'Esaro. Il nome originario era arabo, Brahalla, e fu cambiato in Altomonte nel 1343 per volere della regina
Giovanna I d’Angiò. Il paese conserva intatto il suo fascino medioevale, grazie alle molte facciate che risalgono al '600, ai resti della Torre dei Pallotta e del castello. Nella parte più alta sorge la chiesa di Santa Maria della Consolazione, che è una delle più belle chiese gotiche calabresi del XIV secolo, edificata sui resti di un precedente edificio sacro normanno. La facciata della chiesa, affiancata da un imponente campanile, si apre un ampio portale sormontato da uno splendido rosone con 16 colonnine. L'unica navata è affiancata da una serie di cappelle modificate in epoca barocca ed è adorno di numerose opere d'arte, fra cui il notevole monumento funebre di Filippo Sangineto del 1377, trecentesco, con sculture e bassorilievi marmorei della scuola napoletana di Tino di Camaino.
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Tavola di San Ladislao
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Negli annessi locali del monastero vi è il Museo Civico che raccoglie varie opere d’arte, tra cui una tavola d'oro che raffigura
San Ladislao, la Madonna delle Pere, ispirata da un lavoro di Antonello da Messina.
Cassano allo Ionio
Posto sulla destra del fiume Eiano, in vista della piana di Sibari, è stazione termale - le note Terme Sibarite - e sito archeologico, per le vaste tracce ritrovate di insediamenti neolitici. Cassianum, già municipio in età romana, fu poi sede di un gastaldato longobardo, prima di essere inglobata nel Regno di Napoli. Il duomo settecentesco custodisce all'interno tele di scuola napoletana del ‘700. L'antica cripta è affrescata in stile bizantino. Nell'attiguo palazzo vescovile vi è il museo diocesano che ospita varie tele del ’600.
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il picchio nero
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Morano Calabro
Sulle pendici delle montagne che salgono verso il Pollino, Morano Calabro è distesa in posizione panoramica sui ripidi fianchi di un colle bagnato dal fiume Coscile. Di antica origine, la città fu citata anche come Muranum, nome probabilmente legato a una antica occupazione moresca, come anche testimoniato dallo stemma del paese, che raffigura una testa di moro. Fu borgo fortificato in epoca normanna, sveva, angioina e aragonese, come testimoniato dagli imponenti ruderi del castello, di cui rimangono oggigiorno solamente parti delle mura e delle torri cilindriche.
Ai piedi dell'antico abitato si trova la
Collegiata della Maddalena, imponente chiesa dalla facciata neoclassica già esistente in epoca angioina e poi ricostruita in stile barocco. Da notare la copertura di cupola e campanile a cuspide rivestiti in maioliche colorate. All'interno sono custodite tele del XVII e XVIII secolo, la scultura di Antonello Gagini Madonna degli angeli, del 1505, il coro settecentesco e un notevole polittico di Bartolomeo Vivarini del 1478.
Vicino vi sorge la chiesa di San Bernardino da Siena, costruita in forme gotiche con l'annesso convento con chiostro nel 1452-85. La chiesa è preceduta da un portico, con tracce di affreschi, su cui si aprono due portali. Sotto le mura del castello vi è la chiesa dei Santi Pietro e Paolo, che conserva numerose opere d'arte, e da cui si gode di una splendida vista sul Pollino e sulla Sila.
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Il pino loricato
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“Il viaggio allora finisce laddove era cominciato: nelle gole del Sarmento. Qui avevamo lasciato il lupo, sconfitto nella corsa dalla sua preda, il capriolo. La popolazione di lupo appenninico, nel Pollino, è in lentissima crescita al punto che i giovani esemplari, una volta lasciata la compagnia della madre, si spostano in nuove aree per colonizzarle. Gli specialisti che studiano questa comunità calabro lucana stanno osservando il fenomeno di una lenta migrazione verso la punta estrema della Penisola, l'Aspromonte.
Il lupo resta così protagonista della storia: è sempre il predatore che si porta dietro la fama del cattivo e che scatena la voglia, da parte dell'uomo, di ucciderlo. Nel Parco nazionale del Pollino ha resistito alle trappole, ai bocconi avvelenati di chi, nonostante sia protetto per legge, ha fatto di tutto per farlo scomparire: è grazie al lupo che nella zona esiste una popolazione vitale di caprioli. Ed è per la presenza di questo magnifico e intelligente predatore che il turista appassionato vi trascorre le vacanze. Anche e solo per sentire il suo ululato. Magari in una notte di plenilunio”[5].
Note:
[1] Fabrizio Carbone, Speciale Basilicata “il Cuore selvaggio della Lucania”, Ulisse La Rivista di bordo dell’Alitalia
Bibliografia, fonti e riferimenti:
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