Inquietante e alla luce dell’ultimo delizioso film di
Moretti “Habemus papam”, “moderna” è la storia del papa “che fece
per viltade il gran rifiuto” come racconta Dante nel III canto
dell’Inferno :
il mistico Pietro Angeleri più noto come Pietro da Morrone, tra i
pochissimi nella storia della chiesa a rinunciare al pontificato e
che morì, in catene, il 19 maggio del 1296. La sua morte è tuttora
avvolta nel mistero. Eletto suo malgrado e, da subito, a disagio in
un mondo più che cristiano, mondano e avido di potere, Pietro,
assurto al soglio con il nome di Celestino V, fautore di una
Ecclesia spiritualis, rinuncerà al trono con una bolla ad hoc. Una
lettera di dimissioni, diremmo oggi. Un “gran rifiuto” indotto,
probabilmente, dal futuro papa Bonifacio VIII, a cui seguiranno una
fuga rocambolesca tra i monti d’Abruzzo, la cattura, la terribile
prigionia nella Rocca di Fumone e infine la morte misteriosa tra gli
stenti o, come sostengono alcuni studiosi dall’analisi dei suoi
resti, per un grosso chiodo conficcatogli in testa. Ma perché?
Perché imprigionarlo e, forse, ucciderlo in tale barbara maniera?
Non lo sapremo mai. |
Penultimo di dodici figli, nacque tra il 1209 e il
1215 da Angelo Angeleri e Maria Leone, contadini poveri, onesti e
profondamente religiosi. È certo che nacque in Molise. La sua
nascita è rivendicata da ben quattro comuni: Isernia e Sant'Angelo
Limosano cui si sono aggiunti Sant'Angelo in Grotte, frazione del
comune di Santa Maria del Molise, dopo il rinvenimento di un
documento che parla della nascita di Celestino e Sant'Angelo d'Alife,
nel casertano, dopo il rinvenimento di un affresco che lo ritrae.
Nel 1231 decise di entrare nell’ordine benedettino ma
ben presto, insoddisfatto della vita spirituale dell'ordine, si
ritirò da eremita in una grotta nelle vicinanze del fiume Aventino,
nei pressi di Palena. Nel 1238 andò a Roma a studiare dove, nel
1241, fu ordinato sacerdote. Lasciata Roma, quello stesso anno, si
trasferì in Abruzzo sul monte Morrone, in una grotta presso la
piccola chiesa di Santa Maria di Segezzano. Cinque anni dopo,
abbandonò anche questa grotta per rifugiarsi in un luogo ancora più
inaccessibile sui monti della Maiella, dove visse nella maniera più
semplice che gli fosse possibile.
Nonostante l’eremitaggio Pietro ebbe comunque la
volontà e la capacità di costituire una Congregazione ecclesiastica
riconosciuta da papa Gregorio X (1244) come ramo dei benedettini,
denominata "dei frati di Pietro da Morrone", che in seguito avrebbe
preso il nome di Celestini.
Nel 1259 Pietro da Morrone riuscì , nonostante
l’eremitaggio, ad ottenere i finanziamenti per costruire l'Abbazia
morronese che sorse attorno all'antica chiesetta di S. Maria del
Morrone, e attorno al 1265 fra' Pietro, sempre dal suo eremitaggio,
riuscì a far costruire l'Eremo di Sant'Onofrio (patrono degli
eremiti), dove si ritirò in preghiera ed eremitaggio.
Nell'inverno del 1273, nonostante l’età avanzata ebbe
la forza di recarsi a piedi a Lione, in Francia, dove stavano per
iniziare i lavori del Concilio voluto da Gregorio X, per impedire
che l'ordine monastico da lui stesso fondato fosse soppresso. La
missione ebbe successo grazie alla fama di santità che accompagnava
il monaco eremita
Fu proprio nell’eremo di Sant’Onofrio che nel luglio
del 1294 fu informato dell'avvenuta elezione a Pontefice. La
decisione venne presa nel Conclave di Perugia il 5 luglio del
1294 a due anni dalla morte di Papa Niccolò IV, avvenuta il 4 aprile
1292; in realtà il conclave, che in quel momento era composto da soli
dodici porporati, si era riunito subito dopo e numerose erano state le riunioni
dei padri cardinali nell'Urbe, ma il Sacro Collegio non era riuscito a
far convergere i voti necessari su nessun candidato, per via
dell’accesa rivalità tra gli Orsini e i Colonna. A complicare le
cose sopravvenne un'epidemia di peste che indusse allo scioglimento
del Conclave. Trascorse più di un anno prima che il Conclave potesse
nuovamente riunirsi, perché non si riusciva a concordarne la sede. Finalmente
fu trovata una soluzione
sufficientemente condivisa, stabilendo la nuova sede nella città di
Perugia: era il
18 ottobre 1293.
I cardinali però, nonostante le laboriose trattative,
non riuscivano a raggiungere un accordo tra i sostenitori dei
Colonna e quelli degli Orsini. Intanto il permanere della sede
vacante aumentava il malcontento popolare con conseguenti disordini
e proteste. Una accelerazione ai lavori fu data in maniera brusca da
Carlo II d’Angiò, re di Sicilia (della Sicilia continentale, con
capitale Napoli) che intendeva sistemare il contenzioso apertosi con
Giacomo II d’Aragona per le vicende successive ai
vespri siciliani,
del
31 marzo 1282. In vista di un trattato, Carlo d'Angiò aveva
necessità dell'avallo pontificio
,
la qual cosa era impossibile, stante la situazione di stallo dei
lavori del Conclave. Spinto da questa esigenza, Carlo II nel marzo
del 1294 si recò, insieme al figlio Carlo Martello
,
a Perugia dove era riunito il Conclave, con lo scopo di sollecitare
l'elezione del nuovo Pontefice. Il suo ingresso nella sala dove era
riunito il Sacro Collegio provocò l’indignazione di tutti i
cardinali e il re fu cacciato, soprattutto per l'intervento del
cardinale Benedetto
Caetani, ma il messaggio era arrivato forte e
chiaro: non era più possibile tenere vacante la sede pontificia.
Nel frattempo, Pietro da Morrone aveva predetto "gravi
castighi" alla Chiesa se questa non avesse provveduto a scegliere
subito il proprio pastore. La profezia fu recapitata al Cardinale
Decano Latino Malabranca, che la presentò all'attenzione degli altri
cardinali, proponendo, tra l’altro, di eleggere Pontefice proprio
il monaco eremita. La sua figura ascetica, mistica e religiosissima,
era nota e rispettata in tutte le corti europee anche se non era un
porporato e, soprattutto, era abbastanza avanti con gli anni: un
ottimo papa di transizione! Fu così che dopo ben 27 mesi, emerse dal
Conclave, all'unanimità, il nome di Pietro Angeleri da Morrone; era
il
5 luglio 1294.
L'elezione unanime da parte del Sacro Collegio di un
semplice frate eremita, completamente privo di esperienza di governo
e totalmente estraneo alle problematiche della Santa Sede nacque
certamente a scopo di tacitare l'opinione pubblica e le monarchie
più potenti d'Europa, vista l'impossibilità di eleggere un porporato
su cui tutti fossero d'accordo. È plausibile che i cardinali fossero
pervenuti a questa soluzione pensando di poter gestire, ciascuno a
modo suo, l’inesperienza e l’ingenuità del vecchio frate eremita sia
per reggere la Chiesa in quel difficile momento, sia per vantaggi
personali.
La notizia dell'elezione gli fu recata nella grotta
sui monti della Maiella, dove il frate risiedeva. Conscio della sua
debolezza, il frate oppose subito un rifiutò, ma l’insistenza dei
cardinali, specie del Caetani riuscì a convincerlo ad accettare la
carica. Appena avuta la notizia dell'elezione del nuovo
Pontefice, Carlo II d'Angiò si affrettò a raggiungere il frate e lo
accompagnò personalmente nella città di Aquila (L'Aquila), dove
nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio, che lo stesso Pietro
aveva fatto costruire qualche anno prima, avvenne l’incoronazione,
il
29 agosto 1294, del nuovo pontefice con il nome di Celestino V.
Si racconta che Pietro compì il viaggio in sella ad un
asino tenuto per le briglie dallo stesso Re e scortato dal corteo
reale.
Uno dei primi atti ufficiali di Celestino V fu
l'emissione della Bolla del Perdono, con cui elargiva
l'indulgenza plenaria a tutti coloro che confessati e pentiti dei
propri peccati si fossero recati nella Basilica di Santa Maria di
Collemaggio, nella città dell'Aquila, nel periodo che va dai vespri
del 28 agosto ai vespri del 29 di ogni anno. Fu così istituita la
Perdonanza, celebrazione religiosa che anticipò di sei anni il
primo Giubileo del 1300, e che è ancora oggi tenuta nel capoluogo
abruzzese
Il nuovo Pontefice si affidò, incondizionatamente,
a Carlo II d'Angiò, nominandolo "maresciallo" del futuro
Conclave. Ratificò immediatamente il trattato tra Carlo d'Angiò e
Giacomo d'Aragona, mediante il quale fu stabilito che, alla morte di
quest'ultimo, la Sicilia sarebbe ritornata agli angioini (cfr:
Federico III e gli Aragonesi di Sicilia. La guerra dei 90 anni con
Napoli).
Il
18 settembre 1294, indisse il suo primo e unico Concistoro, nel
quale nominò ben 13 nuovi cardinali, tra i quali nessuno romano ma
vi abbondavano i francesi e i napoletani, chiaramente indicati dal
re. Dietro ulteriore consiglio di Carlo d'Angiò, trasferì poi la
sede della Curia da L'Aquila a Napoli fissando la sua residenza in
Castel Nuovo, dove fu allestita una stanzetta, modestamente
arredata, dove egli si ritirava a pregare e a meditare. Di fatto il
Papa era sì protetto da Carlo, ma anche suo ostaggio, in quanto
molte delle decisioni pontificie erano direttamente suggerite dal re
angioino.
Probabilmente, nel corso delle sue frequenti
meditazioni, dovette pervenire, poco a poco, alla decisione di
abbandonare il suo incarico. In ciò sostenuto forse anche dal
cardinal Caetani, esperto di diritto canonico, il quale riteneva
pienamente legittima una rinuncia al pontificato. Circa quattro mesi
dopo la sua incoronazione, nonostante i numerosi tentativi per
dissuaderlo avanzati da Carlo d'Angiò, il
13 dicembre 1294 Celestino V, nel corso di un Concistoro, diede
lettura di una bolla, appositamente preparata per l'occasione, nella
quale si contemplava la possibilità di un'abdicazione del Pontefice
per gravi motivi. Dopo di che recitò la formula della rinuncia al
Soglio Pontificio.
«Ego Caelestinus Papa Quintus motus ex legittimis
causis, idest causa humilitatis, et melioris vitae, et coscientiae
illesae, debilitate corporis, defectu scientiae, et malignitate
Plebis, infirmitate personae, et ut praeteritae consolationis possim
reparare quietem; sponte, ac libere cedo Papatui, et expresse
renuncio loco, et Dignitati, oneri, et honori, et do plenam, et
liberam ex nunc sacro caetui Cardinalium facultatem eligendi, et
providendi duntaxat Canonice universali Ecclesiae de Pastore.»
(«Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni,
per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe [di
questa plebe], al fine di recuperare con la consolazione della vita
di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e
spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono,
alla dignità, all'onere e all'onore che esso comporta, dando sin da
questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di
scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la
Chiesa Universale»
Celestino V - Bolla pontificia, Napoli, 13 dicembre 1294 tratta da
Wikipedia).
La bolla pontificia, pare fosse stata compilata
proprio dal cardinale Caetani, il quale, vista l'impossibilità di
controllare il Papa come aveva auspicato e visto che Carlo d'Angiò
lo aveva praticamente sequestrato, intravedeva in questo “abbandono”
la possibilità di ascendere egli stesso al soglio pontificio con
notevole anticipo sui tempi che egli aveva preventivato nel momento
in cui aveva aderito all'elezione di Pietro da Morrone.
Dopo appena undici giorni le dimissioni, il Conclave,
riunito a Napoli in Castel Nuovo, elesse il nuovo papa nella persona
del cardinale Benedetto Caetani, di Anagni. Aveva 64 anni ed assunse
il nome di Bonifacio VIII.
Caetani, temendo uno scisma da parte dei cardinali
filo-francesi fedeli a Carlo e Celestino, ordinò subito che l’ex
papa fosse messo sotto controllo, per evitare un rapimento da parte
dei suoi nemici e la proclamazione di un antipapa. Celestino,
informato della decisione del nuovo papa dai cardinali a lui fedeli,
tentò la fuga verso oriente per raggiungere la sua cella sul Morrone
e poi Vieste sul Gargano e da qui imbarcarsi per la Grecia, ma il
16 maggio 1295 fu catturato presso Santa Maria di Merino da
Guglielmo Stendardo II, connestabile del regno di Napoli, figlio del
celebre Guglielmo Stendardo detto "Uomo di Sangue"
.
Catturato, fu condotto alla rocca di Fumone, in
Ciociaria, territorio dei Caetani e ivi rinchiuso; qui il vecchio
Pietro, quasi novantenne, morì il
19 maggio 1296
.
La versione ufficiale sostiene che Pietro sia morto dopo aver
recitato, stanchissimo, l'ultima messa. La teoria secondo la quale
Bonifacio ne avrebbe ordinato l'assassinio, secondo noi, è priva di
fondamento, anche se, di fatto il Papa ne ordinò l'arresto che causò
la morte. Considerato il carattere di Pietro, l’età e la stretta
sorveglianza cui era soggetto non ce ne sarebbe stato motivo. Il
"foro" che si vede nel cranio potrebbe essere la conseguenza di un
ascesso di sangue
Bonifacio portò il lutto per la morte del predecessore e celebrò una
messa pubblica in suffragio per la sua anima dando inizio, poco
dopo, al processo di canonizzazione.
Fu sepolto nei pressi di Ferentino, nella chiesa di
Sant'Antonio sita nell'abbazia celestina che dipendeva dalla casa
madre di Santo Spirito del Morrone. Nel febbraio 1317, le spoglie
furono traslate a L'Aquila, nella basilica di Santa Maria di
Collemaggio, dove era stato incoronato Papa. Sulla data e sulle
modalità di traslazione delle spoglie vi sono tuttavia diverse
versioni.
Il
5 maggio 1313, fu canonizzato da papa Clemente V, a seguito di
sollecitazione da parte del re di Francia Filippo il Bello e per
acclamazione popolare, accelerando moltissimo l'iter avviato da
Bonifacio.
Le tribolazioni di Pietro da Morrone riprendono nel XX
secolo. Il
18 aprile 1988 la salma di Celestino V fu rubata e venne ritrovata,
dopo due giorni, nel cimitero di Rocca Passa, nel comune di
Amatrice. Non si sono mai scoperti né i mandanti né gli esecutori.
In seguito al terremoto dell'Aquila del 2009, il crollo della volta
della basilica ha provocato il seppellimento della teca con le
spoglie, recuperate poi dai Vigili del Fuoco, dalla Protezione
Civile e dalla Guardia di Finanza.
Al di là di queste vicende rimane tuttavia l'atto di
coraggio di Celestino, che rifiutò di servire la "chiesa
politica", anche perché la figura di umile e sprovveduto frate di
provincia che ci viene tramandata non corrisponde a realtà:
Pietro da Morrone fondò un proprio ordine, guidò monasteri, fece
costruire abbazie. Il motivo vero della rinuncia è dunque
riconducibile alla sua limpida condotta morale, alla volontà di non
essere un servo del potere politico e al riconoscere, egli stesso,
la sua incapacità di opporsi a tale organizzazione. Forse è questa
la ragione per la quale questo papa viene ancora oggi ricordato con
ammirazione e a titolo d'esempio.
Dante narra di "colui che fece per viltade il gran rifiuto"
(Inf. III, 58-60). Il personaggio, volutamente ignoto, venne
identificato in Celestino V, ma ci sono diversi studiosi che
propongono ipotesi diverse. Dante, che sceglieva nel modo
più preciso possibile le parole, scrive di un " rifiuto"
mentre quella di celestino fu una "rinuncia" che è cosa ben
diversa. Inoltre Dante era profondamente religioso e non
avrebbe mai posto all'inferno un santo (il poema venne
pubblicato nel 1319, sei anni dopo la santificazione di
Celestino). Alcuni studiosi avallano l’ipotesi che Dante si
riferisca al cardinale Matteo Rosso Orsini. Quest'ultimo,
dopo la rinuncia di Celestino, era stato eletto papa al
primo scrutinio dal Conclave ma rifiutò l'elezione per poi
sostenere la candidatura del futuro papa Bonifacio VIII. Se
avesse accettato il papato avrebbe dovuto mettersi al di
sopra delle parti, mentre, con l'elezione dell'amico Caetani,
riuscì a far espellere l’odiata famiglia dei Colonna,
sequestrandone i beni e privandola dei titoli.
Da
non confondere con Carlo detto Martello (circa 685 –
Quierzy-sur-Oise, 22 ottobre 741) figlio di Pipino d’Héristal ed eroe della battaglia di Poitiers nell’ottobre
del 732.
Celestino V istituì a Collemaggio un prototipo del Giubileo,
successivamente copiato dal suo successore Bonifacio VIII.
Guglielmo Stendardo (Guillaume Étendard, sceso in Italia a
seguito di
Carlo I d’Angiò) nel
1268,
mentre Carlo I d'Angiò si trovava a
Lucera, fu mandato ad arginare una parte
dell'esercito di
Corradino di Svevia che era sbarcato in Sicilia
al comando di
Corrado Capece. Stendardo vinse e si segnalò per le atrocità
commesse, in particolare ad Augusta e a Centuripe, dove la
popolazione fu massacrata: allo stesso Capece, prima di
essere impiccato ed esposto sulla spiaggia di Catania,
furono cavati gli occhi. Per la crudeltà mostrata in
Sicilia, fu detto uomo di sangue. È sepolto nella Basilica
di San Lorenzo Maggiore di Napoli.
(
http://it.wikipedia.org/ )
Eliminato un potenziale antipapa, il primo atto politico cui
Bonifacio dovette adempiere fu la risoluzione della
controversia che si protraeva dall'epoca dei "vespri
siciliani", cioè dal 1282, tra gli angioini e gli
aragonesi per il possesso della Sicilia. A Napoli governava
Carlo II d'Angiò e in Sicilia
Federico d'Aragona. Il 12 giugno del 1295, spinto dal
Papa, che parteggiava per l'angioino avendolo questi aiutato
nella cattura del Morrone, Giacomo II sottoscrisse il
Trattato di Anagni con il quale rinunciava ad ogni diritto
sulla Sicilia a favore del Papa. Mentre questi, a sua volta,
li trasferiva a Carlo d'Angiò. Ma la Sicilia si ribellò,
preferendo come re il suo governatore Federico d'Aragona e
non l'angioino. Il Papa fu costretto ad acconsentire e
incoronò Federico nella cattedrale di Palermo il 25 marzo
1296. Questa incoronazione fu la prima amara sconfitta per
papa Bonifacio. Questa sconfitta sarà sanzionata
successivamente e definitivamente con la
Pace
di Caltabellotta, stipulata nel 1303 tra
Roberto d'Angiò,
figlio di Carlo II, e Federico. L'accordo prevedeva la
distinzione politica fra il Regno di Sicilia, in mano agli
angioini e limitato alla parte continentale del meridione
d'Italia, ed il Regno di Trinacria, costituito dalla Sicilia
e dalle isole adiacenti, con Federico III d'Aragona come re
indipendente e assoluto.
Bibliografia
-
Maria Burani, Celestino V. Papa, eremita e santo,
Città Nuova. 1993
-
Paolo Golinelli, Celestino V. Il papa contadino,
Mursia, Milano, 2006
-
Ignazio Silone, L'avventura di un povero cristiano,
Mondadori, Milano 1998
-
Cronologia.leonardo.it/biogra2/celest5.htm
-
http://it.wikipedia.org/wiki/Papa_Celestino_V
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