Le Pagine di Storia

L’impiastro delle piastre

di Augusto Martelli

Ricorre quest’anno il 25° anniversario dell’apparizione sulla scena della storia della spedizione garibaldina in Sicilia dei tre milioni di franchi francesi, convertiti in un numero imprecisato di piastre turche, versati da mano ignota forse scozzese direttamente a Garibaldi “probabil-mente” per “colpire il Papato nel suo centro temporale”, cioè Roma, passando per la Sicilia.

Poiché gli anniversari vanno, se non celebrati, almeno ricordati non sarà forse inutile rileggere la fonte principe di questa rivelazione, dalla quale le piastre turche sono poi tracimate fino a divenire un gran fiume per spericolati navigatori della mitica rete: Giulio Di Vita, Finanziamento della spedizione dei Mille, in AA.VV., La liberazione d’Italia nell’opera della Massoneria. Atti del convegno di Torino 24-25 settembre 1988, Bastogi, Foggia, 1990, pp. 379-381 [1].

Di Vita sottolinea giustamente che “non molto è noto e documentato sul finanziamento dei Mille” (p. 279): anche se, per la verità, un po’ trascurato si mostra anche lui, affermando che “quanto viene solitamente riferito è un modesto versamento – circa 25.000 lire – fatto da Nino Bixio a Garibaldi all’atto dell’imbarco dei Mille da Quarto” (ivi). Eppure in un documento ufficiale del 10 luglio 1860 sulle spese sostenute durante la spedizione Ippolito Nievo aveva scritto chiaramente che nelle casse dell’intendenza garibaldina, dopo aver pagato il noleggio di Piemonte e Lombardo, e aver acquistato armamento, munizioni e vestiario per i volontari erano rimaste “circa lire novantamila italiane” [2]: ma di fronte all’importanza della scoperta da lui fatta, evidentemente Di Vita aveva scelto di non curarsi de minimis. Le sue indagini condotte “in archivi e su periodici di Edimburgo” gli avevano infatti consentito di accertare che a Garibaldi a Genova erano stati segretamente versati “tre milioni di franchi francesi […] in piastre d’oro turche” (ivi). Certo è curioso che di un finanziamento segreto si parlasse sui giornali: ma, per conservare almeno in parte all’evento un alone di mistero, Di Vita non ci fornisce l’elenco di questi periodici, né le date di pubblicazione delle notizie in questione: anzi non ci svela proprio nulla, così come non soltanto non pubblica la documentazione che afferma di aver rinvenuto, ma non ci informa neppure su quali siano i fondi da lui consultati, in quali archivi si trovino, quali documenti vi abbia trovato, da chi redatti: e d’altronde, se non si è capaci di serbare il silenzio, che massoni si è?

Comunque, garantisce Di Vita, l’esistenza della cassa segreta è confermata da Nievo in persona che, in una lettera alla sorella, le svelava di dormire tenendo un “cumulo di “sacchetti d’oro” sotto il suo pagliericcio” (p. 380). Quando in effetti il povero Ippolito trovasse il tempo di dormire è per noi davvero un mistero: pensate alla “fatica da facchino” – come avrebbe detto Gioacchino Belli – e al tempo necessari per estrarre ogni sera dalle casse i sacchetti con le fantomatiche piastre turche, formarsene un materasso, sdraiarcisi su e poi per ricollocarli nelle casse, caricarli su adeguati mezzi di trasporto e rimettersi in marcia il giorno seguente, e sempre con la massima cautela per non essere scorto: ci saranno volute delle ore.

Ma, ammicca lo storico Di Vita, “questo dettaglio” (p. 380) può contribuire a spiegare la misteriosa morte di Nievo, nel naufragio della sua nave nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1861, naufragio che una “voce” (p. 380) attribuì a sabotaggio. E qui la lezione di metodo storico che Di Vita ci sta impartendo raggiunge il culmine: “questo pare sia stato recentemente confermato da esplorazioni subacquee”. Se, quando, da chi queste esplorazioni siano state compiute e con quali esiti Di Vita non ci dice: “pare”, e tanto basta.

Né l’articolo è meno reticente su altri “dettagli”: questa somma, “veramente ingente”, “questo potente aiuto” a Garibaldi da chi venne non lo si dice. Il fine invece è chiarissimo: convertire, naturalmente con il luccichio dell’oro, “potenti dignitari borbonici dal Sanfedismo alla democrazia liberale” (ivi). Certo, ammette Di Vita, “non possiamo formulare accuse specifiche di corruzione a carico di ufficiali e di autorità amministrative e civili del Regno delle Due Sicilie”: in parole semplici, non c’è alcuna fonte, primaria, secondaria, o come la si cerchi, dalla quale risultino fenomeni corruttivi: ma “non è assurdo pensarlo”, e dunque pensiamolo liberamente.

Certo, qualche piccola difficoltà in questo pensamento c’è. La “piastra d’oro turca” puramente e semplicemente non esisteva, l’economia ottomana non era certo la più solida del XIX secolo, non si riesce a comprendere – al di là della totale assenza di documentazione sul punto - la ragione per la quale ipotetici finanziatori probabilmente scozzesi, dato l’esplicita indicazione di Edimburgo quale sede delle indagini di Di Vita, avrebbero deciso di rinunciare all’uso della sterlina, accettata e quotata su qualunque piazza finanziaria, o del solidissimo franco francese, per adoperare quella che sembrerebbe – a prender sul serio Di Vita – essere stata la “lira” (e non la piastra) turca, che esisteva ma non godeva certo dello stesso credito.   

L’articolo ammette infine che “non sono emersi […] documenti sulle deliberazioni decisionali” cioè sul perché non si sa chi abbia deciso di erogare il finanziamento a Garibaldi, ma in fondo – ricordo io - gli storici greci non si sognavano affatto di citare le loro fonti: e dunque perché il nostro bravo rerum scriptor dovrebbe arrestarsi di fronte all’assenza di documenti? “Probabilmente”, è una delle ipotesi di Di Vita, si voleva giungere a Roma partendo dalla Sicilia, scelta perfettamente logica e del tutto scevra da rischi visto che si doveva soltanto attraversare l’intero regno delle Due Sicilie; e creare – e qui finalmente Di Vita dice una cosa sensata – un contrappeso alla Francia nel Mediterraneo, favorendo la formazione di uno stato italiano unitario.

D’altronde per qualificare correttamente la performance del nostro storico bastano le ultime righe della sua relazione, laddove afferma che la spedizione dei Mille (maggio - ottobre 1860) fu “parallela” alla guerra di secessione americana, iniziata il 12 aprile 1861 con il bombardamento di Fort Sumter, alla rivoluzione industriale, avviatasi nella seconda metà del Settecento in Gran Bretagna, e al canale di Suez, aperto nel 1869.

Da questa cristallina sorgente sono scaturiti i fiumi dei quali parlavo prima: con piastre turche il cui valore e numero è estremamente ballerino - il loro numero varia da diecimila (Silvia Stucchi, Il tesoriere dei Mille fatto fuori dagli inglesi, Libero quotidiano, 9 aprile 2010, che cita a sua volta dal libro di Cesare Maria Glori La tragica morte di Ippolito Nievo) a 130.434 (L’oro di Garibaldi in piastre turche?, in Eleami.org, 7 dicembre 2011, che una fonte “certa” però ce l’ha: un libro, naturalmente anonimo, stampato a Venezia nel 1860 che però di “piastre turche” non parla affatto) ed il povero Nievo che non si sa più se sia stato vittima inconsapevole di oscure trame oppure occultatore malizioso di tesori nascosti. E che, comunque, nel suo pubblico resoconto, precisava che in cassa nella discesa da Parco a Palermo v’erano ancora più di quarantamila lire in argento e rame, che gravavano sulle spalle di un eroico milite, ridottesi il 10 luglio 1860 a lire 16.048 e cent. 67.

Quanto ai misteriosi conti garibaldini, rinvio i sedicenti revisionisti alla lettera inviata dallo stesso Nievo alla Perseveranza nella quale non c’è traccia di fantomatiche piastre turche e massoniche – e che io non riassumo qui: il lettore faccia almeno la fatica di alzarsi dalla sedia e raggiungere una qualunque pubblica biblioteca dove troverà il volume della Ricciardi su Nievo.


Note

[1] Indico con il solo numero di pagina tutte le citazioni tratte da questo testo.

[2] Resoconto amministrativo della prima spedizione in Sicilia, in I. Nievo, Scritti politici e storici, Cappelli, Bologna 1965, p. 99. Il documento, firmato dall’intendente generale Acerbi, fu redatto dal Nievo che rivestiva la carica di vice-intendente.

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