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Il Contagio e Napoli.

Mai un minuto di quiete!

di Gherardo Mengoni

Avvertenza: le vicende qui riportate sono desunte da note pressoché illeggibili di uno scrivano disordinato. Da esse non può trarsi alcuna certezza storica circa l’esistenza delle figure richiamate ed il susseguirsi degli accadimenti descritti.

4 febbraio 1575

Un messo entrò accompagnato dal Camerlengo. Recava un messaggio “medicato” del Protomedico Don Inigo Gomez componente del Consiglio Collaterale del Viceregno di Napoli.

Il segretario Generale del Vicerè aprì il foglio staccando il sigillo:

“Eccell.mo Don Fernado.....

Nel mese passato de augusto furono segnalati generici pericoli da parte del Deputato a vita per il governo della Peste del Principato Ultra don Diego Vargas. Nella zona di Aeclanum - Quintodecimo, in un pagliaio, erano stati trovati due pastori morti, con corpo sfigurato da pustole nere e la pelle di colore viola. Con prudenzia et accorta disinfezione vennero incendiati il pagliaio con i corpi dei due pastori e tutte le loro trenta pecore. Per venti giornate nessuna notizia si aggiunse a quella dei due morti, ma proprio al ventunesimo giorno si verificò un'altra morte sospetta. Una prostituta che nella zona di Aeclanum girava per le campagne ed i poderi vendendo il proprio corpo, fu trovata morta nel suo tugurio, sulla strada che porta ad Ariano. La donna aveva gli stessi segni dei due pastori; pustole nere e colore viola della pelle. Le pupille degli occhi dilatate al massimo, segno di grande sofferenza e di lunga agonia. L'officiale di giustizia Vargas, pur osservando il massimo riserbo per non spaventare la popolazione dei Casali che circondano Aeclanum, dietro mio ordine ha fatto vacare "due manigoldi”per li casolari ville e trappeti allo scopo di verificare lo stato di salute delle genti. Ma nessun fatto nuovo si è verificato per circa tre mesi. Nessun medico, chirurgo o speziale ha segnalato casi sospetti fino a 10 giorni fa, quando sono stati rinvenuti senza vita una madre con un suo figlio in fasce di appena 10 mesi. I corpi presentavano i segni predetti che fanno pensare alla Peste nera.

Tanto premesso propongo a Vostra Eccellenza Segretario di ordinare il “Blocco Sanitario” per la zona di Aeclanum per un raggio di due miglia e di impedire così che si entri o si esca dal detto territorio senza permesso medico scritto e”medicato” presso le postazioni di controllo.

Tale provvedimento, reso tempestivo ed efficiente dall’intervento della Eccellenza Vostra Ill.ma; con l’assistenza di S. Rocco, che mai deve abbandonare la nostra popolazione, potrà evitare, si spera, il contagio e la diffusione della Peste a Napoli e nel Viceregno.

Al dì 1 del mese di dicembre dell’Anno Domini Mille ciqucentosettanta cinque, mi firmo

Vostro Umile Servitore Don Inigo Gomez Protomedico”.

Don Fernando lesse e rilesse il messaggio. Di colpo tornarono alla mente immagini della sua poverissima infanzia nella Masseria di Aversa. I racconti dei vecchi e dei genitori che enumeravano morti e morti per la Peste, prima nel 1526 poi nel 1528 e poi ancora nel ‘30 e ’31. Nei racconti c’era il fatalismo del popolo sottomesso; la rassegnazione di coloro che sanno di non aver alcuna arma per difendersi dalla calamità. Stato assente; Cordone Sanitario nemmeno ipotizzato a tavolino prima del 1531.

Immagini cupe, sensazioni tremende di gelo e di morte ad ogni angolo di strada. Le carrette su cui venivano caricati i morti. La fossa comune e il getto di calce che copriva i cadaveri.

Agli atti dei suoi Archivi c’era scritto che erano morti di peste tra il 1530 e ‘31 almeno 60.000 individui. Poche le vittime tra la nobiltà e la fascia dei ricchi, notabili e commercianti. Tanti fra costoro potevano fuggire in tempo dalla città e rinchiudersi, lontano dall’insidia, nei Castelli e nei Casali. Quello che pagava il tributo più alto era il popolo basso, senza difese, condannato dalla inerzia e dalla scarsità di medici, di speziali e di medicamenti.

- Certo, pensava tra se e se, ci sono stati inspiegabilmente anni di relativa tranquillità a partire dai primi anni ’40 e fino ad oggi. Ci eravamo quasi dimenticati della Peste! Abbiamo lentamente abbandonato le modeste misure preventive d’un tempo, lasciando il vincolo solo al servizio di Posta ove ogni lettera, ogni messaggio o plico, in verità, viene rigorosamente “medicato” in ingresso ed in uscita. Ma la Peste, se vuol tornare, non si fa fermare dalla carta bruciacchiata! Passa con mezzi diversi, con il respiro, lo sputo, i vestiti sozzi….! Avessimo saputo in questi anni migliorare almeno le condizioni sociali ed igieniche della città e dei Casali! Niente di tutto questo! Avessimo in tempo saputo valutare il flusso di pellegrini che avrebbe traversato i nostri territori per recarsi a Roma per il Primo Anno Santo della Storia così come istituito da Papa Gregorio XIII. Quante razze, quanti tipi e provenienze differenti! Ci vuol poco a trasmettere il male che, dicono i preti, è una vendetta di Satana! –

Che fare? Certo qualche cosa debbo fare e subito!

Decise di convocare immediatamente l’ingegnere delle Regie Strade Benvenuto Tortelli per affidare a lui, stimato funzionario, la predisposizione dei blocchi sulle strade e sui sentieri della zona da isolare. Il Tortelli aveva alle spalle una lunga carriera. Era un prezioso innovatore e progettista in Architettura e possedeva una esperienza pratica nella manutenzione di ponti e strade. Non appena fu informato in via riservata del pericolo che si sarebbe dovuto fronteggiare, manifestò tuttavia, con il buon senso che gli derivava dalla lunga pratica, molte perplessità sulla efficacia e tenuta di un blocco sanitario limitato a postazioni stradali. Osservò che i pastori con le loro greggi, i contadini per semina e raccolta, erano adusi spostarsi fuori dalle “carretteras” ; il guado di fiumi e ruscelli avveniva, poi, dove l’altezza dell’acqua lo consentiva e quindi non sempre nei medesimi punti. Suggerì in aggiunta al “blocco delle strade” l’impiego di pattuglie di militi ai quali affidare un “censimento per fuochi”. Avrebbero spiegato, con bandi e messaggi verbali, la necessità del controllo per i componenti, nessuno escluso, di ogni singolo nucleo familiare.

Solo così – ripeteva l’ingegnere – potrete avere più chiara la dimensione effettiva del pericolo e dare ai medici giuste disposizioni.

- D’accordo con quanto suggerite - disse don Fernando - Entro una settimana useremo le milizie spagnole di stanza sul territorio che, invece di mangiare a sbafo e di inseguire ogni sottana che passa, una volta tanto faranno qualcosa di utile. Le pattuglie di terçios ispezioneranno casali e masserie; capanni e caverne dell’area circoscritta. Forniranno informazioni al Protomedico Gomez e, al medico di zona Vargas, deputato a vita per la Peste. Essi dovranno provvedere ad isolare i casi sospetti e riferire d’urgenza a me direttamente. Ma, sia ben chiaro, anche da Voi e dai vostri uomini mi attendo la massima efficienza e collaborazione. Se durante le incursioni notturne i militi scopriranno adunate di janare nei pressi della Mefita di Rocca S. Felice o in altre zone dell’area di Quintodecimo, l’ordine è di procedere al fermo delle donne sospettate ed alla segnalazione al Vescovo di Nusco, per la immediata denuncia di “stregoneria” al Tribunale Ecclesiastico -

Passarono giorni di attesa e di apprensione dopo che le pur modeste misure di “isolamento” dell’area sospetta ebbero pratica attuazione. Non venne segnalato alcun caso di peste nella zona di Aeclanum. Per almeno un mese sembrò allontanarsi il pericolo di diffusione del morbo. Le “janare” si chiusero in casa e rimandarono a tempi migliori le loro adunate notturne!

Accadde tuttavia, con l’inizio dell’estate, che venne individuato un vascello mercantile sospetto, in quarantena al largo del porto di Gaeta. Proveniva da Livorno con un carico di pesce essiccato. A bordo due marinai presentavano segni bluastri sul corpo, febbre alta e sudorazione continua nonostante il freddo e l’umido invernale. L’ordine di “quarantena” impediva l’attracco. Nessuno poteva sbarcare dal vascello. Acqua e viveri venivano portati sotto bordo e caricati su una barca di appoggio badando ad evitare ogni possibile contatto con la ciurma. Trascorsero lunghi giorni di apprensione. Entrambi i marinai a distanza di poche ore morirono. Per ordine del Medico Deputato di zona i corpi non furono, come l’usanza avrebbe voluto, gettati in mare. Tutto rimase immobile per un tempo indefinito. Poi i componenti della ciurma, comandante, nocchiero e timoniere compresi, trascorsi che furono i quaranta giorni d’attesa, vennero considerati immuni dal contagio e trasbordati completamente nudi su una imbarcazione portuale che li condusse finalmente a terra ove trovarono acqua, sapone e vesti pulite. Il vascello venne incendiato in uno ai corpi dei due sfortunati marinai.

Don Fernando venne informato del caso di Gaeta e del fatto che, almeno per il momento, non si segnalavano altri focolai di infezione nel territorio del Viceregno. Emise un sospiro di sollievo.

- Le difese per ora funzionano, pensò. Sarebbe stato un inferno una esplosione di infezione nell’ambito della città di Napoli. Pullulava di infelici riversatisi negli anni dalle vicine campagne. Vivevano di stenti e dormivano all’aperto coperti di poveri stracci. Il Lazzaretto non avrebbe retto ed i morti si sarebbero accatastati agli angoli delle strade per essere portati poi alle fosse comuni e ricoperti di calce, come impresso nei miei ricordi. Quella plebe, quelle anime perse e affamate, vaganti per la città rappresentano, intanto, il vero contraltare alla cattiva gestione dell’intera provincia spagnola esistente nel Meridione d’Italia.

Il popolo guarda inerte tutte quelle manifestazioni di sfarzo, quella sprezzante albagia che, con l’alibi della appartenenza alla Corte, mostrano, ormai il costume della Nobiltà di città. Non uomini di Stato, pronti a risolvere i tanti seri problemi che si presentano quotidianamente, ma “perdigiorno infiocchettati” che quando non si occupano di caccia al cinghiale pensano a feste e banchetti, circondati da dame pruriginose e lascive nelle cui alcove essi si alternano senza alcuna remora morale. Quanto dovrà durare questa mortificazione? Quanto tempo ci separa da una possibile insurrezione, non tanto contro la Spagna della quale, ormai, il nostro territorio fa parte, ma piuttosto contro questi scialacquatori che sui “diritti feudali acquisiti in tempi passati” costruiscono, con alterigia, boria e disumanità, la loro vicenda quotidiana del “non far nulla”. -

Nel pensiero di don Fernando, con quel suo ragionare freddo e scevro da condizionamenti, emergeva drammaticamente il senso politico del lungo momento storico che attraversava l’intero Meridione d’Italia, con le tragiche negatività ed i ritardi sociali che erano “visibili anche ai ciechi”!. Pensava alle imposizioni dei pesanti “donativi” in cambio di nulla; alle altre forme di prelievo; alla coscrizione obbligatoria dei “servi della gleba”. A ben guardare, era l’intero tessuto popolare che subiva ogni tipo di vessazione, con la complicità di un Chiesa che viveva di terrorismo psicologico e di concessioni d’indulgenze!

L’analisi spietata e obbiettiva di un personaggio così in vista come il Segretario Generale del Viceregno di Napoli non poteva che essere tenuta nel segreto della propria coscienza. Lui che aveva tanto potere, e che non aveva esitato a far eliminare feroci delinquenti nemici del vero interesse dello Stato. Ebbene lui per un qualunque cenno pubblico a favore di quel popolo derelitto avrebbe perduto di colpo potere e posizione e sarebbe stato allontanato, in men che non si dica, dal Palazzo.

- Intanto, pensava don Fernando, se la Peste non arrivasse a Napoli ci resterebbe tempo da dedicare alle altre mille necessità del Territorio. –

Parole di speranza ma non profetiche! Troppa fiducia nel destino della città! Nei mesi successivi del 1575 la Peste trasmessa, secondo la tesi più attendibile, dai Pellegrini che si recavano a Roma per l’Anno Santo si propagò in tutto il Viceregno, con tanti morti e tanti disagi, anche se con minor virulenza delle precedenti ondate.

- Don Fernando, esausto ripeteva. “Mai un minuto di quiete, un attimo di respiro! Terremoti, Eruzioni, Mareggiate e queste Epidemie che vanno e vengono a piacimento!

- Dicono che la nostra è “una Terra, benedetta da Dio”. Ma sono proprio sicuri?”

Gherardo Mengoni


Racconto inviato dall'autore al Portale del Sud nel mese di maggio 2014

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