Pensiero Meridiano

 

La torre di Babele dei sedicenti liberali

di Pierfranco Pellizzetti

Dopo decenni di eclisse se non discredito, nell'ultima decade "libertà" e "liberale" sono diventate le parole al top del dibattito politico italiano. Una svolta a 180 gradi! Va detto che, in passato, anche gli sparuti gruppuscoli di sedicenti "liberali" avevano direttamente contribuito alla triste sorte del concetto, prima ancora del termine.

Il partito che si fregiava di quel titolo fu a lungo guidato da un leader con i paraocchi - quale Giovanni Malagodi - che equivocava tra libertà e proprietà (finendo affittato alle Iobby dei rentiers); i suoi dirigenti non di rado esibivano una cultura da Baistrocchi. Evidente che un tale team retroverso, sospettoso del cambiamento e psicologicamente aggrappato a un bouquet di piccoli privilegi appassiti, si trovasse nella totale impossibilita di leggere il Welfare State come un'età dell'oro della libertà; capire che il presunto socialista Keynes (nume tutelare dello Stato sociale) è stato il più grande liberale dell'epoca.

Eppure quella fu stagione in cui la promessa della piena occupazione si avvicinò al suo avverarsi. Dunque, allargò le dimensioni della libertà; visto che, senza sicurezza materiale, essere liberi è pura espressione verbale.

Come si diceva, il vocabolario e le idee sottese mutano drasticamente quando - a partire dagli anni Ottanta - la rivolta nei confronti delle bardature burocratiche dello Stato, la "grande insurrezione del privato contro il pubblico", si ammanta di retorica descrivendosi come una guerra di liberazione. Ma il remake di successo avviene all'insegna della deliberata ambiguità, di una confusione terminologica volutamente babelica. Il trucco è chiarissimo: camuffare in interesse generale quelli che -in realtà - sono solo privilegi esclusivi.

Un oligopolista seduto su un immenso patrimonio di controversa origine (Montanelli lo definiva "il più grande piazzista d'Italia") si atteggia a liberal/Iiberista e riesce a turlupinare la maggioranza degli elettori. Ora se la ride dai megamanifesti affissi sui muri di tutto il Paese, istoriando il proprio faccione plastificato con le battute dell'ennesima barzelletta: «Abbiamo rispettato tutti i nostri programmi... e andiamo avanti». A Milano quelli come lui li chiamano ganassa.

Un teologo inanella sul tema le sue considerazioni: «La libertà, prima di essere un'opzione, è una dimensione dell'uomo in quanto inclinato verso il divino, dell'uomo in quanto spirito». E che vuol dire? Una parafrasi clericale del tip-tap reazionario e statalista di Hegel, secondo cui "la libertà è sottomissione alla legge"?

Ma possibile che si continui a stravolgere impunemente un concetto semplice e lineare come quello che la libertà riguarda la vita concreta? Nel senso "negativo" di assenza di costrizioni (libertà da); in quello "positivo" di possibilità di volere (libertà di). Esempio classico: il paraplegico che giunge alle soglie di un giardino pubblico, dove intende entrare, è libero formalmente (negativamente) se non ci sono cartelli che gli vietano l'accesso; lo è realmente (positivamente) se trova uno scivolo che consente alla sua sedia a rotelle di superare l'ostacolo rappresentato dai gradini all'entrata. Tutto qui, senza tante fumisterie aggiuntive.

Attorno a queste intuizioni si è sviluppato nei secoli un pensiero politico che scruta criticamente il Potere e il suo operato; vuoi come produzione di divieti, vuoi come sottrazione di risorse per l'azione. Si chiama Liberalismo, nelle numerose traduzioni storiche di un'unica esigenza: mettere sotto controllo i governanti, rendendone ispezionabile l'operato. Da Montesquieu a Tocqueville, da Stuart Mill a Russell. Lord Dahrendorf ha recentemente parlato di «atteggiamento intellettuale: dubbio senza disperazione» (“La società riaperta", Laterza, Bari 2005, pag. 212).

Alla luce di quanto spiega il bigino, definire la nostra un'età a forte tasso di liberalismo sembra - a dir poco - una spudorata presa in giro. Intanto stiamo imparando, nostro malgrado, a coesistere con una disoccupazione di massa strutturale. La rassicurante novella della formazione permanente che garantirebbe occupabilità cozza con il dato statistico della mattanza di buoni lavori sostituiti da quelli precari, la migrazione delle occupazioni verso aree che consentono l'ipersfruttamento (che dire della giornata lavorativa cinese di 16 ore a 90 cent?). È in corso l'espropriazione della decisione pubblica: dalle ragioni manipolate dell'intervento in Iraq, in cui la presidenza Bush ha superato ogni spudoratezza, fino alla questione del decoder per digitale terrestre finanziato con legge dello Stato italiano, di cui Berlusconi afferma non sapere nulla (anche se questa decisione si è rivelata un bell'aiutino per contenere la sfida competitiva di Sky a Mediaset).

Mentre cresce tra la gente la paura di un futuro sempre più incerto, la Chiesa riprende il controllo dei corpi attraverso le menti chiamando libertà la sottomissione al suo volere, certificato dal sigillo divino (puro terrorismo psicologico; che Ridley Scott rappresenta con efficacia nel suo ultimo film - "I Crociati" in quell'identico e simultaneo "Dio lo vuole" che tanto i vescovi cristiani come i religiosi musulmani gridano alle rispettive armate prima della battaglia): si è liberi solo rinunciando al buon senso; ad esempio, ammettendo la non distinguibilità tra embrione e persona Si direbbe che Shakespeare prevedesse queste "edificanti" vicende già al momento in cui fa pronunciare al suo Coriolano l'immortale detto: «Libertà, quanti misfatti nel tuo nome vengono compiuti».


Tratto da “Il Secolo XIX”, gennaio 2006. Pierfranco Pellizzetti è opinionista di Micromega.

Centro Culturale e di Studi Storici "Brigantino- il Portale del Sud" - Napoli e Palermo

admin@ilportaledelsud.org ®copyright 2006: tutti i diritti riservati. Webmaster: Brigantino.

Sito derattizzato e debossizzato