la collezione d'arte: Domenico Pellegrino

 

"Kuros e Kore"

Note sull'artista

Domenico Pellegrino è stato uno dei primi artisti che negli scorsi anni hanno deciso di dedicare tutta la propria attività artistica alla registrazione e alla catalogazione di personaggi-modello della vita giovanile quotidiana. Il suo primo passo è stato quello di dotarsi di uno strumento di “registrazione” adatto alla realtà contemporanea; le macchine fotografiche o da presa non sarebbero bastate a manifestare quel legame simbiontico che le giovani generazioni hanno instaurato con gli strumenti informatici: egli ha così modificato uno scanner, rendendolo verticale, e ha imposto alle sue immagini un filtro digitale che manifesta sempre in ciò che l’artista ritrae la metafora del “punto di vista del computer”. In sostanza ciò che lo scanner di Pellegrino riprende è rappresentato poi con i vari colori dello spettro solare distribuiti a seconda della diffusione del calore corporeo: ciò che la cinematografia hollivoodiana (si tengano presente ad esempio film come Terminator, Predator o Alien o telefilm come Star Trek ecc.) ci ha abituato essere l’unico tipo di visione possibile per una macchina.

Ma cos’è che Pellegrino ritrae? I suoi soggetti sono in buona parte persone che hanno chiesto all’artista di essere ritratte, per il piacere ed il desiderio di vedersi rappresentati in pubblico.

“Domenico Pellegrino, artista nato pittore e scenografo, ma che ha poi trovato la sua più autentica ispirazione nell’arte digitale. Lo scanner (termine che già in italiano si connota di bagliori sinistri) è il suo strumento tecnico prediletto e il suo tavolo da vivisezione; il corpo umano, l’enigma da interrogare.

Scelti dunque i modelli, maschi e femmine indifferentemente, Domenico li sottopone a scansioni febbrili, esponendoli alle luci calde e fredde che virano il colore o all’uso di lenti che ne deformano le sagome, per accorgersi con sorpresa che lo scanner, tutt’altro che inerte, reagisce alle differenti cromìe dei modelli: se biondi o bruni, tatuati o pelosi, trasponendoli in una fantasmagoria di colori, in un’estrema e quasi voluttuosa deliquescenza, che testimoniano appunto il trascorrere dell’ordinario nel mondo rarefatto degli archetipi, dei totem, dei tratti maculati della Sindone. Qui le figure – come nei mosaici bizantini, ieratiche ed astanti- levitano nell’aria, assumono l’aspetto d’esseri pietrificati nel mezzo del loro movimento, creano le arcane atmosfere che è possibile rinvenire in certi brani sontuosi dell’Endimione di John Keats. E, nel contempo, bizzarre e chimeriche bellezze si evidenziano, dove le singole parti attingono inedite proporzioni, gli elementi solidali si dissociano, le masse carnose divengono, quasi in assenza di gravità, imponderabili.

Come Narciso, che nel lago rispecchia, oltre la propria immagine, l’intero universo, fatto d’astri, di piante e d’animali, anche in queste opere gli spettatori, forzati a identificarsi nelle tregende dei corpi, nell’allucinazione degli specchi, si riconoscono infine elementi inalterabili del cosmo, dove ciò che si corrompe rinasce, reintegrandosi in nuovi cicli vitali” (nota critica di Aurelio Pes)


Tratto dalla presentazione della personale “Kuros e Kore”, Bquadro Eventi e Comunicazione Palermo. 25 maggio - 7 giugno 2010

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