Alfonso Miola così raccontava
Pasquale Baffi
[1]
Cento anni son passati: si era al
novembre del 1799 e al carnefice non si dava ancora riposo. Agli 11
di questo mese di lunedì, nel solito luogo del Mercato
(scrive un cronista del tempo) è stato afforcato l’uomo dotto e
bibliotecari D. Pasquale Baffi. E aggiungo un orribile
particolare, e cioè nel buttarlo giù il carnefice si è sciolto ed
è stato afforcato la seconda volta. Il fatto del non esser morto
alla prima sotto il supplizio e dell'essere stato finito in un modo
qualunque dal carnefice, per quanto faccia raccapricciare, fu pur
troppo vero. In un vecchio manoscritto, che è stato dato in questi
giorni alle stampe si legge: Fu anche scannato per essere stato
cattivamnite afforcato.
Chi fosse Pasquale Baffi
sentiamolo dapprima dal nostro cronista, già in anzi citato, il
Marinelli il quale fa seguire la notizia della morte da queste
parole: Con la sua morte si è perso l’uomo dotto e l’uomo
affabile ed amico. Esso era di bassa, statura, brunetto di faccia e
ha lasciato due figli. Era unico nella Letteratura
Greca, sapendone di diversi linguaggi, che
lo parlava bene, i diversi caratteri e
le diverse cifre. Essendo Rappresentante del Popolo nel
Governo Provvisorio, ciò che guadagnava dava ai
poveri. Niuno perciò ardì di arrestarlo nella comune rivoluzione.
Queste parole dell'onesto e
veritiero scrittore nell’ingenua loro forma già ne preparavano
l’animo a favore del nostro Baffi. Egli era un figlio della forte
Calabria, un discendente dell'antica razza Albanese. I suoi maggiori
ebbero stanza a Santa Sofia d’Epiro, un paesello in provincia di
Cosenza, dove nella chiesa principale si vede tuttora l’antico
sepolcro di famiglia con su l’arma gentilizia dei Baffi. Colà dai
coniugi cugini Giovanni Andrea e Serafina Baffi nacque Pasquale agli
11 di Luglio del 1749.
Fu mandato a educare e studiare
nel collegio italo-greco, famoso un tempo, di S. Benedetto Ullano.
Si racconta e mi si assicura esser vero, che usci di quella scuola
prima di compiervi i suoi studi, per esservi stato un giorno
rimproverato a torto e maltrattato.
Fin da allora nel giovanotto
docile, studioso, e di indole mite, il quale un ingiusto trattamento
si ribella e getta sul viso ai maestro il libro che ha fra le mani,
si appalesa la natura dell'uomo, per quanto buono e affettuoso
altrettanto insofferente di servitù, e pronto a insorgere un giorno
anche contro un potere a cui più la sua posizione poteva sembrar
ligato, ma che in un dato momento gli parve degno di riprovazione.
Si preparò da sé alla vita con lo
studio assiduo e la prima prova del suo valore la diede in un
pubblico concorso donde usci vittorioso, meritandosi a venti anni la
nomina di professore di Greco nelle regie scuole di Salerno, che nel
laicizzarsi assumevano carattere universitario. Il R. Dispaccio con
la nomina di lui a quel posto porta la data del 4 Novembre 1769.
Nel '73 lo troviamo in Napoli
professore nel Real Convitto della Nunziatella, e nella carta di
nomina del 18 Ottobre si legge: informato il Re dell’attenzione
ed abilità dimostrata da V.S. nelle lezioni finora
disimpegnate in codeste R. Scuole di Salerno è venuto in farlo
Maestro delta lingua latina superiore e della lingua greca.
Nella Real Scuola della Nunziatella.
E ivi insegnò con molto plauso
e profitto della gioventù studiosa secondo che il Baffi stesso
ci informa che compose un'opera (come egli afferma) che
per sentimento di dotti ed intendenti, per la sua chiarezza, brevità
precisione e solidità lascia indietro quante finora sono
uscite alla luce. Aggiunge che ora si dispone a renderlo
pubblico per le stampe ad oggetto di rendere cosi comune la lingua
greca così come la latina, e colla lettura degli autori classici
introdurre il gusto di più sodo sapere che non è quello che si
ricava dalla lettura della maggior parte dei moderni. Il libro
forse fu dato alle stampe alquanti anni più tardi, ma l'edizione è
introvabile: il manoscritto si conserva nella nostra Biblioteca
Nazionale. Rimonta a quel anno, cioè al 1773, una lettera di Baffi
scritta, in elegante latino e diretta a Nicola Ignarra.
Fu da costui pubblicata nei suoi
opuscoli e contiene ringraziamenti per la buona accoglienza fatta
dal Ignarra a taluni componimenti in lingua greca che apprendiamo
essere stati scritti dal Baffi per la vittoria delle armi Russe
contro la Turchia, e preghiere perché quegli lo aiuti
con l'autorità del suo nome a ottenere il posto d'insegnante in
Napoli, che dì fatto ottenne.
Negli anni dal '75 al '78 fu il
Baffi impigliato nelle faccende relativo al processo dei liberi
Muratori rimasto sempre nell'ombra, e sul quale si è fatta piena
luce in una recente e accuratissima pubblicazione. Il Baffi si
ascrisse alle Logge Massoniche nel Giugno del '74 nel pieno bollore
dell'entusiasmo che faceva accorrere in Napoli, a centinaia, persone
di ogni ceto ad ascriversi a quella setta. Si credeva di non
trasgredire nessuna legge né divina, né umana, ed il governo non vi
metteva impedimento.
Se non che nel 12 Settembre del
'75 venne fuori un editto severissimo, che deferiva alla Giunta di
Stato gli affiliati alla Massoneria, con procedura come nei delitti
di Lesa Maestà. Pare che il ministro Tanucci avesse avuto, nello
spiegare un tal rigore, particolari ragioni politiche; ma incontrò
nell'attuazione dei suoi disegni forti e imprevedute opposizioni.
Ricorse all'astuzia e da' suoi agenti, principale fra essi il famoso
Pallante, fece attirare a una riunione massonica diversi antichi e
nuovi ascritti, non delle classi più elevate, per poterli
sorprendere o dare su di essi un esempio che giovasse ad allontanare
gli altri tutti dalla setta. All'adunanza, che fu tenuta il 2 Marzo
del '76, si trovò presente anche il Baffi, e sorpreso con gli altri
fu menato in carcere e vi stette parecchi mesi mentre la causa si
istruiva, e il rumore che se ne faceva in Napoli, e fuori andava
sempre più dilatandosi. Si concluse, prevalendo le influenze
favorevoli agli arrestati, con l’annullarsi, nel Febbraio del '77,
il processo e coll'iniziarsene un altro non più contro i presunti
rei, ma contro i loro accusatori.
Al Baffi, per la riforma del
convitto della Nunziatella, fu accordata la metà dello stipendio che
riceveva come insegnante in quell'Istituto, ne ebbe a lungo a
dolersene, perché nessuna traccia essendo rimasta de' fatti
precedenti, continuò ad essere ben visto in alto, dove il merito
vero era, spesso apprezzato e premiato.
Nel 1779 fu istituita in Napoli
Accademia Reale delle Scienze e delle Belle Lettere e il Baffi fu
prescelto a socio residente. Poco di poi cominciò ad occuparsi di
Ermia e del commento di lui al Fedro di Platone, che gli
fu oggetto por molti anni di studi o fatiche senza fine, di cui pur
troppo non raccolse il frutto. Egli aveva in animo di dare alle
stampe quell’inedito commento, corredandolo dì una versione latina e
di note; e però doveva fra loro confrontare i diversi manoscritti
che ce ne conservano il testo, quali il codice della Marciana,
l’altro dell'Angelico, il Farnesiano e il Carbonariano. Cominciò da
questi ultimi due, che si conservavano in Napoli uno nella
Biblioteca Reale e l’altro in quella di San Giovanni a Carbonara non
ancora a quel tempo annessa alla prima. Trascrisse dunque di sua
mano il secondo codice e ne collazionò la copia col Farnesiano,
notandone a margine le varianti e incominciandone la traduzione e un
commento critico. Si procurò inoltre, ma diversi anni dopo, una
copia esatta del codice Angelico di Roma, si' per giovarsi delle
varianti che esso presenta e si' per supplirne le lacune. Su questa
copia, che conserviamo nella Nazionale, insieme con l’altra, sono
segnate a margine di mano del Baffi le varianti del codice di S.
Giovanni a Carbonara e talune note. Era nel suo pensiero che la
pubblicazione a cui si accingeva dovesse servire, mediante una più
chiara intelligenza della filosofia platonica, a dar maggior risalto
per la virtù dei contrasti alle verità cristiane.
Accrescono valore all’opera di
Ermia l’esserci state in essa tramandate molte sentenze di
filosofi antichi e frammenti di poeti, e il trovarvi si altresì
pregevoli varianti nel incluso testo del Fedro di Platone. In fine
dall’opera di Ermia raccolse il Baffi una copiosa messe di
nuove voci e ne formò un indice.
I dotti amici, specialmente
stranieri, quali il Zoega, il Munter, lo Schov, il Villoison,
l'Ilarles, aspettarono invano per più anni, il compimento di quello
e di altri lavori filologici del Baffi e la pubblicazione di essi.
Da una lettera del Zoega al Baffi, in data de' 16 Giugno '89 si
rileva che questi aveva quasi abbandonata l'idea di pubblicare l'Ermia,
viste le difficoltà che in Italia si opponevano a tali intraprese,
mentre l'amico che gli scrive si offre di fargli stampare l'opera in
Germania.
Il sapere di Baffi era
portentoso, giacché alla profonda conoscenza del greco classico, e
dei sommi scrittori dell'Antichità, accoppiava lo studio dei diplomi
e delle carte dei bassi tempi, né alla semplice interprefazione di
quei documenti si arrestava, ma ne traeva, dotto com’era in giure,
applicazioni pratiche di incontestato valore. Ne fan fede, fra gli
altri, i lavori compiuti nell'85, su di un antico Processo della
Curia del Cappellano Maggiore, donde risultò la competenza di quel
tribunale nella, reintegrazione de' Regi Patronati; e nell' 80
all'Archivio della Cattedrale di Capua, ove rinvenne le antiche
carte e documenti relativi al R. Patronato di quella Chiesa.
Esperto in tali questioni e nella
pratica forense, stette circa questo tempo in forse se rinunziare
addirittura alla carriera delle lettere per dedicarsi del tutto a
quella del foro come più lucrosa, e che esercitò di fatto per un
certo tempo. Era avvocato ordinario del Monastero della SS. Trinità
di Cava, e questa sua qualità gli porse il destro di compiere in
quel celebre Archivio tale un lavoro, che gli consolidò la fama di
cui già godeva di grecista e di paleografo insigne.
Egli trascrisse e traslatò in
latino oltre a cento pergamene greche dell'XI e del XII secolo, ivi
conservate, e ne ebbe dalla Badia attestato di viva riconoscessi e
di lode sì pel lavoro e sì pel suo conosciuto disinteresse
nel contentarsi del modesto compenso di 300 ducati.
L'anno seguente ebbe la nomina di
bibliotecario del la R. Accademia, delle Scienze e
Belle Lettere al quale posto, assai scarsamente retribuito, andava
annesso l'uso gratuito dell’abitazione nel locale del Salvatore.
Ma un ufficio di gran lunga più importante gli era riserbato,
e lo ebbe in quell'anno medesimo con R. Dispaccio de' 25 Dicembre
così motivato: Essendo il Re informato della probità di costumi
di V.S. e del suo profondo e raro sapere per cui è meritamente
riputato da primi dotti nazionali e forestieri, e venuta
la M.S. a nominarla in secondo luogo fra gli altri
tre bibliotecari che dovranno servire in uguali graduazione alla
nuova Real Biblioteca, confidando la M.S. che colla di lei esattezza
e conosciuta erudizione abbia ella ad essere, di utile e di decoro a
questo nuovo Real stabilimento e di profitto soddisfazione agli
studiosi che vi concorreranno.
Gli altri due nominati insieme
con Baffi furono Francesco Saverio Gualtieri e Andrea Belli. La
nuova biblioteca era la nostra Nazionale, che per 40 ani, cioè fin
da quando vi fu collocata da Carlo III, era stata nella reggia di
Capodimonte, diretta successivamente dai bibliotecarii Matteo
Egizio, Ottavio Bajardi, Giovan Maria Della Torre, Domenico Malarbì
ed Eustachio D'Afflitto, ed allora si trasferiva nella Gran Sala del
giù palazzo degli Studii, e in altre annesse che tuttora occupa.
I tre bibliotecari di nuova
nomina dovevano coadiuvare il bibliotecario in capo D'Afflitto, che
mori l’anno seguente e al posto di lui non fu provveduto, e al Baffi
ed ai suoi colleghi fu affidata con pari grado e attribuzione la
direzione della biblioteca. Più tardi fu loro accordalo il medesimo
stipendio di cui già godeva, il D'Afflitto, cioè 75 ducati al mese.
Nell’ '87 fu affidato al Baffi
altro importante e difficile compito. Con R. Dispaccio del 9 Gennaio
gli fa ordinato di recarsi in Catanzaro a dirigervi il Registro e
l'inventario dell’Archivio della Cassa Sacra, con l'incarico di
leggere, riassumere e tradurre le pergamene e carte originali latine
e greche esistenti in parte colà ed in parte anche in Napoli tra
quelle venute da S. Stefano del Bosco e da S. Domenico Soriano.
Dalla relazione che scrisse il Baffi , compiuto che ebbe una parte
di lavoro, apparisce quanta, utilità si poteva trarre da esso;
giacché fatti gli indici delle carte dei monasteri di S. Chiara, dei
Carmelitani Scalzi, de' Teatini, degli Agostiniani e dei Conventuali
della città di Catanzaro e del Monastero di S. Basilio della Terra
di Spatola, il semplice confronto (per servirmi delle stesse
parole del relatore) dello stato attuale delle rendite de
suddetti, Luoghi pii collo sia lo antecedente alla soppressione fa
venire in cognizione di un notabile divario in somme considerevoli a
detrimento del sacro patrimonio. Lasciò altri a continuare il
lavoro, e prese con se le pergamene greche più antiche, dalle quali
nulla vi era da cavare per l’amministrazione del culto, e molto per
la storia e l'erudizione.
In quello stesso anno '87, che fa
per lui tra i più fortunati, un'altra onorifica nomina gli fu
conferita con dispaccio del 15 Aprile, quella cioè di Socio
dell'Accademia Ercolanese che risorgeva a nuova vita. In essa fu
addetto all’interpretazione e reintegrazione dei papiri di Ercolano,
il cui contenuto fu in buona parte da lui tradotto e illustrato.
Quanto gli si debba per i suoi,
studi di filologia greca è attestato da parecchi dotti stranieri, e
basterà, fra tutti citare Cristoforo Harles, che ristampando la
Biblioteca Greca del Fabricio, molto si giovò del
lavori del Baffi e con parole dì estrema lode gli manifestò in
quell'opera la sua riconoscenza per le notizie fornitegli dai
manoscritti della R. Biblioteca, e Arnaldo Hoeren che nella sua
edizione delle Eclogbe fisiche di Stobeo rese pubblica testimonianze
del valore di lui. Così pure fecero non pochi altri insigni
letterati, che oltre ad avergli significato in lettere private in
quanta stima lo tenessero, vollero pubblicamente affermarlo nelle
loro opere a stampa. Per l’Harles compilò il Baffi, nell'Aprile del
'92, un catalogo dei codici greci della R. Biblioteca, e questo fu
inserito nel 5° volume della citata ristampa del Fabricio. Il detto
catalogo che per la prima volta fece conoscere agli studiosi i
tesori letterari raccolti nel più mitico fondo della nostra
biblioteca, ben che redatto con metodo sommario, e di tanta
esattezza che sotto certi riguardi si lascia anche indietro quello
che, con ampia descrizioni e illustrazioni, fece molti anni dopo il
bibliotecario Cirillo.
Nel 1796 Pasquale Baffi,
pervenuto al colmo degli onori, eletto agli uffici più ambiti dai
dotti, tenuto in pregio dai più celebri filologi d'Europa, da tutti
in Napoli venerato ed amato, volle provare, quelle che nella vita
gli mancavano ancora, le gioie della famiglia, e le gustò in tutta
la loro pienezza, ma furono per lui di troppo breve durata. Tolse in
sposa nel Gennaio di quell'anno Teresa Caldora di nobile famiglia,
napoletana e adorna di ogni più rara virtù. La sorella di lei
Apollonia Caldora ora si rallegrava di tali nozze così scrivendo al
cognato agli 11 Gennaio: E' inesplicabile il contento che provo
del matrimonio che avete già stretto colla cara mia sorella Teresa
... io ben sapeva 'e
doti che adornano la vostra persona, e perciò stimo assai fortunata
mia sorella per questa sorte che ha ottenuta dal Cielo e voglio
sperare che col suo virtuoso portamento sappia meritare la vostra
affezione.
Due figliuoli erano già nati da
una tale auspicata unione, quando arrivò l'anno terribile, il 1799.
Gli anni precedenti non erano passati fra noi senza gravi vicende di
congiure, di sedizioni e dì guerre; ma di esse, nel mondo in cui il
Baffi viveva, pare non arrivasse che un’eco assai affievolita.
Quegli armamenti, quelle invasioni, quelle disfatte, quelle rivolte
non turbavano la serenità degli uomini che passavano, come il Baffi,
il loro tempo fra gli studi, fra i libri o il dotto conversare e
carteggiare. Il Baffi, benché dedito agli studi suoi preferiti di
filologia greca, non trascurava quelli che più strettamente si
riferivano al suo affido di bibliotecario, e attendeva alacremente a
ordinare insieme suoi colleghi la gran sala della nostra biblioteca,
dove erano stati già trasportati i libri Farnesiani di Capodimonte e
gli altri che si venivano o a mano a mano aggiungendo ai primi. Di
tutti si andava compilando sollecitamente il catalogo e se ne
riferiva di tanto in tanto dai Bibliotecari al Maggiordomo Maggiore
del Re, a cui era affidata l’alta direzione della biblioteca e degli
altri istituti che aveano stanza nel palazzo degli Studi. Il
Marchese del Vasto, che occupava quella carica, al 1° febbraio del
'94 scriveva ai bibliotecari Baffi e Belli:
Siccome l’oggetto di tante spese da più mesi erogate da S.M. nella
R. Biblioteca vi è l’istruzione della gioventù bisognosa di
libri, che per se non può
acquistare, cosi è necessario ricavarne ormai l’aspettato frutto.
Laonde si contenteranno di farmi subito sapere se siasi
formato catalogo della R. Biblioteca... ed in caso che tale catalogo
non sia per anche terminato si serviranno lavorare in esso per
condurlo a perfezione quanto più presto esser possa per imprimersi,
onde possa alfine aprirsi al pubblico desideroso la R. Biblioteca...
I bibliotecari rispondono al 5
Febbraio che il catalogo generale dei libri collocati nella gran
Sala, e diviso in molti volumi, era terminato fin da due anni, come
ne fu da essi informato il Principe di Belmonte predecessore
dell'attuale Maggiordomo, e si raccomandò nel tempo stesso perché si
voglia loro accordare un compenso per le enormi straordinarie
fatiche da essi sostenute. Continuano col dire che il catalogo
dei manoscritti e delle quattrocentine, già affidato al
bibliotecario Gualtieri, venne poi sospeso dopo che costui fatto
Vescovo di Aquila si parti da Napoli; ma ripresane la compilazione
dagli altri bibliotecari, questa non poté proseguire con celerità
per le difficoltà inerenti al lavoro. Non di meno
(si aggiunge in fine) avendoci S.M. ordinato di
formare il catalogo dei manoscritti greci a richiesta del ch.
Cristoforo Harles per inserirne la notizia nella edizione detta
Biblioteca greca del Fabricio, si è da noi con tutta diligenza
formato un giusto volume di tal catalogo, e presentato a S.M.
nel passato mese di giugno rimetterei al suddetto sig.
Harles.
È questo l’importantissimo lavoro
del Baffi, del quale ho innanzi fatto cenno.
In un rapporto dei 13 Febbraio
dello stesso anno i bibliotecari Baffi e Belli riferiscono tra
l'altro che dal catalogo per materia dei libri della gran Sala in
numero di circa 50.000 volumi, appare l’assoluta deficienza delle
opere pubblicate in ogni ramo dello scibile di mezzo secolo
indietro, per le quali, quando se ne volesse fare acquisto, si
potrebbe per accertarsi della loro mancanza ricorrere a un indice
alfabetico dagli autori aggiunto al suddetto catalogo. Inoltre che
essendosi la R. Biblioteca formata mediante l’unione
di varie altre, cioè della Farnesiana, della Palatina, delle
biblioteche dei religiosi espulsi, di quelle del Principe di Tarsia
e della R. Accademia, una gran copia di libri risultarono duplicati
e se ne impresse un primo catalogo fin da quattro anni, e ne fu
fatta la vendita. Ora se ne è stampato un secondo e inviatane
copia al signor Maggiordomo. Nuovamente questi in data degli 8
Aprile scrive ai bibliotecari, comunicando gli ordini del Re perché
siano prontamente compiuti i cataloghi tutti e gl’indici, sia dei
libri a stampa che dei manoscritti.
La risposta, fu inviata agli 11
di quel mese e vi si afferma che, non ostante il trovarsi ancora
incompiuti gl'indici dei manoscritti e delle quattrocentine, la
biblioteca sarebbe in grado di aprirsi al pubblico qualora del
catalogo generale avesse la M.S. ordinata o la stampa
o una copia manoscritta. Si riferisce infine sugl'impiegati aiutanti
quasi tutti disadatti al loro ufficio. La stampa del catalogo
fu ordinata e cominciò subito ad eseguirsi dal tipografo Donato
Campo; ma non proseguiva con la voluta prontezza, benché si fosse
impiantata un'officina tipografica nella stessa biblioteca. I
bibliotecari ne informarono il Maggiordomo, e toltosi al Campo il
lavoro, fu fatto continuare e ricominciare, non si sa bene,
dalla Stamperia Reale.
La stampa era arrivata alla
lettera M 3) del catalogo: il Marchese del Vasto scriveva
ancora al Baffi al 20 Maggio del 1798, lodandolo dell'opera sua e
incoraggiandolo a proseguirla e menarla a termine, secondo che aveva
promesso, per l’ottobre venturo, quando incalzando le vicende
politiche dei tempi fu sospesa ogni cosa.
Il Baffi che aveva impiegato in
quell’opera tante fatiche, che ardentemente bramava di vederla
compiuta, come leggiamo nella citata relazione e che in una supplica
al Re espone come essendo di continuo occupato nella stampa del
catalogo generale nelle continue occorrenza di dubbi, difficoltà e
verificazioni è obbligato di spesso consultare e riscontrare i libri
medesimi delta R. Biblioteca, onde fa istanza perché gli si
conceda l’abitazione entro il recinto della biblioteca stessa, il
povero Baffi a quel catalogo non doveva apporre il finale si
stampi.
Nel luglio del '99 se ne ripigliò
in fretta e furia la stampa, che prosegui proprio durante i mesi del
terrore, mentre colui che fu il principale collaboratore dell'opera
giaceva in fondo a un carcere, e fu finita quando egli aveva già
pagato con una morte atroce l'amore a quell'ideale di libertà e di
giustizia, che gli animi eletti non cessano di vagheggiare,
nonostante l'impossibilità del raggiungerlo. Re Ferdinando, in mezzo
alle stragi che gl’insanguinavano il trono, aveva ancora fisso il
pensiero a quel malaugurato catalogo della R. Biblioteca, del quale
non appena tirati gli si portarono a Palermo alquanti esemplari
rivestiti di elegante rilegatura.
E ora torniamo al Baffi, che
con la sua tempra, e nell’ambiente austero di studi e di amicizie in
che era vissuto, non poteva non parteggiare per la Repubblica
quando la vide costituita fra noi. Se a prima giunta siam colpiti da
quel passaggio, che sembra brusco in lui, dall’ufficio suo pacifico
di bibliotecario a quello di così contraria indole che egli tenne
nell'agitato governo repubblicano, quando ben si rifletta cesserà lo
stupore. Il Baffi doveva portare in quel governo la sua parte, e non
la meno scarsa, di quel complesso di belle ed ingenue idealità che
gli uomini dotti sanno solo d'ordinario recare nella vita pratica.
Il breve, e doloroso esperimento del '99 in Napoli ne è una prova.
Tutta intera è nota oggi la storia di quei giorni ne' minimi suoi
particolari, e non occorre riandarne il ricordo.
Nel Governo Provvisorio Baffi fu
Presidente del Comitato dell’Amministrazione interna ed ebbe a
Segretario Giuseppe Gaja. È sottoscritta da entrambi in data del
26 piovoso anno 7° della Libertà un provvedimento col quale il
Governo provvisorio considerando che un popolo, il quale possa in
un trattolo dalla schiavitù alla libertà, non possa dirsi
compitamente rinato ad uno stato così felice se istruzioni uniformi
di dura morale e dì vero patriottismo non formino ugualmente in
tutti gli individui lo spirito e il costume pubblico,
verso sostegno delle buone leggi; e venuto a disporre che
questo Comitato dell’interno formi una commissione di sei
ecclesiastici per costumi e por dottrina riputati, i quali dovranno
dirigere le predicazioni ed intrusioni che debba fare il Clero
secolare e regolare; dorranno formare nel più brave termine un
Catechismo di morale all’intelligenza di tutto il popolo,
presentarlo a questo Comitato per l’approvazione, e quindi farlo
insegnare in tutti, i luoghi vigilando sulla condotta degli
ecclesiastici per l'esatto adempimento di tali oggetti di pubblica
istruzione e dell’intelligenza dell'Ordinario locale, il
quale dovrà significare il voto della commissione e sospendere le
persone poco abili all’ esercizio di tali funzioni.
Non è questo documento una
conferma di quanto pocanzi ho asserito e che altro caso ci dimostra
se non le buone intenzioni di quei platonici governanti?
Baffi era uomo sincerante e
profondamente religioso. Le tendenze del suo spirito, il
convincimento e la fede avita, non ebbero bisogno di ridestarsi in
lui nell’ultimo e tragico periodo della sua esistenza: una lunga
preparazione interiore lo rese forte nella finale catastrofe e gli
dettò le parole di cristiano conforto che rivolse alla moglie in due
lunghe lettere conservate con gli altri suoi scritti nella nostra
Biblioteca Nazionale
Dopo il nefasto 13 Giugno egli
andò ramingo fuori la città, e in data del 30 di quel mese scriveva:
Teresa, mia cara sposa mia adorata, non potete immaginarvi quanto
mi hanno questa volta consolato i vostri cari caratteri. Leggo e
rileggo la vostra lettera dettata da' più pari sentimenti di
cristiana pietà e lagrime di tenerezza mi scorrono dagli occhi.
Benedetto sia sempre il Signore che vi fa
pensare, parlare ed agire conformemente alla sua divina volontà.
Quanto mi consolano quelle parole: Pascale mio, abbandonatevi tutto
a Dio fermo colla vostra fiducia, io colla mia e Gesù Cristo ci
aiuterà: coraggio e fermezza sì, Teresa mia cuore mio, io
sto pienamente fidato alla Divina Misericordia, ed offro a Dio in
olocausto il sacrificio di tutte te mie passioni; cosicché non resti
in me, se non il trionfo del suo divino amore... Divino
Evangelio di Gesù Cristo che sublimi idee non svegli tu nell'animo
de' tuoi veri adoratori. E seguita citando le parole dei
capo 5° di 8, Matteo, dove s’inculca l’amore ai nemici, indi
soggiunge: Teresa mia cara, ogni volta che le afflizioni pare che
vogliano abbattere il vostro spirito e la vostra viva fiducia in
Dio, ricorrete all’unico consolatore delle nostre anime, al nostro
divino Redentore Gesù Cristo. Rendetevi familiare la lettura, e la
meditazione dell’Evangelio ed avrete da voi stessa la consolante
esperienza della verità di quanto vi dico. Esaminando e meditando
parola per parola la formula divina di preghiera insegnataci da Gesù
Cristo: Padre nostro che sei nel Cieli etc. il nostro spirito si
vedrà sollevare sopra tutte le vanità del mondo, e non respirare
altro che l’amor di Dio e della prossimo che è il perno nel quale si
aggirano tutte le divine Scritture. Dopo altri pii suggerimenti
di fiducia e di rassegnazione ed altre tenere espressioni di amore,
conchiude riassumendoli: Teresa mia cara, di nuovo teneramente ti
abbraccio e ti bacio mille volte, e stiamo allegramente nel Signore
fonte di inesausta di consolazione e di ogni bene.
Questa lettera riceveva la
desolata consorte di Baffi, chissà fra quante ansie e quante cautele
perché non si scoprisse il secreto carteggio e il luogo ove si
nascondeva il marito.
Un'altra lettera quasi
contemporaneamente era scritta a un Giuseppe Mezzacapo in questi
termini: Esaminatasi nella Suprema Giunta la relazione di Pietro
Starace, colla quale dice che nella terra di Pianura nella casa di
Giorgio Raglia stia il reo di Stato, Pascale Baffi, ed essendo
precisa volontà del Re (D.G.) il di costui arresto, essendo ben noto
il vostro zelo per il Reale servizio è stato determinato comunicarsi
a V.S. Ill. la facoltà per effettuar tale arresto.
Questo fu eseguito ai 28 Luglio,
non già nel luogo indicato che il Baffi insospettito dovette
abbandonare, ma nelle campagne ivi presso, in casa del suo amico e
reo di stato anche lui, Angelo Masci, insieme col quale fu menato in
Napoli alla Giunta di Stato e poi al carcere della Vicaria. Alla
spia Storace per essere andato in giro circa venti giorni per
appurare la sua residenza, come si legge ne' relativi documenti,
furono pagati dieci ducati, e ne rilasciò quietanza da lui
sottoscritta ed autenticata da Notaio. Delle altre spese fatte dal
suddetto Mezzacapo per l’arresto del Baffi fu fatto un notamento, ed
ammontavano a ducati 42,90. Oltre il compenso alla spia, vi figura
quello a ventiquattro uomini armati condotti dal Mezzacapo a
Pianura, e ad altri sei messi a guardia delle case di Baffi e di
Masci, che per otto giorni rimasero suggellate fino a che non furono
riaperte, e sequestrato quanto vi si conteneva. A cotali fatti nulla
si ha ad aggiungere: basta metterli in vista in tutta la loro
crudezza.
Languì per tre mesi in carcere
l'eroico Baffi, prima che la feroce sentenza venisse a colpirlo. Ai
25 d'Agosto, scriveva alla moglie: Teresa mia non ti sconfinare,
non dar luogo alla tentazione, che prima, con astuzia cerca
d'indebolire lo spirito coll’impazienza, colla malinconia, colla
tristezza, e poi l’assalta per fargli a poco a poco perdere la
fiducia nel nostro buon Padre. No, no
ti perder d'animo, statti forte, costante, e allegra,
ma sempre nel Signore da cui dipende ogni nostro bene. Ne'
patimenti stessi, nelle angustie nelle afflizioni e nelle
tribolazioni imploriamo il mo divino ajuto con perfetta
rassegnazione alla sua volontà e le vedremo alleggerirsi e
scomparire e lasciare nelle anime nostre quella dolci impressioni
che lasciami le affettuose ammonizioni di un tenero padre. Queste
sono visite che il signore ci fa per nostro bene,
visite che fanno sentire dolore alla carne per sanare e salvare
lo spirito. I chirurghi impiegano il ferro e il fuoco per guarire le
malattie del corpo, ed il signore, medico delle nostre anime,
si serve delle tribulazioni per raccogliere il nostro Spirito per
purificarlo per farlo stare unito a lui, per mortificare la nostra
superbia e renderci, degna di esser con lui nell’altra vita,
che è la vera nostra patria...
Teresa mia cuore mio, amiamo il Signore,
amiamo il prossimo nostro, i nostri amici ed i nostri inimici... e
così crescerà più il nostro amore e il Signore ci benedirà e
ci consolerà....E conclude: Ti abbraccio con tutto il
cuore mille e mille volte, stringendoti
caramente al petto con ninno e nenna.
Il fervore religioso, ond’era
animato il nostro martire, non è a credere che gli venisse meno
durante gli altri due mesi che lo si lasciò in vita: o dovette certo
bastare a sostenerne le forze abbattute, e infondergli tanta energia
da rifiutarsi alla viltà del suicidio, che dopo la sentenza gli
veniva da un amico suggerito e con l’invio del veleno facilitato.
Agli 8 Novembre fu scritto al
Generale de Gambe: Da questa Suprema giunta di Stato trovasi
condannato a morir sulle forche Pasquale Baffi, e siccome la
sentenza dee eseguirsi lunedì 11 corrente Novembre, così prego V.E.
compiacersi disporre l’occorrente: questa notte segua il passaggio
di detto Baffi dalle carceri di Vicaria al Castello del Carmine.
Nel tempo medesimo la prego dar gli ordini per la truppa che deve
accompagnare il giustiziato al patibolo, nonché le solite pattuglie
per la viltà, onde evitarsi qualunque disordine.
Il giorno seguente il Superiore
della Compagnia dei Bianchi riceveva quest'altra lettera: Lunedì
venturo dev’eseguirsi la Sentenza dì morte dalla Suprema Giunta di
Stato proferita contro Pasquale Baffi, che già dalle carceri di
Vicaria è stato trasportato nel Castello del Carmine. Prevengo tutto
ciò a S. V. Ill. e Rev. affinché si compiaccia
disporre che la Ven. Comp de RR., PP.
Bianchi domani mattina alla solita ora si
porti in detto Castello ad esortare a ben morir detto Baffi, e
dopo le solite ventiquattro ore di Cappella
l’accompagnino al patibolo e indi alla Sepoltura.
Così fu tatto, e dopo l'andata
de' padri consolatori al Castello nel giorno 10, agli 11 vi si recò
la Compagnia verso le 17,in otto coppie precedute da
un crocifero. Ne uscì col paziente verso le ore 20. Il
terribile particolare narrato dai cronisti, e che ho ricordato in
principio, nei libri della Compagnia è taciuto. Vi si legge
soltanto: Morì rassegnato al divino volere il paziente e si
seppellì nella vicina chiesa di San Lazzaro al Lavinaio.
Degli avanzi del martire si o
perduta ogni traccia: sono già molti anni che la chiesa, dove furono
deposti, non più esiste.
[1]
Tratto dai Quaderni dell'Accademia della Nunziatella, in occasione
del bicentenario della morte di Pasquale Baffi.
Il testo e l'immagine di
Pasquale Baffi sono stati messi a disposizione dall'arch.
Atanasio Pizzi,
a cui vanno i ringraziamenti ed i complimenti del Sito per la
preziosa ricerca svolta. |