Pensiero Meridiano

 

La Repubblica, 11 novembre 2007

Folla al Teatro Biondo, tre anni fa era rimasto deserto

Una ragazza lascia un biglietto: mio padre paga, aiutateci

Palermo si ribella al racket

Gli imprenditori: basta col pizzo

di Alessandra Ziniti

Palermo - Sorridono, alzano le dita in segno di vittoria, si abbracciano, si spellano le mani per applaudire poliziotti e magistrati che li hanno "liberati" da Provenzano e dai Lo Piccolo, da chi ha imposto loro per anni la "tassa" a Cosa nostra. È una Palermo irriconoscibile quella che riempie fin su al loggione quello stesso teatro Biondo che tre anni fa rimase deserto quando Confindustria e Anm organizzarono un convegno su mafia e racket.

Ci sono, questa volta tutti o quasi, i rappresentanti di industriali e commercianti, i volti noti dell'associazionismo, ma anche tante facce di gente qualunque, che ascolta, si guarda attorno, forse alla ricerca di un coraggio finora mancato. Una ragazza affida una disperata invocazione d'aiuto a un foglio che abbandona su una poltrona. "Sono la figlia di un imprenditore palermitano, sono venuta qui da sola speranzosa di trovare degli amici. Paghiamo tutti il pizzo e mio padre lo considera un costo fisso. È onesto, ha sempre camminato a testa alta pagando le tasse, ma ha paura di rimanere solo. Urlate, urlate per me che qualcosa può cambiare".

Chissà se la ragazza è ancora lì quando mille mani alzate a V salutano sulle note di "Ecco l'isola che non c'è" il battesimo dell'associazione antiracket "Libero futuro", 40 soci, la prima che si riesce a fondare a Palermo in sedici anni, dalla morte di Libero Grassi, l'imprenditore ucciso per aver detto no al pizzo nel silenzio degli industriali. Che ieri hanno voluto chiedere pubblicamente scusa alla vedova Pina Maisano Grassi con il loro nuovo leader, Ivan Lo Bello.

E adesso gli industriali chiedono persino l'iscrizione ad "Addiopizzo" l'associazione di giovani che una notte di tre anni fa tappezzarono Palermo con degli adesivi con su scritto "Un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità". All'inizio erano sette, volevano solo aprire un pub e si chiesero che fare se qualcuno fosse venuto a chiedere "la tassa". Oggi la scelta dei figli ha finito con il trascinare i padri.

A Tano Grasso, presidente della Federazione antiracket, brillano gli occhi a ricordare la strada fatta negli ultimi 17 anni da quando, dal suo negozio di scarpe di Capo d'Orlando, si mise insieme ad altri commercianti per denunciare gli estorsori della cosca di Tortorici. Ai sottosegretari Ettore Rosato e Sandro Pajno, dice che "delle risposte di questo governo non siamo affatto soddisfatti, non ha mostrato alcun segno di discontinuità con il passato, non ha capito che noi siamo una risorsa".

Poi passa il testimone al presidente dell'associazione "Libero futuro". Enrico Colajanni è il figlio di Pompeo il "partigiano", è uno dei fondatori di Addiopizzo. Al decalogo del bravo mafioso di Salvatore Lo Piccolo risponde con il decalogo del bravo commerciante: "Caro collega, non intrattenere rapporti di alcun tipo con persone sospette, respingi subito ogni richiesta estorsiva, non pensare di trattare con i mafiosi e soprattutto non gestire da solo momenti e decisioni così delicate. L'associazione antiracket che abbiamo costruito serve per aiutarti affinché sia tu stesso a toglierti dagli impicci".

Tiene i piedi per terra Colajanni. "Oggi Palermo mi sembra grande, ma dovremo misurarci con le denunce che saremo in grado di produrre". Sullo schermo del Teatro scorre una frase di Goethe: "La paura bussò alla porta, il coraggio aprì, non c'era nessuno. Era il coraggio di un intero popolo".


L'analisi. Sedici anni dopo l'omicidio di Libero Grassi a Palermo adesso davvero si respira "un'aria diversa"

Così la città muta e complice ha deciso di rialzare la testa

Se non c'è più estorsione non c'è controllo del territorio, non c'è più la mafia

di Attilio Bolzoni

Sono passati tre anni ma è come se ne fossero passati trenta o trecento. È stata la prima volta di Palermo. È vero che "sta cambiando solo l'aria". E' vero che in questi giorni hanno trovato altri cinquecento nomi di commercianti nel libro mastro del boss Salvatore Lo Piccolo e neanche uno di loro ha ancora confessato in questura o in procura che era costretto a pagare. Ma a Palermo "l'aria" conta più che in ogni altro luogo d'Italia. Prima, i signori del pizzo controllavano anche quella.

Solo un palermitano - un palermitano e non un siciliano qualunque - può capire fino in fondo cosa è accaduto ieri, sabato 10 novembre 2007, in quel bellissimo teatro davanti al mercato della Vucciria. È stato l'inizio di una rivolta. È Palermo che sta provando a non morire soffocata dalla sua mafia. Una mafia che si sta velocemente trasformando, che è padrona quando può essere padrona ma non è più padrona sempre e ovunque.

È soltanto il principio di una guerra che si combatterà non solo a colpi di indagini e denunce, di blitz polizieschi, di microspie e di telecamere che filmano in diretta gli esattori del racket. Un principio che sembrava sempre lontano in quella città che era muta o complice, serva o piegata dalla paura. Palermo lentamente, faticosamente sta rialzando la testa.

Quasi tre anni fa avevano disertato tutti al teatro Biondo. Non si era presentato il presidente della Confcommercio Roberto Helg (che in verità non è stato visto neppure ieri), non c'erano gli uomini politici più rappresentativi della Regione, in prima fila era vuota la poltrona del governatore Totò Cuffaro che pure qualche settimana prima aveva difeso l'"onore" dell'isola contro "lo sciacallaggio mediatico ai danni dell'intero sistema produttivo siciliano". Un reportage di RaiTre sul crimine. Proprio sul racket delle estorsioni.

È stata probabilmente l'ultima volta che Palermo si è voltata dall'altra parte. Qualche mese dopo la città si è risvegliata con i muri coperti da manifesti, da lenzuola che pendevano dai cavalcavia. Tutti con la stessa scritta: "Un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità". Erano stati alcuni ragazzi di "Addiopizzo", un'associazione allora sconosciuta. Sembrava solo una provocazione. Oggi "Addiopizzo" ha raccolto intorno a sé 209 imprenditori e commercianti che non pagano.

Ci sono 9.105 palermitani che li sostengono. E che non fanno la spesa in tutte quelle botteghe dove si vendono prodotti made in mafia. Non comprano il caffé nelle torrefazioni dei boss, non comprano i loro cannoli di ricotta, la loro frutta e la loro carne. La grande partita di Palermo si giocherà nei prossimi mesi sul "pizzo".

È quella "messa a posto" di qualche centinaio o di qualche migliaio di euro al mese che segna il confine fra libertà e schiavitù. È sulla mesata che il capo di una "famiglia" o di un "mandamento" può perdere per sempre la faccia e il potere. L'estorsione è la prima attività mafiosa, quella essenziale per la sopravvivenza dell'organizzazione criminale. Se non c'è più estorsione non c'è più controllo del territorio, se salta quel sistema non c'è più mafia.

È il momento giusto. L'ha compreso anche Tano Grasso, l'ex commerciante di scarpe di Capo d'Orlando che è diventato bandiera per le sue battaglie contro il racket. Ha aspettato sedici lunghi anni per far nascere anche a Palermo un'associazione contro i boss del pizzo. Era commosso, ieri, in quel teatro palermitano dei primi del Novecento. Come era commosso l'altro Grasso, Pietro, il procuratore nazionale antimafia che per primo ha voluto conoscere nel 2005 i ragazzi di Addiopizzo.

L'hanno compreso gli imprenditori siciliani, in tanti. Quelli di Catania come Andrea Vecchio, che in quattro giorni d'estate ha sentito le bombe devastare per quattro volte i suoi cantieri. E quelli di Caltanissetta, di Agrigento, di Siracusa. Nuove generazioni di imprenditori che non sono più disposti a "calare le corna", che probabilmente non ce la fanno nemmeno più a sostenere le richieste di una nuova mafia sempre più aggressiva. Hanno deciso di non sopportare più. Senza sfida. Ma anche senza paura.

È però a Palermo, più che altrove in Sicilia, che si vince o si perde tutto. Nella Palermo dove 16 anni fa uccisero Libero Grassi, l'industriale tessile che si scagliò contro i Madonia della Piana dei Colli e i Galatolo dell'Acquasanta mentre il presidente degli industriali di allora raccomandava i colleghi "di pagare tutti per pagare meno". E dileggiò Libero pubblicamente. Gli disse: "Le buone famiglie tendono a tacere". Libero Grassi era diventato un obiettivo "politico" dei boss. E poi militare. Era solo. E uno da solo non può ribellarsi a Cosa Nostra.

Sarà l'inizio della fine di un'epoca il grande raduno al teatro Biondo? Quella dei libri mastri, dei contabili dei mafiosi che con maniacale precisione custodiscono il registro delle entrate e delle uscite, che concedono pagamenti a rate ai commercianti in difficoltà, che fanno sconti in caso di lutto in famiglia? Sarà l'inizio della fine per le sanguisughe di Palermo?

Centro Culturale e di Studi Storici "Brigantino- il Portale del Sud" - Napoli e Palermo

admin@ilportaledelsud.org ®copyright 2007: tutti i diritti riservati. Webmaster: Brigantino.

Sito derattizzato e debossizzato