Spesso si tende a dimenticare che
l’Italia come la intendiamo noi, l’Italia come Repubblica
democratica e Stato unitario è nata dalle ceneri della monarchia
savoiarda, uscita sconfitta dal secondo conflitto mondiale assieme
ai suoi principali alleati, Germania e Giappone.
Prima del 1946 esisteva un re
savoiardo che regnava sul territorio dall’intera penisola italiana e
delle grandi isole del Mediterraneo, Sicilia e Sardegna.
Si trattava di un Regno, il Regno
d’Italia, dalla definizione geografica della penisola, che
apparteneva alla dinastia sabauda e che questa si era “guadagnato” a
prezzo di tre guerre contro l’Austria chiamate “d’indipendenza” per
strappare il Lombardo-Veneto all’Austria, di una guerra contro il
Regno delle Due Sicilie per scacciare i Borbone dal loro trono e di
un attacco al Papato, per detronizzare il papa.
[1]
I libri di storia e di
storiografia ufficiale in uso nelle scuole e nelle università fino
al 1946 erano pertanto necessariamente agiografiche per la monarchia
regnante e poiché male si erano amalgamati tra loro le politiche, le
tradizioni e la storia degli stati preunitari, uniti solo dalla
lingua ufficiale ma non certo da quella in uso nel popolo basso, era
stato gioco forza insistere sulla bontà e sugli eroismi della casa
regnante e, approfittando dell’ignoranza e dell’analfabetismo
popolare diffusi, presentare come “stranieri” da scacciare i
precedenti sovrani.
L’operazione non era difficile
riguardo i piccoli staterelli, ducati, marchesati, principati, del
centro e del nord Italia che non avevano certo alle spalle
l’abitudine secolare a sentirsi STATO.
Non così era per il Regno delle
Due Sicilie. Un Regno che aveva una storia quasi millenaria di unità
territoriale e, tranne l’intermezzo angioino per Napoli e aragonese
per la Sicilia, governativa. La denigrazione sistematica della
dinastia borbonica diventava pertanto necessaria e soprattutto si
cercò di farla apparire come estranea al territorio da cui era stata
cacciata.
Ma così non era in realtà.
Estranei furono i Savoia per la maggior parte dei territori italiani
conquistati ma non così i Borbone per il Regno Siciliano.
I Borbone, a partire da
Ferdinando I, re già a 8 anni, furono meridionali. Nati e cresciuti
nel Regno, parlavano il linguaggio del popolo, quello dei lazzari
e da loro erano compresi e sentiti. Il Re ed il lazzaro,
nell'innegabile diversità di ruolo, erano parte di un unico
organismo sociale.
La storia ufficiale dei Savoia ha
sempre presentato lo Stato meridionale come "borbonico", così come
presentava “asburgico” il Lombardo-Veneto, giocando sull’equivoco
della soggezione alla Spagna come il Lombardo-Veneto all’Austria. Le
Due Sicilie erano in realtà il nostro Stato. Uno stato indipendente
con una dinastia propria. Eppure quando si ricordano gli avvenimenti
risorgimentali, i più pensano che la guerra la persero i Borbone
da soli, assumendoli a simbolo convenzionale di un'entità
estranea e desueta, cui possono essere addebitati tutti i mali,
sollevando da ogni peso le coscienze di ieri e d'oggi. Così, in
questa trasposizione, la Nazione viene sostituita dalla stessa
Monarchia, ed il Re considerato un estraneo nemico del contesto
sociale su cui regna.
Sessanta anni di Repubblica e di
lontananza della famiglia Savoia non sono bastati per cambiare
questo modo di vedere la storia in questo ancor giovane Stato
italiano, troppo occupato a ricostruirsi dopo le devastazioni
fisiche e psicologiche delle guerre che ha dovuto sopportare con i
Savoia. Perciò ancora sopravvive la visione distratta e rassicurante
che i re Borbone passassero le loro giornate assisi sul trono, in
una pittoresca rincorsa verso sempre più dispotici ed estemporanei
capricci.
Non vogliamo con questo dire che
i nostri Re non fecero errori di valutazione politica e diplomatica,
che non abbiano commesso errori, rifiutandosi per esempio di
accettare i cambiamenti che nel bene e nel male stavano sconvolgendo
l’intera Europa e che stavano cambiando il tessuto sociale degli
Stati. Non vogliamo neppure nascondere il fatto che hanno usato,
come tutti gli altri monarchi del tempo, le armi per sedare rivolte
e sommosse popolari.
Allo stesso modo, non possiamo
fare a meno di notare che, nonostante ormai da qualche decennio
molti storici hanno cominciato a presentare il periodo
“risorgimentale” per quello che realmente è stato (cioè come la
formazione di uno stato unitario, con il “placet” di Francia e
Inghilterra, da usare soprattutto a fini diplomatici, che
consentisse alle due potenze dell’Europa occidentale di contrastare
l’eventuale intromissione nel Mediterraneo dell’Austria e della
Russia), questa prospettiva è tuttora difficile da recepire.
Identificare l'Antico Stato con i Borbone, risulta ancora
conveniente anche alle coscienze meridionali che si affrancano dalla
sconfitta e, soprattutto, dal peso di ciò che i nostri padri
avrebbero dovuto esprimere, in campo politico sociale civile
economico, e che invece non seppero farlo. Così è nata la
trasposizione d'ogni responsabilità, passata presente e futura, ai
Borbone, compendio di un Male talmente inamovibile, da spiegare e
giustificare l'imperfezione dell'attuale Bene.
I Borbone non erano un tumore in
un corpo sano. Non erano gli oppressori stranieri da sostituire con
i Savoia: essi erano Meridionali, con pregi e virtù. L'Antico Regno
era uno Stato costituito: aveva leggi, governi, ministeri,
funzionari, burocrati, magistrati, militari e tutti questi erano
Meridionali, che condividevano le responsabilità di Stato. Il Regno
dei Borbone è stato quanto di meglio il Sud ha saputo, in completa
autonomia, esprimere in campo istituzionale, industriale, tecnico,
delle belle arti, della ricerca scientifica, ecc. Il loro limite,
quello di cui le grandi potenze di allora si approfittarono per
eliminarlo e costituire uno stato cuscinetto a salvaguardia del
Mediterraneo, fu il non aver capito il crescente bisogno della
borghesia e dell’aristocrazia “illuminata” di nuove regole liberali.
Ricordiamoci perciò che quando si
dice "lo Stato borbonico, l'esercito borbonico, la burocrazia
borbonica, il dispotismo borbonico, ecc", si stanno usando simboli
atti a rimuovere il ricordo del nostro passato, l'unico che ci
appartiene, nel bene e nel male, e per far apparire naturale
esigenza storica il confluire nell'Italia dei Savoia, quelli sì
stranieri.
Note
[1] Non
intendiamo in questa sede discutere sull’opportunità che un
capo religioso fosse anche capo di uno Stato teocratico
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