Sud Illustre

 

Nicolò d'Alfonso

monografia di Francesco d'Alfonso

Nicolò d'Alfonso (Santa Severina, 1853 – Roma, 1933)

 

Nicolò Angelo Raffaele d’Alfonso nacque a Santa Severina, «distretto di Cotrone, provincia di Calabria Ulteriore Seconda, Regno delle Due Sicilie», il 17 agosto 1853.

Apparteneva ad una famiglia di proprietari terrieri, fortemente legata al clero dell’Arcidiocesi metropolitana di Santa Severina; la presenza nella casa paterna dei due fratelli del padre, entrambi canonici del Capitolo della Cattedrale, lo avvicinò, ancora adolescente, all’approfondimento della Sacra Scrittura: questi studi, parte dei quali furono pubblicati con il titolo Le donne dei Vangeli, manifestano l’influenza della formazione di stampo positivistico sull’analisi del testo biblico.

Dopo i primi studi compiuti nel paese natale, Nicolò d’Alfonso si trasferì a Catanzaro, affidandosi alle cure del celebre letterato Vincenzo Gallo-Arcuri, che lo preparò privatamente per la licenza ginnasiale prima, che conseguì presso il Liceo–Ginnasio “Pasquale Galluppi” e successivamente per la licenza liceale, che conseguì con lode presso il Liceo classico del Convitto nazionale “Vittorio Emanuele II” di Napoli.

Grazie al brillante risultato ottenuto all’esame, il Ministero della Pubblica Istruzione gli concesse l’eccezionale possibilità di iscriversi, contemporaneamente, alla facoltà di Medicina e a quella di Lettere e Filosofia presso la Regia Università di Napoli. Proprio alla Facoltà di Filosofia, che dove fu allievo di Francesco De Sanctis, Augusto Vera e Bertrando Spaventa, ottenne numerosi riconoscimenti.

Nel 1879, conseguì a distanza di tre mesi la Laurea in Medicina e Chirurgia e relativa Licenza e la Laurea in Filosofia. Nel 1881 l’Accademia dei Lincei gli assegnò il Premio Reale per le Scienze filosofiche e morali, consistente in quattromila lire, per lo studio dal titolo Kant. I suoi antecessori e i suoi successori.

Nonostante questi primi, grandi successi, Nicolò obbedì alla volontà paterna e tornò a Santa Severina, dove esercitò per qualche anno la professione di medico condotto. Ma non era quella la strada che intendeva seguire, altra era la sua vocazione: la ricerca filosofica e la passione per l’insegnamento, lo convinsero a partecipare al concorso a cattedra e a partire per la Sicilia, dove andò insegnare Filosofia nei licei di Caltanissetta, di Messina e di Catania.

A questi primi anni di insegnamento appartengono le pubblicazioni Il problema dell’educazione religiosa e Il parlare, il leggere e lo scrivere dei bambini, in cui i temi della religione e della morale, connessi al problema educativo, continuavano ad offrirgli stimoli ed elementi di analisi.

Nei tre istituti siciliani rivelò ben presto le sue qualità di eccellente didatta, tanto che il ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli lo chiamò a Roma telegraficamente per insegnare Filosofia nei licei della Capitale.

Il suo primo incarico fu nell’anno scolastico 1889-90 al Regio Liceo Ginnasio “Umberto I, dove insegnò fino al 1903, per passare poi al Liceo “Visconti”.

Delle lezioni tenute all’ “Umberto I” restano due pubblicazioni: Principi di logica reale e Lezioni elementari di psicologia normale, in cui l’autore introduce, secondo il filosofo Luigi Ferri «un temperamento di spirito positivo e di evoluzionismo idealistico, che attesta l’origine del suo metodo e la serietà dei suoi studi, ma che dimostra pure quanto egli si sia discostato dall’indirizzo del Vera e dello Spaventa per accostarsi a quella che fu chiamata la sinistra hegeliana».

Nello stesso periodo iniziò la collaborazione con numerose riviste letterarie: il “Nuovo Convito”, la “Rivista d’Italia”, la “Rivista moderna politica e letteraria”, la “Rivista italiana di filosofia”, la “Nuova Antologia. Rivista di Scienze, Lettere ed Arti”, “L’Educazione”, la “Rivista italiana di Sociologia”, la “Rivista di filosofia e scienze affini” videro spessissimo apparire i suoi contributi di carattere scientifico–divulgativo, alcuni dei quali, riveduti ed ampliati, diventarono successivamente delle vere e proprie pubblicazioni. Di particolare interesse risultano, nelle varie riviste, gli articoli sull’amata Calabria e, soprattutto, i primi studi, rimasti inediti, sui personaggi delle tragedie di William Shakespeare, che iniziarono a porre il d’Alfonso all’attenzione internazionale per l’approccio singolare alle opere del grande drammaturgo inglese. Il suo essere medico, oltre che filosofo, gli permettevano di studiare Shakespeare con duplice competenza, dal punto di vista estetico e dal punto di vista criminale, con un equilibrio perfetto tra questi due aspetti della letteratura positivistica. Dal 1891 al 1900, infatti, il suo interesse scientifico si concentrò quasi esclusivamente sul teatro shakespeariano, cui si dedicò con una impostazione filologica rigorosa: la “Holborn Review” di Londra giudicò questi lavori «difficili da eguagliare» perché «completano l’opera di pura critica letteraria» con la quale era stato affrontato fino a quel momento il teatro di Shakespeare; saggi che, inoltre, rivelavano appieno «la cultura e la squisita sensibilità artistica dell’autore»

Nel 1890 fu chiamato dal ministro dell’Istruzione Pubblica Paolo Boselli ad insegnare Pedagogia e Filosofia all’Istituto Superiore Femminile di Magistero, dove fu professore ordinario per 35 anni, fino al 1923, collega, tra gli altri, di Luigi Pirandello, Maria Montessori e Luigi Capuana. Nel 1896 fu nominato libero docente di Filosofia teoretica alla Regia Università di Roma, dove insegnò ininterrottamente fino al 1933, anno della sua morte.

Nicolò d’Alfonso fu un lavoratore appassionato e instancabile che, sempre con grande entusiasmo, affiancò al triplice insegnamento – nel Liceo, all’Università di Roma e all’Istituto di Magistero – una proficua e fervida attività di scrittore, che fu ininterrotta fino al 1932. Solo i suoi libri, pubblicati nell’arco di un cinquantennio dalle più importanti Case editrici del tempo, contano complessivamente sessantatre titoli. A partire già dal 1893 numerose furono le recensioni – peraltro ottime – dei suoi lavori, da parte di riviste specializzate: la francese Revue Philosophique, le statunitensi Philosophical Review e International Journal of Ethics, le britanniche Holborn Review e Athenaeum, la tedesca Zeitscrift fur Philosophie und philosophische Kritik. Addirittura la Philosophical Review, rivista trimestrale curata dalla facoltà di Filosofia della Cornell University (USA), nel recensire l’opera Psicologia del linguaggio, ne auspicava una traduzione in inglese che potesse essere adottata dai college statunitensi, perché «si sente spesso il bisogno di libri come questo». Al contrario, in Italia le sue opere ebbero una notorietà inferiore: d’altra parte Nicolò d’Alfonso si distinse da molti altri intellettuali dell’epoca per il suo essere schivo, per la sua umiltà e modestia, qualità che certamente non lo portarono a scalare quelle vette di potere alle quali molti altri suoi colleghi, invece, ambirono e che, strenuamente, perseguirono, raggiungendo cariche politiche assai importanti. Il filosofo Luigi Credaro, che apprezzò la valenza «assai educativa» della sua opera di scrittore e d’insegnante, lo definì «un indipendente, un solitario»: il d’Alfonso non volle mai, infatti, appartenere ad alcuna corrente filosofica né ad alcuno schieramento politico. Con l’avvento poi del Fascismo – al quale egli guardò con simpatia, senza tuttavia aderirvi – fu fortemente osteggiato dal ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile che, brutalmente, provvide al suo pensionamento dal Magistero prima del compimento del settantacinquesimo anno d’età. Il suo collocamento a riposo «per raggiunti limiti di età» faceva riferimento al Regio Decreto del 13 marzo 1923, nel quadro della grande riforma gentiliana, secondo la quale i professori del Magistero dovevano andare in pensione a 70 anni anziché a 75, come gli altri docenti universitari.   

Si trattò, in effetti, di una provvedimento d’autorità, tipico di un ministro che svolgeva la sua attività con i pieni poteri delegatigli dal Parlamento: a nulla valsero infatti i ricorsi al Re Vittorio Emanuele, al Consiglio di Stato e al presidente del Consiglio Mussolini; a nulla valse l’intervento di Benedetto Croce, che scrisse al Gentile chiedendogli di derogare al Decreto.

Nicolò d’Alfonso morì a Roma il 29 novembre 1933 fu seppellito a Roma nel Cimitero monumentale del Verano. Nel gennaio del 1934 nel castello di Santa Severina si tenne una solenne commemorazione tenuta da Attilio Gallo Cristiani.

Nel paese natale sono a lui dedicate una via e la Scuola elementare e materna.

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