Nicolò Angelo
Raffaele d’Alfonso nacque a Santa Severina,
«distretto di Cotrone, provincia di Calabria
Ulteriore Seconda, Regno delle Due Sicilie», il 17
agosto 1853.
Apparteneva ad
una famiglia di proprietari terrieri, fortemente
legata al clero dell’Arcidiocesi metropolitana di
Santa Severina; la presenza nella casa paterna dei
due fratelli del padre, entrambi canonici del
Capitolo della Cattedrale, lo avvicinò, ancora
adolescente, all’approfondimento della Sacra
Scrittura: questi studi, parte dei quali furono
pubblicati con il titolo Le donne dei Vangeli,
manifestano l’influenza della formazione di
stampo positivistico sull’analisi del testo biblico.
Dopo i primi
studi compiuti nel paese natale, Nicolò d’Alfonso si
trasferì a Catanzaro, affidandosi alle cure del
celebre letterato Vincenzo Gallo-Arcuri, che lo
preparò privatamente per la licenza ginnasiale
prima, che conseguì presso il Liceo–Ginnasio
“Pasquale Galluppi” e successivamente per la licenza
liceale, che conseguì con lode presso il Liceo
classico del Convitto nazionale “Vittorio Emanuele
II” di Napoli.
Grazie al
brillante risultato ottenuto all’esame, il Ministero
della Pubblica Istruzione gli concesse l’eccezionale
possibilità di iscriversi, contemporaneamente, alla
facoltà di Medicina e a quella di Lettere e
Filosofia presso la Regia Università di Napoli.
Proprio alla Facoltà di Filosofia, che dove fu
allievo di
Francesco De Sanctis, Augusto Vera e Bertrando
Spaventa, ottenne numerosi riconoscimenti.
Nel 1879,
conseguì a distanza di tre mesi la Laurea in
Medicina e Chirurgia e relativa Licenza e la Laurea
in Filosofia. Nel 1881 l’Accademia dei Lincei gli
assegnò il Premio Reale per le Scienze filosofiche e
morali, consistente in quattromila lire, per lo
studio dal titolo Kant. I suoi antecessori e i
suoi successori.
Nonostante questi
primi, grandi successi, Nicolò obbedì alla volontà
paterna e tornò a Santa Severina, dove esercitò per
qualche anno la professione di medico condotto. Ma
non era quella la strada che intendeva seguire,
altra era la sua vocazione: la ricerca filosofica e
la passione per l’insegnamento, lo convinsero a
partecipare al concorso a cattedra e a partire per
la Sicilia, dove andò insegnare Filosofia nei licei
di Caltanissetta, di Messina e di Catania.
A questi primi
anni di insegnamento appartengono le pubblicazioni
Il problema dell’educazione religiosa e
Il parlare, il leggere e lo scrivere dei bambini,
in cui i temi della religione e della morale,
connessi al problema educativo, continuavano ad
offrirgli stimoli ed elementi di analisi.
Nei tre istituti
siciliani rivelò ben presto le sue qualità di
eccellente didatta, tanto che il ministro della
Pubblica Istruzione Guido Baccelli lo chiamò a Roma
telegraficamente per insegnare Filosofia nei licei
della Capitale.
Il suo primo
incarico fu nell’anno scolastico 1889-90 al Regio
Liceo Ginnasio “Umberto I, dove insegnò fino al
1903, per passare poi al Liceo “Visconti”.
Delle lezioni
tenute all’ “Umberto I” restano due pubblicazioni:
Principi di logica reale e Lezioni
elementari di psicologia normale, in cui
l’autore introduce, secondo il filosofo Luigi Ferri
«un temperamento di spirito positivo e di
evoluzionismo idealistico, che attesta l’origine del
suo metodo e la serietà dei suoi studi, ma che
dimostra pure quanto egli si sia discostato
dall’indirizzo del Vera e dello Spaventa per
accostarsi a quella che fu chiamata la sinistra
hegeliana».
Nello stesso
periodo iniziò la collaborazione con numerose
riviste letterarie: il “Nuovo Convito”, la “Rivista
d’Italia”, la “Rivista moderna politica e
letteraria”, la “Rivista italiana di filosofia”, la
“Nuova Antologia. Rivista di Scienze, Lettere ed
Arti”, “L’Educazione”, la “Rivista italiana di
Sociologia”, la “Rivista di filosofia e scienze
affini” videro spessissimo apparire i suoi
contributi di carattere scientifico–divulgativo,
alcuni dei quali, riveduti ed ampliati, diventarono
successivamente delle vere e proprie pubblicazioni.
Di particolare interesse risultano, nelle varie
riviste, gli articoli sull’amata Calabria e,
soprattutto, i primi studi, rimasti inediti, sui
personaggi delle tragedie di William Shakespeare,
che iniziarono a porre il d’Alfonso all’attenzione
internazionale per l’approccio singolare alle opere
del grande drammaturgo inglese. Il suo essere
medico, oltre che filosofo, gli permettevano di
studiare Shakespeare con duplice competenza, dal
punto di vista estetico e dal punto di vista
criminale, con un equilibrio perfetto tra questi due
aspetti della letteratura positivistica. Dal 1891 al
1900, infatti, il suo interesse scientifico si
concentrò quasi esclusivamente sul teatro
shakespeariano, cui si dedicò con una impostazione
filologica rigorosa: la “Holborn Review” di Londra
giudicò questi lavori «difficili da eguagliare»
perché «completano l’opera di pura critica
letteraria» con la quale era stato affrontato fino a
quel momento il teatro di Shakespeare; saggi che,
inoltre, rivelavano appieno «la cultura e la
squisita sensibilità artistica dell’autore»
Nel 1890 fu
chiamato dal ministro dell’Istruzione Pubblica Paolo
Boselli ad insegnare Pedagogia e Filosofia
all’Istituto Superiore Femminile di Magistero, dove
fu professore ordinario per 35 anni, fino al 1923,
collega, tra gli altri, di Luigi Pirandello, Maria
Montessori e Luigi Capuana. Nel 1896 fu nominato
libero docente di Filosofia teoretica alla Regia
Università di Roma, dove insegnò ininterrottamente
fino al 1933, anno della sua morte.
Nicolò d’Alfonso
fu un lavoratore appassionato e instancabile che,
sempre con grande entusiasmo, affiancò al triplice
insegnamento – nel Liceo, all’Università di Roma e
all’Istituto di Magistero – una proficua e fervida
attività di scrittore, che fu ininterrotta fino al
1932. Solo i suoi libri, pubblicati nell’arco di un
cinquantennio dalle più importanti Case editrici del
tempo, contano complessivamente sessantatre titoli.
A partire già dal 1893 numerose furono le recensioni
– peraltro ottime – dei suoi lavori, da parte di
riviste specializzate: la francese Revue
Philosophique, le statunitensi Philosophical
Review e International Journal of Ethics,
le britanniche Holborn Review e Athenaeum,
la tedesca Zeitscrift fur Philosophie und
philosophische Kritik. Addirittura la
Philosophical Review, rivista trimestrale curata
dalla facoltà di Filosofia della Cornell University
(USA), nel recensire l’opera Psicologia
del linguaggio, ne auspicava una traduzione in
inglese che potesse essere adottata dai college
statunitensi, perché «si sente spesso il bisogno di
libri come questo». Al contrario, in Italia le sue
opere ebbero una notorietà inferiore: d’altra parte
Nicolò d’Alfonso si distinse da molti altri
intellettuali dell’epoca per il suo essere schivo,
per la sua umiltà e modestia, qualità che certamente
non lo portarono a scalare quelle vette di potere
alle quali molti altri suoi colleghi, invece,
ambirono e che, strenuamente, perseguirono,
raggiungendo cariche politiche assai importanti. Il
filosofo Luigi Credaro, che apprezzò la valenza «assai
educativa» della sua opera di scrittore e
d’insegnante, lo definì «un
indipendente, un solitario»: il d’Alfonso non
volle mai, infatti, appartenere ad alcuna corrente
filosofica né ad alcuno schieramento politico. Con
l’avvento poi del Fascismo – al quale egli guardò
con simpatia, senza tuttavia aderirvi – fu
fortemente osteggiato dal ministro della Pubblica
Istruzione Giovanni Gentile che, brutalmente,
provvide al suo pensionamento dal Magistero prima
del compimento del settantacinquesimo anno d’età. Il
suo collocamento a riposo «per raggiunti limiti di
età» faceva riferimento al Regio Decreto del 13
marzo 1923, nel quadro della grande riforma
gentiliana, secondo la quale i professori del
Magistero dovevano andare in pensione a 70 anni
anziché a 75, come gli altri docenti universitari.
Si trattò, in
effetti, di una provvedimento d’autorità, tipico di
un ministro che svolgeva la sua attività con i pieni
poteri delegatigli dal Parlamento: a nulla valsero
infatti i ricorsi al Re Vittorio Emanuele, al
Consiglio di Stato e al presidente del Consiglio
Mussolini; a nulla valse l’intervento di Benedetto
Croce, che scrisse al Gentile chiedendogli di
derogare al Decreto.
Nicolò d’Alfonso
morì a Roma il 29 novembre 1933 fu seppellito a Roma
nel Cimitero monumentale del Verano. Nel gennaio del
1934 nel castello di Santa Severina si tenne una
solenne commemorazione tenuta da Attilio Gallo
Cristiani.
Nel paese natale sono a lui dedicate
una via e la Scuola elementare e materna.