"Vedi Napoli e ripenserai l'Occidente"
Il difficile, forse improbo, lavoro di intellettuali e artisti nella Napoli contemporanea.
Napoli è una città complicata, multiforme. Tutti ne conoscono i monumenti, le canzoni, la buona cucina ma pochi si chiedono perché è così. Certo, ogni metropoli ha la sua storia che la rende interpretabile con poche, lapidarie frasi: due o tre scariche di neuroni bastano a spiegare Las Vegas o Vienna, un po' di gossip e tanta filosofia possono regalare le dritte giuste per farsi un'idea di Berlino o San Pietroburgo. Napoli invece sembra sfuggire a ogni interpretazione. Chi visita i suoi monumenti e gode i suoi panorami mozzafiato se ne torna a casa contento. Però, se tenta di spingersi oltre la superficie, i conti non tornano. Già, perché Napoli ha sempre preteso una dedizione spropositata ai suoi fan come se non fosse una semplice città ma un mondo a parte, un universo nell'universo. E stupisce che oggi come ieri abbia trovato una folla di intellettuali e artisti pronta a esaudire la sua megalomania. Per descrivere Napoli, il romanziere deve trasformarsi in un piccolo Mann, il musicista in un Wagner in tredicesimo, il teatrante in un Ibsen dei vicoli.
Già, ma per quale motivo?
Per scoprirlo, partiamo dalla letteratura. In fondo il romanzo costituisce un microcosmo, con proprie leggi, perciò non stupiamoci se un esercito di scrittori avanza per realizzare l'interpretazione onnicomprensiva di cui si parlava. Distinguiamo in prima fila quelli che di Napoli offrono una visione alta, fin troppo alta. Essi oppongono al disagio urbano la propria idea del mondo intrisa di poesia, di intimismo. Per strada si pratica il turpiloquio come lingua ufficiale? Niente paura. Arrivano i ricordi struggenti della Napoli di un tempo di Elisabetta Rasy (Posillipo), di Starnone (via Gemito) che rievocano la loro infanzia e giovinezza con elegante, linguistucamente tersa, malinconia. Oppure ci pensa Erry de Luca a intrattenervi con opere di tensione stilistica quasi lancinante, veri e propri thriller della coordinata e del punto e virgola. Con il suo recente Monte di Dio continua la saga di romanzi ambientati in luoghi e strade di Napoli ben riconoscibili. Come si vede la città riceve dai suoi servitori tributi, oltre che poetici, toponomastici.
Ma a questo punto qualcuno potrebbe storcere il naso. Basta visitare alcuni quartieri per rendersi conto che la realtà è ben lontana da questi affreschi letterari. La Sanità, Forcella, Secondigliano non sono precisamente un esempio di stile, semmai una fulgida dimostrazione che si può vivere tranquillamente senza praticarne alcuno. Ma ecco pronti altri autori a rimettere le cose a posto. La parte oscura, istintiva della città viene cantata da Lanzetta, Ferrandino con populistica mestizia o da Montesano con cupo moralismo. Ma la protagonista, Napoli, sembra sfuggire a questi agguati tesi a suon di metafore. Tanto più che alcuni suoi figli, Ottonieri, Brasca, tentano di intrappolarla, paradossalmente, evitandola. Nei loro versi escludono quasi del tutto la città. Ma per questo affronto pagano un prezzo salatissimo: la condanna alla comunicazione per pochi eletti che rende la loro attività fine a se stessa. Valery nella patria di Pulcinella è un paradosso eccessivo perfino per questa terra che di paradossi vive da secoli.
Ma allora dove trovare l'essenza di Napoli? Nella letteratura ne abbiamo notate tracce. Ma forse per saperne di più conviene tuffarci nella musica. Avventurandoci tra accordi e melodie incontriamo subito Daniele e Bennato, che hanno provato a creare una miscela tra tradizione napoletana e pop d'oltreoceano. I risultati purtroppo non sono esportabili, come accadeva nel siglo de oro della melodia locale. Negli anni Trenta musiche originali e irripetibili, spesso nate durante la festa di Piedigrotta, venivano imitate proprio dalla nascente canzone americana, quella per intenderci delle commedie musicali di Hollywood che si impossessarono di molte di quelle linee melodiche, per creare la magia di Broadway. Per fortuna tra le nuove leve si fanno strada i 99 Posse che hanno saputo elaborare un suono originale, unico, a metà tra l'hip hop, il jazz e la musica etnica con testi rigorosamente no global e no Berlusconi.
Per quanto riguarda la canzone dialettale, invece, Napoli rimane all'avanguardia, soprattutto grazie ai "neo-melodici". Si tratta di artisti che cantano la vita quotidiana dei vicoli, allargando il loro punto d'osservazione fino all'hinterland ritenuto fino a oggi irrilevante da un punto di vista espressivo. Essi, partendo dalla tradizione dei vari Merola, d'Angelo, hanno elaborato un prodotto legato alla canzone italiana anni Sessanta, alle culture arabeggianti orecchiate dagli extracomunitari e soprattutto a una sensibilità sentimentale che a Napoli non si è mai spenta. Interpreti come Valentina Stella, Ida Rendano cantano la donna in lotta tra la visione tradizionale che comprende ancora il culto della verginità, la fedeltà al maschio dominante e quello delle avventure di una sola sera in discoteca. Il cuore e il sesso, la purezza e la voglia di esperienza sono espresse da voci addolorate, intense fino allo spasimo che a volte, come nel caso di Maria Nazionale, raggiungono un'intensità drammatica da star internazionale. Non a caso l'esponente di maggior successo di questo movimento, Gigi d'Alessio, figura in cima alle chart di mezza Europa.
Dunque Napoli in musica corre a velocità maggiore rispetto a quella, un po' impigrita, della letteratura. Ma in un altro settore la città ha avuto nei secoli un ruolo da protagonista: il teatro. Dunque vale la pena respirare un po' di polvere di palcoscenico per seguirne le tracce. In verità nel teatro drammatico, a parte il trio Martone-Servillo-Moscato, intellettuali più che teatranti in senso stretto, esiste ben poco. Purtroppo l'autore più interessante di questa generazione, Annibale Ruccello, è morto prematuramente. Alcuni maligni insinuano che è stato elevato a Grande più per il suo sfortunato destino che per il talento. D'altronde in una città abituata a rispettare i morti più che i vivi, se ciò fosse vero, non ci stupiremmo più di tanto. Vivacissimo invece rimane il teatro comico. Sarebbe davvero impossibile enumerare i talenti fioriti in questi ultimi anni. Si parte con Troisi, fino ad arrivare ai vari Paolantoni, Izzo, Schettino e, last but not least, Salemme. Di quest'ultimo al cinema si può solo intuire l'incredibile abilità di istrione. Credo che sia uno dei pochi attori in Italia a poter reggere uno spettacolo di due ore e mezza interpretando una donna paralitica o un fallo. E, badate bene, gli attori della nuova leva non sono semplici eredi di Totò. Essi hanno sviluppato un umorismo fondato sul nonsenso, sulla satira, a volte bonaria, a volte feroce, sulla grande velocità di battuta alla Lope de Vega fusa con il macchiettismo del Teatro dell'Arte. E questa scelta viene costantemente premiata dal pubblico che si identifica con questo modo di vedere il mondo beffardo, sensuale, canagliesco.
E forse proprio dal teatro ci arriva l'interpretazione più coerente di una città dove tutti aspirano a diventare protagonisti e non esistono comparse. Ecco perché accorriamo in massa al Festivalbar o alla presentazione del più sfigato dei calciatori. È la luce della ribalta che ci eccita, la voglia di partecipare che qui non si esprime in politica, ma in prove d'attore.
Naturalmente il risvolto negativo è l'individualismo esasperato che poco giova alla civile convivenza. Però in un mondo dominato dalla globalizzazione è bene che esista una realtà dove è impossibile globalizzare alcunché. Una volta si diceva: "Vedi Napoli e poi muori" riferendosi alle incomparabili bellezze naturali. Adesso il detto si potrebbe trasformare in un più contemporaneo: "Vedi Napoli e ripenserai l'Occidente", anche se non saprei dirvi se in chiave ottimistica o catastrofica. Per saperlo, venite a Napoli. Sono sicuro che contribuirete a ingrossare la massa già cospicua dei suoi interpreti.
Articolo liberamente tratto da Ulisse, rivista di bordo dell’Alitalia, di Michele Serio, giornalista e scrittore |