Testo di Giuseppe Ressa
Editing e immagini a cura di Alfonso Grasso
Le maestranze avevano eretto, nel 1852, con il materiale di
costruzione delle locomotive, una statua all’amatissimo Re
Ferdinando II, dopo l’unità si cominciò a respirare un’aria
diversa; scrive “Il Popolo d’Italia“ del 7 agosto 1863:
“Il
fatto dolorosissimo avvenuto nell’officina di Pietrarsa,
nelle vicinanze di Portici, ha prodotto su tutti
indistintamente la più funesta e penosa impressione. Col’animo
affranto e commossi profondamente ne diamo qui appresso i
particolari, che possiamo ritenere esatti. Un tal Jacopo
Bozza, uomo di dubbia fama, ex impiegato del Borbone, già
proprietario e direttore del giornale “
La Patria”, vendutosi anima e corpo all’attuale governo,
aveva avuto in compenso da questo governo moralizzatore la
concessione di Pietrarsa. Costui, divenuto direttore di
questo ricco opificio, che è il più bello e il più grande
d’Italia, avea per lurido spirito d’avarizia accresciuto
agli operai un’ora di lavoro al giorno, cioè undici ore da
dieci che erano prima; ad altri licenziamento, comunque nel
contratto d’appalto c’era l’obbligo di conservare tutti
...Gli operai cos’detta battimazza, che avevan prima 32
grana di paga al giorno eran stati ridotti a 30 grana; e
questi, dopo aver invano reclamato su tale torto,
ieri annunziarono al Bozza ahìessi erano decisi piuttosto
ad andar via anzichè tollerare la ingiustizia, però
domandarongli il certificato di ben servito. Pare che il
Bozza non solo abbia negato il certificato, ma abbia
risposto con un certo Ordine del giorno ingiurioso à poveri
operai. Allora ci fu che uno di questi suonò una campana
dell'opificio, verso le 3 p. m., ed a tale segnale tutti gli
operai, in numero di seicento e più, lasciarono di lavorare
ammutinandosi, e raccoltisi insieme gridarono abbasso Bozza
ed altre simili parole di sdegno. Il Bozza, impaurito a tale
scoppio si diede alla fuga; fuggendo precipitosamente, cadde
tre volte di seguito per terra; indi si recò personalmente,
o mandò un suo fido, com'altri dice, a chiamare i
bersaglieri che erano di guarnigione in Portici, perché
accorressero a ristabilire l'ordine in Pietrarsa, non
sappiamo in che modo narrando l'avvenimento al comandante.
E così accorse un maggiore con una compagnia di bersaglieri.
Nel frattempo un capitano piemontese, addetto a dirigere i
lavori dell'opificio, uomo onesto e amato dagli operai,
mantenne questi in quiete, aspettando che arrivasse qualche
autorità di Pubblica Sicurezza o
la Guardia Nazionale per esporre le loro ragioni. Ma ecco
che invece giunsero i bersaglieri con le baionette in canna:
gli operai stessi che erano tutti inermi aprirono il
cancello, ed i soldati con impeto inqualificabile si
slanciarono su di essi sparando i fucili e tirando colpi di
baionetta alla cieca, trattandoli da briganti e non da
cittadini italiani, qual erano quegli infelici! Il capitano
che dirigeva i lavori, e del quale abbiamo accennato più
sopra, si fece innanzi con kepi in-mano, e gridando a nome
del Re fece cessare l'ira della soldatesca. Tralasciamo i
commenti su questo orribile fatto. Fu una scena di sangue,
che amareggerà l'anima di ogni italiano, che farà
meravigliare gli stranieri e gioire i nemici interni.
Cinque operai rimasero morti sul terreno, per quanto si
asserisce: altri che gettaronsi a mare, cercando di
salvarsi a nuoto, ebbero delle fucilate nell'acqua, e due
restarono cadaveri. I feriti sono in tutto circa venti:
sette feriti gravemente furono trasportati all'Ospedale dè
Pellegrini, altri andarono nelle proprie case.”
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La statua di Ferdinando II a Pietrarsa |
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