Testo di
Giuseppe Ressa
Editing e immagini a cura di
Alfonso Grasso
Nelle Due Sicilie, nel 1859, la tassazione complessiva
era di 14 franchi o lire a testa, nel 1866, a soli sei
anni dall’annessione, era arrivata a 28, il doppio di
quanto pagava l'“oppresso“ popolo meridionale prima che
i Savoia venissero a “liberarlo“
. Furono introdotte molte nuove
imposte, in precedenza inesistenti al Sud.
Tav.1 - Le imposizioni fiscali nel Sud subito dopo la
conquista piemontese
Imposta personale |
Tassa sulle successioni |
Tassa sulle donazioni, mutui e
doti; sull’emancipazione ed adozione |
Tassa sulle pensioni |
Tassa sanitaria |
Tassa sulle fabbriche |
Tassa sull’industria |
Tassa sulle società
industriali |
Tassa per pesi e misure |
Diritto d’insinuazione |
Diritto di esportazione sulla
paglia, fieno, ed avena |
Sul consumo delle carni,
pelli, acquavite e birra |
Tassa sulle mani morte |
Tassa per la caccia |
Tassa sulle vetture |
Il governo unitario “estese il sistema fiscale
piemontese a tutti i vecchi Stati che erano entrati a
far parte del nuovo regno. Avvenne così, per effetto del
nuovo ordinamento che il regno delle Due Sicilie si
trovò, ad un tratto ...a passare dalla categoria dei
paesi a imposte lievi in quella dei paesi a imposte
gravissime”
. Accorpando i dati complessivi
sulle imposte, dividendoli per categorie di entrate,
notiamo che nel periodo
1861-1873 le imposte indirette
erano quantitativamente il doppio di quelle
dirette (663.599.000 milioni contro 326.481.000
) le prime, com’è noto, colpiscono
i consumi (macinato, tabacchi, dazi di confine e di
consumo, gabelle varie, sale, lotto) e quindi gravano
proporzionalmente di più sui redditi più bassi mentre le
seconde incidono sui redditi più alti. Ma non è tutto:
le imposte dirette seguivano la proporzionale
secca, non erano progressive rispetto al
reddito individuale per cui i cittadini con poche
sostanze e le classi agiate pagavano la stessa
percentuale fissa di tasse; è noto come, invece, sia
molto più equa una imposta diretta che cresce
percentualmente rispetto ai vari scaglioni di reddito.
La politica fiscale perseguita dallo Stato unitario fu,
poi, assolutamente ingiusta perchè non omogenea dal Nord
al Sud; il primo venne avvantaggiato, il secondo
penalizzato.
|
Bettino Ricasoli |
Per quanto riguarda l’agricoltura mentre nelle Due
Sicilie si pagano 40 milioni d’imposta fondiaria, nel
1866 se ne pagheranno 70, contro i 52 del nord; la
differenza è anche più evidente se si considerano le
aliquote per ettaro: nelle province di Napoli e Caserta
si pagano lire 9,6 per ettaro contro la media nazionale
di l. 3,33
. “È pubblica ed ufficiale la
dichiarazione del tempo circa il fatto che, in attesa di
completare la definitiva situazione dei valori
catastali, “provvisoriamente” si sarebbe proceduto nella
“presunzione” che il nord fosse fiscalmente più gravato
del sud e quindi, provvisoriamente (una provvisorietà
che durò 40 anni) si “aggiornarono” i ruoli della
fondiaria, con automatico aggiornamento anche di quelli
di sovrimposta comunale. L’aggiornamento produsse nuove
equità che sono ben documentate da amenità del genere:
Lombardia e Veneto pagavano un’aliquota dell’ 8.8%
mentre
la Calabria
del 15%,
la Sicilia
del 20% … nel 1886 si decise di unificare in un unico
catasto i 22 catasti degli ex stati indipendenti … si
fece di tutto per far durare il più a lungo possibile il
regime provvisorio (bastò un anno dal 1923 al 1924 per
confezionare lo strumento)”
.
Per quanto riguarda l’imposta sulla proprietà edilizia
il Sud pagava molto più del Nord e “questa chicca
venne realizzata senza dover neppure ricorrere ad una
norma speciale (provvisoria o stabile) ma solo
usufruendo della circostanza che la popolazione del nord
risiedeva in campagna (e dunque la casa diveniva
pertinenza dei fondi rustici e rientrava nell’imposta
fondiaria) mentre al sud i contadini abitavano nei
borghi rurali (e dunque pagavano l’imposta sui
fabbricati come se si trattasse di città)…furono
necessarie due leggi speciali - nel 1906 per il
Mezzogiorno continentale e nel 1908 per la Sicilia- per prendere atto che un
borgo rurale era un borgo rurale nè più nè meno di tre
case di campagna, e che, dunque, a sud andava trattato
come al nord: ma, ormai, nel primo decennio del ‘900
l’operazione di drenaggio fiscale durata mezzo secolo
nel sud era praticamente conclusa, nulla c’era più da
prelevare e si poteva fare ritorno alla logica
elementare”.
Per quanto riguarda le tasse sugli affari che incidono
per lire 7,04 pro capite in Campania, contro
6,70 in Piemonte e
6,87 in
Lombardia
.
Si calcola che l’ingiustizia fiscale sia costata al Sud
100 milioni/anno: nel “1901 il
Mezzogiorno
produceva un redito pari al 22/23 % di quello
complessivo italiano, ma pagava imposte sul reddito pari
al 35/37% di tutte le imposte sul reddito precette in
Italia”
. Successivamente le cose non
cambieranno, così, nel primo decennio del secolo
ventesimo, una provincia depressa come quella di Potenza
paga più tasse d’Udine e
la provincia di
Salerno, ormai lontana dalla floridezza dell'epoca
borbonica essendo state chiuse cartiere e manifatture,
paga più tasse della ricca Como
. L’iniquo sistema fiscale provocò
ovviamente una grossa differenza tra nord e sud sulle
espropriazioni per il mancato pagamento di tasse (da una
per ogni 27mila abitanti nel Piemonte e Lombardia, si
passa ad una a 900 per Puglia e Lucania e una a 114 in
Calabria)
Non è tutto: il 18 febbraio 1861 i decreti Mancini abrogano il
Concordato in vigore tra le Due Sicilie e lo Stato della
Chiesa, sono sequestrati e venduti
i beni
ecclesiastici che fruttano allo Stato unitario oltre 600
milioni.
Giuseppe Ressa
Note
O' Clery, op. cit.; (in realtà l’unità monetaria
meridionale era il ducato equivalente a 4,25
lire, N.d.A.)
|